Secolo di rivoluzione religiosa è veramente il decimo nono, benché non possa mostrare le cime dorate d’un Sinai diverso dal Semitico. Esso fu, difatti, il secolo che vide l’evangelismo italiano emergere dalle nebbie della clandestinità in cui gli oscuri secoli della Controriforma lo avevano confinato.
Mi piace aprire questo breve resoconto citando le parole con cui si apre il primo capitolo del libro appena pubblicato dalle edizioni GBU “La Chiesa «degli Italiani» – All’origine dell’Evangelismo risvegliato in Toscana”, un lavoro che s’inserisce all’interno di una serie di iniziative che l’assemblea di Firenze, Via della Vigna Vecchia, ha proposto alla cittadinanza, e a tutte le persone interessate, per ricordare i 130 anni dall’apertura al culto pubblico dei suoi locali, tanto ricchi di storia e di fede.
Alcune coordinate
Prima di scendere nei dettagli, sarà forse il caso di fornire alcune coordinate fondamentali:
• Fra il 1835 e il 1836 il conte Piero Guicciardini, nobile fiorentino discendente di un’antica, illustre famiglia (la stessa che ha regalato alla nostra nazione la figura del celebre storico, coevo di Machiavelli, Francesco Guicciardini) fece l’esperienza della “nuova nascita”, come egli stesso ricorderà molti anni dopo facendolo scrivere sulla sua epigrafe tombale. È uno dei primi Italiani - dai tempi della Riforma del XVI Secolo - a fare questa esperienza e a testimoniarlo pubblicamente.
• Per diversi anni le autorità alternano a fasi di relativa “tolleranza” verso gli “acattolici” (e, nel caso specifico, verso quella che nei verbali della polizia viene definita “la setta degli Evangelici”), periodi di aperta persecuzione.
In Toscana, in particolare, il punto di svolta è segnato dal 1849: il Granduca Leopoldo II – che aveva ereditato uno degli Stati Italiani più “liberali”, almeno sulla carta (il primo stato al mondo ad aver abolito l’istituto della pena di morte) - è costretto, a causa dei moti insurrezionali che nel 1848- 1849 colpiscono anche il suo principato a fuggire a Gaeta. La medesima sorte era toccata, a Roma, al papa Pio IX, e nei circa due mesi di comune esilio a Gaeta il secondo esercitò un influsso non trascurabile sul primo che, rimesso con la forza delle armi austriache sul trono di Toscana, a ciò spinto anche dalle insistenze dei generali che gli avevano restituito il regno, si prodigò - contro il parere del suo stesso primo ministro e di molti membri del suo governo - per abrogare tutte le riforme liberali dei suoi predecessori, sulle cui orme lui stesso era parso, in un primo momento, volersi timidamente incamminare. E - manco a dirlo - la prima vittima di tale svolta reazionaria fu proprio la libertà di culto. Per i sudditi evangelici (ed anche per gli Ebrei) della Toscana Granducale, i dieci anni che vanno dal 1849 al 1859 furono anni di vera persecuzione, in cui la fede in Cristo e il possesso o la lettura della Bibbia in Italiano potevano costare molti anni di carcere e di lavori forzati, pesantissime discriminazioni, in qualche caso l’allontanamento dei figli oppure - per i più “fortunati” (e più ricchi) - l’esilio.
• Con l’unificazione italiana venne estesa anche alla Toscana la “tolleranza” che agli acattolici veniva assicurata dallo Statuto Albertino: sia pure con gradualità e con diverse restrizioni, fu possibile uscire dalla clandestinità ed iniziare a radunarsi liberamente. Per circa vent’anni questo avvenne in abitazioni private o in stanze prese in affitto, con difficoltà di vicinato e notevole esborso di denaro.
• Il 7 novembre 1880 venne finalmente inaugurata la sala di culto di via della Vigna Vecchia dove tutt’oggi, a 130 anni di distanza, si riunisce l’assemblea di questa città.
• Poco più di 10 anni dopo, nel 1891, per assicurare e regolare il possesso di tale proprietà anche di fronte alle autorità e alle leggi dello Stato, i fratelli di questa comunità costituirono l’Ente Morale - quello strumento che, superate le iniziali diffidenze, si sarebbe rivelato di notevole utilità per la gestione delle proprietà immobiliari delle varie assemblee che via via venivano costituendosi anche nelle altre regioni della Penisola.
Per ricordare quell’inaugurazione avvenuta nell’ormai lontano 1880, sono state proposte da parte della nostra Assemblea diverse iniziative:
1. Una serata musicale dedicata ai rapporti tra innografia evangelica (con particolare riguardo alla figura di Teodorico Pietrocola Rossetti, autore dei testi di tanti dei nostri inni) e opera lirica
2. Una visita guidata ad alcuni luoghi storici del cristianesimo primitivo e dell’evangelismo fiorentino.
3. La pubblicazione di un libro sulla storia sia dei locali, sia - cosa ben più importante - della comunità che questi locali ha utilizzato nel corso dei passati 130 anni per testimoniare Cristo alla città di Firenze, nonché delle dottrine e delle convinzioni bibliche che furono alla base del movimento.
4. Una tavola rotonda in cui è stato presentato questo libro dedicato alla nascita dell’assemblea di Firenze e alle figure del Conte Piero Guicciardini e di Teodorico Pietrocola Rossetti
5. L’allestimento di una mostra di alcuni testi e documenti selezionati dall’archivio della chiesa, corredati da una serie di pannelli esplicativi dove si è cercato di “raccontare” la nascita di questa comunità e il contesto storico, culturale e spirituale in cui essa si è sviluppata.
Perché occuparsi di storia?
Prima di proseguire cercando di ripercorrere brevemente queste iniziative, è importante rispondere a questa domanda che ci siamo posti anche come chiesa nelle fasi che hanno preceduto questi eventi. Chiaramente l’impegno profuso nell’allestimento di una simile iniziativa è stato enorme.
Ha senso, ci si potrebbe chiedere e ci si è chiesto, dedicare tante energie per un evento dove si parla di storia, e di una storia tutto sommato relativamente recente come la nostra?
Al di là della scelta che poi è stata fatta, è chiaro che le idee su questo punto e sulla risposta a tale quesito sono rimaste differenti.
La risposta che qui provo a proporre è quella che a livello personale mi sono dato, ma che ritengo possa essere condivisa come spunto di riflessione comune.
Penso che una comunità come la nostra possa vedere, la storia come un talento donato da Dio: lo si può sotterrare, oppure far fruttare alla gloria del Signore. Ogni dono che il Signore fa, ai singoli credenti, come alle comunità, deve essere trattato con quel riguardo e quell’oculatezza con cui il Signore ci dice che devono essere usati i suoi doni.
Una comunità come quella di Firenze: si riunisce in un locale che è uno dei luoghi di culto cristiani più antichi della città (l’edificio dove ora sorge la nostra sala, è infatti l’antica “chiesa di S. Apollinare”, una struttura presumibilmente bizantina, risalente al V o VI secolo d. C.), è stata sede per una cinquantina d’anni, nel XVIII Secolo, del tribunale e del carcere dell’Inquisizione; ed è stata successivamente scelta quale propria sede da una delle più antiche comunità evangelica di lingua Italiana non soltanto di Firenze, ma, probabilmente, di tutta l’Italia.
Ma né io, né alcuno di quanti oggi fanno parte di questa chiesa hanno chiesto una simile storia. Nessuno di noi ha scelto di portare la responsabilità di un tale passato.
È un’eredità che per qualcuno di noi può essere piacevole, per qualcun altro ingombrante. Ma certamente nessuno di noi l’ha scelta o voluta. Ce la siamo trovata, e, nel bene come nel male, dobbiamo gestirla.
Il modo migliore per farlo resta quello di metterla a frutto per la gloria di Dio.
Possiamo vivere e percepire questa storia come qualcosa di opprimente, oppure come un’opportunità per avvicinare a Cristo e all’Evangelo persone che forse sarebbero difficilmente raggiungibili per altre vie che forse a molti di noi sono più familiari.
Non credo inoltre di dover fare più di un accenno al primo testo che probabilmente verrebbe in mente, vale a dire Ebrei 12:1, che si riferisce chiaramente a dei testimoni, quasi sempre tratti dalla storia biblica; ma per il quale l’appli-
cazione anche alla storia successiva penso sia legittima.
Di nessuno dei testimoni ricordati nel precedente capitolo 11 è scritto che fossero stati esenti da errori, o che fossero una sorta di super-credenti; anzi, il senso del capitolo è proprio che ogni credente dovrebbe prenderli ad esempio per il proprio cammino di fede.
Non si tratta di “eroi della fede”, bensì, secondo la Scrittura, di “testimoni” e tali sono stati anche - pur con i loro limiti e gli sbagli, o anche i peccati, che possono avere commesso - i credenti vissuti dopo di loro e dopo la chiusura del canone; in questo senso vale la pena ricordarli, e anche la loro vita e il loro percorso di fede può essere per noi motivo di interesse e di incoraggiamento.
La chiesa “degli Italiani” in mostra
Al di là dei singoli eventi che abbiamo organizzato e proposto, il vero punto di forza dell’iniziativa è stata, almeno secondo la mia personale impressione, la mostra su “La chiesa degli Italiani”, che ci ha consentito di tenere la nostra sala di culto (un edificio, lo ricordiamo, storico e ben conosciuto della città) aperta al pubblico per circa tre settimane. Diversi credenti della nostra chiesa si sono alternati nell’accoglienza ai visitatori, e le conversazioni avute sono anche state un momento importante di testimonianza. Si può ben comprendere come non sia difficile, parlando del Conte Guicciardini, che scrisse di aver conosciuto “la salute per grazia e non a cagione delle opere, ma cagione delle opere”, e che fece scrivere sulla sua epigrafe tombale, nel 1886, di essere “nato di nuovo” 50 anni prima, nel 1836, spiegare cosa vuol dire “salvezza per grazia senza le opere” e “nuova nascita”. Ma procediamo con ordine.
La mostra si componeva di dieci pannelli esplicativi, e in corrispondenza di ciascun pannello era stata abbinata una bacheca con l’espo-
sizione di diversi libri e documenti d’archivio dell’epoca.
Si tratta tutto di materiale proveniente dall’archivio della nostra comunità, che documenta quindi gli interessi, le letture, gli orientamenti e le vicende che caratterizzarono i credenti che hanno testimoniato nella nostra città.
Il percorso che abbiamo proposto è così articolato:
• Dalle fratellanze educative alle fratellanze cristiane.
Il primo (in senso cronologico) interesse del Conte Guicciardini fu educativo; nella città di Pisa era già attiva da alcuni anni un’educatrice che dalla Svizzera, per motivi di salute, si era dovuta trasferire in Toscana: era una lontana discendente di una delle famiglie che, nel XVI secolo, erano state costrette a scappare da Lucca e a rifugiarsi a Ginevra per avere aderito alla Riforma, andando a formare quella comunità Italiana che avrebbe annoverato fra i suoi membri più illustri anche Giovanni Diodati.
Si chiamava Matilde Calandrini ed era, al pari dei suoi antenati, una credente. È toccante leggere la testimonianza di alcuni contemporanei che l’avevano osservata (senza che lei se ne rendesse conto) mentre pregava, rimanendo colpiti dalla forza e dall’ardore del suo pregare. E proprio la Calandrini aveva consigliato al Guicciardini, di attingere alla Bibbia, e in particolare alle parabole di Gesù, quando fosse stato a corto di idee per i racconti sui quali far esercitare a leggere i ragazzi.
Il Guicciardini rimase molto colpito quando scoprì che nella ricchissima biblioteca del suo palazzo la Bibbia era assente, e che ciò era anche dovuto al sospetto con cui la censura ecclesiastica riguardava a questo libro; la ricevette in dono da Raffaello Lambruschini (altro intellettuale interessato ad una riforma sia del sistema scolastico toscano sia, in quegli anni, della chiesa), e quello fu l’inizio del percorso che lo portò ad accettare il Signore.
• La nascita di una comunità.
Se per qualche anno egli frequentò le riunioni della chiesa svizzera di Firenze (fin dalla fine del XVIII Secolo in Toscana - come in diversi stati Italiani - era stata consentita l’apertura di alcuni luoghi di culto non cattolici riservati però agli stranieri presenti sul territorio; ma non era consentito che le varie funzioni fossero svolte in lingua Italiana né agli italiani era consentito parteciparvi), a partire grosso modo dal 1845 iniziò ad adoperarsi per la nascita di una comunità italiana, e - secondo la sua stessa testimonianza – nel 1849 per la prima volta questi credenti si riunirono per rompere il pane.
• Gli anni della persecuzione e dell’esilio.
Nel corso dei moti rivoluzionari del 1848-49 il Granduca di Toscana Leopoldo II, fu costretto ad abbandonare la Toscana, dove venne instaurato un governo provvisorio rivoluzionario e a rifugiarsi a Gaeta. La stessa sorte era toccata al papa Pio IX che, come già detto, esercitò un fortissimo influsso sul Granduca. Questi, tornato sul trono di Toscana, inaugurò una brusca svolta reazionaria: ripristinò la pena di morte, abrogò la Costituzione che aveva precedentemente promulgato, stipulò un concordato con la chiesa cattolica e cercò di limitare in ogni modo la già scarsa libertà di culto che esisteva. Per circa dieci anni, fino al 27 aprile 1859 quando fu costretto a lasciare la Toscana - e questa volta definitivamente - Ebrei ed Evangelici andarono incontro a persecuzioni terribili.
Guicciardini, “sorpreso” a leggere la Bibbia in italiano insieme ad alcuni credenti, venne arrestato, e dovette andare in esilio. La sorveglianza sui cristiani si fece attenta e capillare; essi dovevano riunirsi nella clandestinità, in piccoli gruppi e lontano dai centri abitati, ma anche così venivano scoperti ed arrestati.
Ma anche nel suo esilio londinese, il Guicciardini continuò a pensare all’Italia, a “sognare” l’evangelizzazione degli Italiani, e conobbe quello che diventerà il suo più prezioso collaboratore in tale opera: Teodorico Pietrocola Rossetti, patriota del mezzogiorno d’Italia che pure era fuggito in Inghilterra dopo essere stato condannato a morte per la sua partecipazione ai moti di Napoli e di Parigi.
• Il ritorno dall’esilio.
L’unificazione italiana ebbe - fra gli altri effetti - l’applicazione dello Statuto Albertino in vigore nel Regno di Sardegna (e che prevedeva la “tolleranza” verso gli acattolici), e dunque l’in-
staurazione anche in Toscana di una moderata libertà di culto. I credenti uscirono dalla clandestinità, anche se dopo i primi tentativi di riunioni pubbliche di evangelizzazione, tanto il primo ministro del governo provvisorio di Toscana (Bettino Ricasoli), quanto il Cavour (entrambi con simpatie verso gli Evangelici e amici personali del Guicciardini) finirono col proibire questo tipo di incontri per evitare tumulti, cosa che convinse il Guicciardini a tornare in esilio, non senza aver prima scritto una lettera durissima al Ricasoli, che rispose, con non minor durezza, di non essere evangelico ma di ritenere di aver giovato alla causa dell’Evangelo più di quanto avrebbe fatto consentendo quelle riunioni. Seguì una risposta del conte che è molto significativa: “Per me - scrisse - tutti coloro che rendono onore al Signore credendolo Dio manifestato in carne, che ha salvato l’uomo non per merito ma per grazia, tutti sono miei fratelli”.
• Costretti a avere delle proprietà.
L’acquisto del locale dove ancora oggi ci riuniamo, che fu aperto al pubblico il 7 Novembre 1880, costituì certamente un punto di svolta importante, anche se non fu privo di difficoltà; il Guicciardini stesso (che pure avrebbe dato un aiuto concreto anche piuttosto generoso) si era in un primo momento detto perplesso sull’idea che acquistare un locale di culto fosse una scelta saggia; si dovrà aspettare il 1891 perché il possesso legale della chiesa venisse regolarizzato di fronte alla legge tramite la costituzione di un Ente Morale. Oltre alla sala di culto si devono almeno ricordare i due carati del cimitero Evangelico degli Allori, nella cui edificazione alcuni membri della comunità ebbero parte attiva ed importante, e che pure vennero intestati all’Ente.
• Opere varie, contatti con le altre comunità e difficoltà di comprensione con le altre, specialmente coi Valdesi.
Alcuni pannelli sono stati dedicati alla vita della comunità nell’ultimo quarto del XIX secolo, dove i temi importanti sono da una parte il coinvolgimento in varie opere di tipo sociale e assistenziale, rivolte soprattutto agli orfani e ai poveri, dall’altro alcune incomprensioni che vedranno a volte protagoniste, per l’appunto, le due comunità evangeliche Italiane più antiche: le Chiese Libere, per l’appunto, e i Valdesi, che in Piemonte, soprattutto nelle loro storiche Valli, sono presenti fin dal Medio Evo, ma che iniziano un lavoro organico di evangelizzazione in Italia più o meno negli stessi anni.
• Il periodo fascista e il dopoguerra.
Un pannello accenna al ruolo importante (pur fra luci ed ombre) svolto dall’Ente Morale, nato a Firenze, sotto il Fascismo, e nel dopoguerra, quando giunsero i primi aiuti per la ricostruzione e riprese l’attività di predicazione dell’Evangelo dopo quel nuovo tempo di persecuzione. In particolare in questo periodo sarà per la prima volta organizzato a Firenze il servizio dell’Evangelo alla Radio.
Gli eventi
1. Fede e Opera Lirica.
Il primo evento è stato abbastanza “nuovo”, rispetto ad altri tipi di iniziative musicali; è stato però generalmente piuttosto apprezzato.
Alla base dell’iniziativa c’è una tesi che naturalmente sarebbe ancora tutta da esplorare e anche da dimostrare. La premessa è che dalla fine del XVIII secolo i meccanismi che regolano la censura subiscono alcune significativi cambiamenti: solo le opere di contenuto espressamente religioso o teologico sono sottoposte alla censura ecclesiastica; mentre per tutte le altre opere sono ormai i sovrani ad assumere in prima persona - tramite loro funzionari - la responsabilità. Questo fa’ sì che fosse molto più semplice – o meno complicato – veicolare contenuti di tipo biblico, o perfino di storia protestante (ciò che sarebbe stato del tutto impossibile in un trattato espressamente teologico) attraverso uno spettacolo, come il Melodramma, che peraltro negli Stati Italiani godeva di una grandissima popolarità.
Al tempo stesso gli autori degli inni più amati nelle nostre comunità, non erano insensibili al fascino della musica che in quegli anni godeva di tanto successo. Uno dei primi innari – pubblicato in Svizzera ma distribuito anche in Italia dalla Casa Ricordi – porta il titolo “neutro” di “Canti popolari”, e in effetti alterna a più o meno celebri brani d’opera alcuni di quelli che poi sarebbero diventati alcuni dei nostri inni più amati. Ed egualmente è incredibile quante opere tra la fine del XVIII secolo e il primo XIX secolo mettano in scena episodi tratti dalla Bibbia, dalla storia della Chiesa primitiva, e perfino dalla storia protestante.
Partendo da questa premessa – avvalendoci anche dell’aiuto prezioso di Daniele Spini, un fratello che non frequenta la nostra comunità, e che insegna Storia della Musica presso il Conservatorio di Firenze, e della corale della chiesa evangelica coreana che ospitiamo nei locali della nostra chiesa – abbiamo proposto diversi inni noti e meno noti, molti dei quali sfruttano la musica dei più celebri operisti del tempo (Giovanni Paisiello, Gioacchino Rossini, Saverio Mercadante, Dmitry Bortniansky) – ad alcune scene d’opera dove il riferimento alla storia protestante o alla Bibbia è esplicito (Stiffelio, Mosè, Lucia di Lammermoor, I Puritani, Linda di Chamounix, Gli Ugonotti, Nabucco). Un’ini-
ziativa – a detta di tutti coloro che vi hanno assistito – fra le più riuscite della nostra festa; avendola vista dalla parte degli organizzatori posso solo dire di avere fatto fatica a trattenere la commozione soprattutto nel momento in cui è stato chiesto a tutti – e so che molti non erano credenti e alcuni hanno anche un atteggiamento non proprio “tenero” verso le nostre comunità – di unirsi in un canto comunitario (“La larghezza dell’amore”) cercando di immedesimarsi in quei credenti che, agli inizi dell’Ottocento, iniziavano timidamente e nella clandestinità a levare questi inni a Dio.
2. Una passeggiata fra i luoghi storici della “Firenze evangelica”.
La mattina del sabato è stata dedicata - aiutati anche da una bella giornata di sole - ad una passeggiata in alcuni dei luoghi storici della testimonianza cristiana nella città di Firenze. La passeggiata partiva dalla nostra stessa sala di culto, che sorge in uno dei quattro luoghi cittadini dove è testimoniata una presenza cristiana da più lunga data: posta subito fuori da quella che era l’antica cinta muraria d’età romana, ed a poca distanza da alcuni templi consacrati a divinità pagane (inclusa - pare - perfino l’egiziana Iside), l’antica chiesa di Sant’Apollinare è documentata, come luogo di ritrovo delle comunità cristiane, almeno fin dal V Secolo d. C.
Sarebbe lungo e complesso fare la storia di questo luogo, dove Masaccio ebbe bottega e dove possiamo immaginare Michelangelo negli anni della sua infanzia – quando abitava poco distante – mentre correva per il piccolo giardino… Esso ospitò perfino, a partire all’incirca dal 1750 e fino al primo XIX secolo, il tribunale e il carcere dell’Inquisizione. Ma se l’antico complesso di S. Apollinare – dove oggi sorge il nostro locale – è uno dei più antichi luoghi della testimonianza cristiana in Firenze, c’è un altro luogo, il più antico in assoluto (almeno per quanto è oggi dato di conoscere, sulla base della documentazione disponibile e delle risultanze archeologiche), che si lega in maniera davvero singolare alla storia della testimonianza Evangelica più recente: si tratta dell’antica chiesa di Santa Felicita, posta fra il Ponte Vecchio e Palazzo Pitti.
Al di sotto della chiesa attuale è stato rinvenuto un antico cimitero, e una porzione di tale cimitero era un cimitero cristiano. Le prime lapidi risalgono al II secolo d. C., ed è qui che i primi cristiani della città ebbero – forse per la prima volta - un luogo dove radunarsi. La chiesa è vicinissima, quasi confinante, con lo storico Palazzo Guicciardini - e pertanto alla nobile famiglia spettava di curarne la manutenzione.
Fu un’idea proprio del Conte Piero Guicciardini di far scrivere sulle pareti del chiostro brani consistenti della Bibbia, inclusi i dieci comandamenti. Una cosa che non poteva sfuggire agli occhi del vescovo, che, in visita presso la piccola chiesa, rimase scandalizzato nel leggere il divieto di farsi immagini scritto in lingua italiana sulle pareti di un luogo di culto cattolico, e ne ordinò l’immediata cancellazione. La visita alla piccola chiesa e al giardino del palazzo Guicciardini, è stato un momento decisamente apprezzato - anche da diversi ospiti ed amici che erano con noi.
3. La chiesa “degli italiani”.
Il momento su cui forse abbiamo puntato maggiormente è stata la tavola rotonda che abbiamo avuto il sabato pomeriggio, nel corso della quale è stato presentato il libro “La chiesa «degli Italiani» – All’origine dell’Evangelismo risvegliato in Italia”, un volume scritto a più mani, col contributo di diverse sorelle e diversi fratelli membri in gran parte della nostra stessa chiesa. (Il libro sarà recensito nel prossimo numero - N.d.R.)
Sono intervenuti alla tavola rotonda, oltre alla sorella Alessandra Pecchioli, che del volume è stata curatrice, i fratelli Domenico Maselli, Paolo Bagnoli e Giancarlo di Gaetano, che hanno sviluppato alcuni dei temi principali affrontati nel libro (e ripercorsi visivamente nei vari pannelli e nei libri esposti).
In particolare è stato sottolineato come nell’impegno dei tre principali animatori del movimento evangelico del XIX secolo, vale a dire il Conte Piero Guicciardini, il suo collaboratore Teodorico Pietrocola Rossetti, e Bonaventura Mazzarella (che era considerato il predicatore italiano più apprezzato del tempo), fosse vivo il desiderio che il processo che avrebbe portato all’affermazione di principi di libertà e all’unificazione Italiana si traducesse anche in un movimento di risveglio o di riforma, in un rinnovato interesse degli Italiani verso la Scrittura e verso l’Evangelo che finalmente poteva essere letto e predicato liberamente.
Quei tempi sembrano ormai molto lontani, ma certamente queste tre settimane in cui ci siamo confrontati con la nostra storia ci può portare ad interrogarci sull’oggi e soprattutto - se il Signore non torna - sul nostro futuro: oggi abbiamo la libertà.
Abbiamo una libertà che tanti nostri fratelli del passato, e anche tanti nostri fratelli di altre nazioni, non hanno.
Ma quale uso abbiamo fatto finora di questa libertà? Non siamo forse in uno stato spirituale troppo simile a quello di quegli Israeliti che, ai tempi del profeta Aggeo, erano troppo impegnati per occuparsi delle loro comode case, per poter trovare il tempo di occuparsi della Casa di Dio, il tempio, che andava in rovina? (Ag 1:2-4)?
Roberto Cappato
Fonte: www.ilcristiano.it
Vedia anche: Il conte Piero Gucciardini
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