Che cos'è la chiesa? A qualcuno potrebbe sembrare superfluo porre la domanda: "Che cos'è la chiesa?" Sennonché, meno di due secoli dopo l'epoca apostolica, un membro di spicco della Cristianità (Origene, 185 ca. - 254 ca. d.C.) insegnava che tutti i credenti, da Adamo fino alla fine dei tempi, appartengono alla chiesa![1] Per sostenere quest'idea, Origene doveva  allegorizzare le Scritture dell'Antico Testamento.

Altri pensano che l'idea della chiesa si sia sviluppata dopo il presunto ritardo nel ritorno di Cristo, per cui bisognava fare qualcosa per dare una forma a ciò che era destinato a durare nel tempo.[2]  Altri ancora trovano la radice della chiesa "nel fatto che alcuni dei discepoli divennero testimoni delle apparizioni di Gesù avvenute dopo la sua risurrezione".[3] Tutte queste opinioni trascurano un pronunciamento molto chiaro di Gesù: "Io edificherò la mia chiesa" (Mt 16:18; cfr. Gv 10:16). Secondo questa profezia, la chiesa avrebbe dovuto nascere dopo il ministero pubblico di Cristo e avrebbe avuto una stretta relazione con lui stesso.  

Conoscere l'origine di una cosa aiuta a comprenderne la natura. Per esempio, in mancanza di un progetto preciso, si potrebbero considerare legittimi ulteriori sviluppi nella sua struttura e nel concetto di ministero cristiano, oltre a quelli descritti negli scritti apostolici. D'altra parte, se la chiesa dà espressione a un progetto preciso che risale a Cristo, come risulta dal Nuovo Testamento, essa deve rispettare le linee guida da lui stabilite.

Nel desiderio di dare una definizione chiara al termine ekklēsia ("chiesa") non c'è bisogno di lasciarsi intimidire dalla molteplicità dei significati attribuiti al termine. Questo termine veniva usato nel mondo greco per indicare la convocazione di un esercito, un'assemblea legale di cittadini (At 19:39) e persino un raduno illegale (v. 40). In campo biblico, nella traduzione greca dell'Antico Testamento (LXX), il termine ekklēsia viene usato per rendere il senso della parola ebraica qahal, che si pensa derivi da qol ("voce"). Qahal si riferisce a una convocazione pubblica, per lo più solenne (Es 35:l; Le 23:1-3; Nu 20:8; De 4:10; 1 Cr 15:3). Ad esempio: "Il Signore disse ancora a Mosè: «Parla ai figli d'Israele e di' loro: Ecco le solennità del Signore, che voi celebrerete come sante convocazioni»" (Le 23:1-2).

Per stabilire il significato del termine ekklēsia (gr. ek "fuori di", kaleō, "io chiamo") nell'ambito del nuovo patto, appaiono decisive le parole con cui Gesù qualifica questo termine: «la mia [chiesa]» (Mt 16:18). La puntualizzazione: "la mia chiesa" esige che essa venga concepita come qualcosa di distinto sia dalla comunità giudaica in generale sia dalle comunità più ristrette come quella esistente a Qumran.[4] Ne consegue che, per non perdere di vista la specificità di questa "santa convocazione", quando si sta riferendo alla chiesa che Cristo sta edificando, è utile parlare della "chiesa di Cristo" oppure "chiesa cristiana". A motivo della sua natura spirituale, questa chiesa non sarebbe potuta esistere prima che fosse stato mandato lo Spirito Santo sui discepoli di Gesù nel giorno della Pentecoste e con ciò l'entrata in vigore del nuovo patto (Mr 1:8: Gv 7:37-39; 14:16-17; 16:7-15).

L'immagine del gregge che Gesù usa in Giovanni 10:16 serve a definire l'estensione della sua chiesa. Partendo dall'idea che Israele è l'ovile di YHWH, Gesù informò i Giudei che egli ha delle "altre pecore" che non appartengono a tale ovile e che intendeva raccogliere insieme con quelle provenienti da Israele. Ne consegue che la sua chiesa (o "gregge") comprenderà persone provenienti da tutto il mondo (cfr. Gv 1:29; 4:42).

La seconda volta documentata in cui Gesù usò il termine ekklēsia egli fece comprendere che la sua chiesa si rende visibile nella forma di assemblee locali di persone (Mt 18:17). Tali assemblee sono composte di persone che riconoscono l'autorità di Cristo e quindi godono della sua presenza (Mt 18:20). In quest'ambito, chi non rispetta la disciplina di vita richiesta da Gesù, deve essere sottoposto a sanzioni disciplinari (vv. 15-18), perché il comportamento normativo è quello che si addice a persone santificate dallo Spirito Santo (si veda Mt 28:18-20; 1 P 1:1-2; 1 Co 1:1-2; 5:9-11; 6:9-11). Le sanzioni disciplinari non vanno confuse con delle condanne. Infatti proprio nel contesto nel quale se ne parla, Gesù insiste sul bisogno di perdonare coloro che si ravvedono (Mt 18:21-35; cfr. Ga 6:1-4).

 

Cristo "cammina in mezzo alle chiese"

Cristo è presente nella sua chiesa per mezzo dello Spirito. Infatti alla seconda menzione di "chiesa", oltre a descrivere la procedura da seguire quando un fratello pecca contro un altro, Gesù dichiarò: "dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18:20). La presenza di Gesù ovunque i suoi discepoli si radunino presuppone il battesimo con lo Spirito Santo. La presenza dello Spirito "di Cristo" (si veda Gv 16:14; Ro 8:9) fa sì che Cristo "cammina in mezzo alle chiese" (Ap 2:1).

Nell'insegnamento di Gesù troviamo diverse immagini che si riferiscono all'edificazione della sua chiesa. Rientrano in questa categoria: l'invito alle nozze (Mt 25:1-13 [Ap 19:6-9], l'immagine di un edificio (Mt 16:18) e il suggerimento che i suoi discepoli assomiglino a una città posta su un monte (Mt 5:14). Ma forse l'immagine più congeniale a Gesù era quella della famiglia (Mt 12:46-50) il cui "padre" è il Padre celeste mentre Gesù stesso figura come il padrone di casa (Mt 10:25).[5]

Nel libro degli Atti il termine "chiesa" viene usato per definire sia la chiesa vista nella sua totalità (9:31) sia le chiese locali (11:22; 16:5). Anche Paolo usa il termine in entrambi questi sensi, ad esempio scrive "alle chiese della Galazia" (Ga 1:2) mentre, in Efesini, usa il termine "chiesa" al singolare con riferimento alla chiesa vista nella sua totalità: "A lui sia la gloria nella chiesa, e in Cristo Gesù, per tutte le età, nei secoli dei secoli. Amen" (Ef 3:21).

Il termine "chiesa" si riferisce alle persone che compongono il corpo mistico di Cristo (si veda Ef 2:19-22) e mai all'edificio in cui i discepoli di Gesù si riuniscono. Vari luoghi di incontro sono menzionati nel Nuovo Testamento: il portico di Salomone, case e scuole. Ma forse quello più significativo è la sinagoga (Gm 2:2), il che rispecchia il fatto che l'organizzazione delle chiese locali assomiglia a quella della sinagoga giudaica. Quindi non è strano che alcune delle prime chiese, particolarmente nell'ambito giudaico, trovassero congeniale incontrarsi in una sinagoga. Ma anche nel caso citato sopra, Giacomo distingue fra il luogo (synagogē, "adunanza") e la chiesa stessa. Infatti, quando descrive la procedura da seguire quando qualcuno è malato, dice: "chiami gli anziani della chiesa [ekklēsia]" (5:14), non già della sinagoga.

 

Le caratteristiche distintive della Chiesa cristiana

Per conoscere la natura della chiesa che Gesù sta edificando, è utile tener presente le cose che, secondo lui, dovevano caratterizzarla. Ne considereremo cinque.

Prima: un clima di perdono

Quando si ricorda che la chiesa è la comunità la cui relazione con Dio viene regolata dal nuovo patto, ne consegue che la sua prima caratteristica, in ordine logico, è la comune esperienza del perdono di Dio e la pratica del perdono reciproco (si veda Gr 31:34; Ef 4:32). Un'altra ragione per considerare il clima di perdono la prima caratteristica della chiesa è l'enfasi che Gesù stesso pone sull'obbligo del perdono reciproco (Mt 6:14-15; 18:15-35). Laddove i singoli membri possono contare su uno spirito di perdono da parte degli altri, sono maggiormente spronati a confessare i propri errori, senza la paura di esserne marchiati per il resto della vita. Nella pratica dal perdono la chiesa si distingue nettamente dalla cultura di vendetta che vige nel mondo circostante. Inoltre la pratica del perdono facilita un più alto livello di santità fra i discepoli di Cristo proprio perché questi possono ammettere, senza paura, i propri sbagli.

L'effetto della cultura del perdono, che nasce con il nuovo patto, viene descritto molto bene da Pietro, che a suo tempo aveva chiesto a Gesù: «Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?» (Mt 18:21). Gesù gli aveva risposto: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (v. 22). Nella sua prima Lettera, Pietro stesso scrive: "Soprattutto, abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l'amore copre una gran quantità di peccati" (1 P 4:8). L'amore «copre» i peccati nel senso che ne favorisce la confessione e la cancellazione; infatti, ciò che rende possibile la pratica del perdono è proprio l'esperienza e la manifestazione dell'amore di Dio.

Seconda: ubbidienza al mandato missionario

Una seconda caratteristica della chiesa è l'ubbidienza al mandato missionario. Per comprendere quanto sia fondamentale per la chiesa impegnarsi in questo senso, vale la pena considerare le parole di Gesù in Matteo 21:42-44. Gesù parla qui del passaggio del ruolo di strumento del regno di Dio, da Israele alla «gente che ne faccia i frutti» (Mt 21:42-44).[6] Alla luce della storia apostolica, possiamo identificare questa "gente" prima negli apostoli e poi nella chiesa composta sia da Giudei sia da Gentili.

Alla domanda: in che senso la chiesa agisce con l'autorità di Dio? La risposta va ricercata in primo luogo nell'incarico ricevuto di predicare il vangelo a ogni creatura e così fare discepoli (Mr 16:15-16; Mt 28:18-20). A questo proposito, le parole finali del Grande mandato: "fino alla fine dell'età presente", fanno comprendere che tale mandato rimane in vigore fino al ritorno di Cristo.

Nel periodo descritto nel libro degli Atti l'ubbidienza al mandato missionario era quasi un sinonimo di  chiesa per quanto era in evidenza (1:8; 2:41; 8:1-4, 11:19-20; 28:28). Ma la chiesa partecipa alla gestione del regno di Dio, che ha origine celeste, anche quando segue diligentemente la procedura indicata da Gesù nel caso che un fratello pecca contro un altro (Mt 18:15-20).

Terza: l'essere «colonna e sostegno della verità»

Una terza caratteristica, strettamente legata all'ubbidienza al mandato missionario, è quella della trasmissione dell'insegnamento di Gesù a tutti i nuovi discepoli. Infatti, dopo aver parlato dell'autorità universale conferitagli-"in cielo e sulla terra"-Gesù mandò i suoi apostoli nel mondo per fare altri discepoli, battezzarli e insegnare loro "a osservare tutte quante le cose che" essi stessi avevano imparato da lui (Mt 28:20). A questo proposito leggiamo che i membri della chiesa primitiva "erano perseveranti nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli" (At 2:42; cfr. 6:4). Anche in seguito i dodici apostoli si dedicarono primariamente alla preghiera e al "ministero della parola" (si veda At capp. 3-5; 6:1-4). Un aspetto particolarmente importante di questo compito è quello di sostenere la verità riguardante la Persona di Cristo e la via della salvezza, contro i contraddittori (si veda Tt 1:9; 1 Gv 2:18-19; 4:1-10; cfr. 2 Gv v. 9).

Anche l'apostolato di Paolo comprendeva l'incarico di "dottore dei Gentili" (1 Ti 2:7). Come tale, oltre ad avvertire "solennemente Giudei e Greci di ravvedersi davanti a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Cristo", Paolo annunziò "tutto il consiglio di Dio" (At 20:21, 27). Inoltre, ordinò che le verità da lui insegnate venissero trasmesse "a uomini fedeli, che siano capaci anche di istruire altri" (2 Ti 2:1-2, trad. mia). Che la responsabilità di trasmettere la verità sia della chiesa nel suo insieme si può constatare dal fatto che fra le varie definizioni della chiesa c'è: "colonna e sostegno della verità", in particolare la verità riguardante la persona e l'opera di Cristo (1 Ti 3:12-16).

Quarta: la Cena del Signore

La quarta caratteristica consiste nel ricordo del trionfo di Cristo per mezzo del memoriale denominato sia "lo spezzare il pane" sia "la cena del Signore" (At 20:7; 1 Co 11:20). La Bibbia insegna che Dio "ha lasciato il ricordo dei suoi prodigi" (Sl 111:4). Dal momento che non c'è alcun prodigio paragonabile, per importanza, all'incarnazione e all'opera di salvezza compiuta dal Figlio di Dio, ci saremmo potuti aspettare che anche in questo caso, Dio ne avesse lasciato il ricordo.

Nell'istituire questo memoriale, Gesù fece riferimento al nuovo patto per dire che l'operatività di questo patto dipende dallo spargimento del suo sangue (Lu 22:20).[7] Il rapporto fra la morte di Cristo e l'istituzione del nuovo patto fu confermato in modo palese nel momento in cui Gesù "avendo di nuovo gridato con gran voce, rese lo spirito" (Mt 27:50). Tutti e tre i Vangeli sinottici ci informano che in quel momento "la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo" (Mt 27:51; Mr 15:38; Lu 23:45), il che dimostrò in modo palese il superamento del patto mosaico come modo di accostarsi a Dio.

Il fatto che la frase "questo calice è il nuovo patto nel mio sangue" fu trasmessa a persone convertite dal paganesimo (1 Co 11:23-26), le conferì nuovo valore, in quanto fa comprendere che il nuovo patto, fatto in primo luogo con Israele (Gr 31:31-32), si estende anche a persone "in Cristo" provenienti da altri popoli (cfr. Lu 44:47; At 10:43-48; 11:18). Inoltre, è significativo che, prima ancora di scrivere ai Corinzi, Paolo avesse già trasmesso alla chiesa le istruzioni lasciate da Gesù (v. 23). Da ciò deduciamo che la trasmissione di queste istruzioni facesse parte del processo di consolidamento di tutte le chiese.

Quinta: una comunità di persone che pregano

Infine, la chiesa è una comunità di persone che pregano (si veda At 2:42). Quest'aspetto della vita di chiesa si fonda tanto sull'insegnamento e l'esempio di Gesù (Mt 6:6-15; 7:7-11; Gv 14:12-14; 16:23-24), quanto sul fatto che coloro che entrano nel nuovo patto formano un sacerdozio regale (1 P 2:4-5, 9; cfr. Eb 10:19-23).

Tanto gli apostoli quanto la chiesa apostolica hanno seguito l'insegnamento e l'esempio di Gesù, diventando un popolo di intercessori. Nell'era apostolica la pratica della preghiera era talmente rilevante che quasi ogni decisione, rivelazione della volontà di Dio o passo avanti, avveniva in un contesto di preghiera (si veda At 1:12-15; 1:21-26; 2:21; 4:23-31; 6:4-6; 8:14-17; 10:2-6, 9-16, 30; 12:1-16; 13:1-4; 14:20-23; 13:1-4). Quindi quello che si afferma in riferimento ai membri della chiesa di Gerusalemme, che "erano perseveranti ... nelle preghiere", oltre a caratterizzare i membri di quella chiesa, descrive la "comunità" del nuovo patto in generale. Sapendosi perdonati e accettati da Dio, per mezzo del sangue di Cristo, ed essendo consapevoli che egli sta alla destra del Padre in qualità di Mediatore e Sommo Sacerdote, i suoi discepoli trovano nella preghiera uno degli elementi fondamentali della loro vita.

Rimane da ribadire che lo scopo generale della chiesa è quello di glorificare Dio (Ef 3:21). Talvolta questo scopo viene posto come il primo scopo della chiesa. In realtà esso fu definito parecchi anni dopo che Gesù aveva affidato il mandato missionario alla chiesa. Infatti non ci sarebbe stata nessuna chiesa in grado di glorificare Dio se gli apostoli, insieme ai primi convertiti, non avessero dato la priorità alla missione che era stata affidata loro e se non avessero battezzato i nuovi discepoli, insegnando loro a osservare tutto quanto era stato ordinato da Cristo.

 

Il tempio dello Spirito

La dimensione comunitaria della chiesa si manifestò subito dopo la discesa dello Spirito Santo e l'ubbidienza alla Parola predicata di tremila persone (At 2:37-47). Questo improvviso senso di comunità fu il risultato del "dono dello Spirito Santo" che Pietro aveva promesso a coloro che si fossero ravveduti e avessero accettato il battesimo (v. 38). La qualità di questa nuova comunità colpì fortemente il resto della cittadinanza di Gerusalemme (vv. 43-47).

Ma questa nuova comunione (gr. koinōnia) ha anche una dimensione internazionale. Lo si vede nel modo in cui lo Spirito Santo spronò i "discepoli" di Antiochia di Siria a mandare un aiuto pratico ai loro "fratelli" nella Giudea in un tempo di carestia (11:27-30). Questa comunione pratica rispecchia il fatto che tutti i discepoli di Gesù formano, nel loro insieme, "l'edificio che ha da servire come dimora a Dio per mezzo dello Spirito" (Ef 2:22-23).

Gesù escluse che gli schemi di potere tipici di questo mondo potessero riprodursi nella chiesa che egli stava per edificare; in essa dovevano essere di norma, invece, uno spirito di servizio e un amore pronto al sacrificio (Mr 10:42-45; Gv 13:1-17, 34-35). Ciò che regge questo tipo di vita comunitaria è l'opera dello Spirito Santo in tutti i membri e i doni da lui distribuiti, anche in coloro che sono chiamati ad assumere ruoli di conduzione (1 Co 12:7-11,28; Ro 12:4; Ef  4:7-12; 1 P 5:1-4).

Oltre a ricevere l'unzione dello Spirito (1 Gv 2:20,27), tutti i membri della chiesa ricevono almeno un carisma, distribuito sovranamente dallo Spirito, e quindi sono chiamati a impegnarsi in qualche modo per favorire il bene comune (Ro 8:9; Ro 12:4-8; 1 Co 12:7-13, 28; 1 P 4:10-11; Eb 2:4; 2 Co 5:17-21). Sempre a motivo della natura carismatica della chiesa è prevista anche la sottomissione reciproca dei membri (Ef 5:18-21).  Ne consegue che la differenziazione dei ruoli nelle chiese locali non dipende dal fatto che gli uni abbiano ricevuto un'unzione speciale e gli altri no, né da fattori culturali, razziali o sociali. Piuttosto dovrebbe dipendere dal riconoscimento e l'utilizzo dei carismi[8] specifici distribuiti ai vari membri del Corpo di Cristo.

Un avvertimento solenne

Come nel caso delle tre istituzioni create da Dio considerate in precedenza (la famiglia, il governo e Israele), anche nel caso della Chiesa, la Bibbia contiene un avvertimento solenne per chi tratta questa istituzione senza il dovuto rispetto. Paolo avvertì coloro che erano colpevoli di fomentare divisioni nella chiesa di Corinto in questi termini: "Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui; poiché il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi" (1 Co 3:16-17). Non viene specificato in che modo "Dio guasterà lui" ma visto il rapporto stretto fra la vita di chiesa e quella di famiglia, è lecito pensare che chi tratta la chiesa con leggerezza potrebbe subirne le conseguenze anche a livello familiare. Sta di fatto che spesso chi si mette a criticare, al posto di edificare la chiesa, vede delle ripercussioni  di tale comportamento nella vita della sua famiglia, per esempio in qualche figlio che dubita della verità del vangelo.

Conclusione

Mai nella storia della chiesa è apparso più importante di oggi coltivare "la comunione dei santi" e mai come oggi c'è il rischio concreto di trascurarla. Infatti la maggiore mobilità propria dei nostri tempi e la possibilità di interagire con altre persone in modo virtuale via internet, sono fattori che incidono pesantemente sulle abitudini delle persone. Fra le altre cose possono diminuire la consapevolezza del bisogno insostituibile della comunione fraterna. Bisogna sapere che la fede non è una cosa privata e, per coloro che si identificano come discepoli di Cristo, la vita comunitaria non è opzionale. Siamo di fatto membri gli uni degli altri. Insieme siamo chiamati a essere sale e luce sulla terra, mentre camminiamo verso il nostro destino eterno. Meno comunione c'è e più il sale e la luce si disperdono.

Non dovremmo mai dimenticare che Gesù pregò per l'unità dei suoi discepoli (Gv 17:20-23). Inoltre l'apostolo Paolo ci esorta a mantenere l'unità creata dallo Spirito Santo: "Io dunque, il prigioniero del Signore, vi esorto a comportarvi in modo degno della vocazione che vi è stata rivolta, con ogni umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri con amore, sforzandovi di conservare l'unità dello Spirito con il vincolo della pace" (Ef 4:1-3). Sforzarsi in questo senso diventa ancora più cruciale verso il termine dell'età presente: "Facciamo attenzione gli uni agli altri per incitarci all'amore e alle buone opere, non abbandonando la nostra comune adunanza come alcuni sono soliti fare, ma esortandoci a vicenda; tanto più che vedete avvicinarsi il giorno" (Eb 10:24-25).

Per la riflessione personale o lo studio di gruppo

1.      Chi ha istituito la chiesa e quando?

2.      Quali sono le caratteristiche della chiesa secondo il pensiero di Dio?

3.      Perché bisogna trattare la chiesa con rispetto?

Perché uno spirito di critica o un comportamento orgoglioso spesso produce delle ripercussioni negative nella vita dei familiari di coloro che si comportano così (si veda Gv 13:34-35)?

[1] Si veda Origene, Principi, IV, 3, 7.

[2] Secondo Hans Conzelmann (Teologia del Nuovo Testamento, ed. it. a cura di R. Penna, Brescia, Paideia 1972, p. 57): «la coscienza escatologica di Gesù esclude l'idea di una chiesa nel tempo presente».

[3] L. Coenen, «Church, Synagogue», in The New International Dictionary of New Testament Theology, a cura di Colin Brown, 3 voll., Exeter, Paternoster Press 1975, I:298; ibid., I:52, s.v. «Proclamation».

[4] Vd. il commento al Salmo 37:3,16, in 4Qp.

[5] Joachim Jeremias, Teologia del Nuovo Testamento, 2 voll., Brescia, Paideia 1972, 1:196.

[6] Nel commentare Matteo 21:43, Carson scrive: «A rigor di logica, allora, il v. 43 non parla del trasferimento della posizione centrale del popolo di Dio dai Giudei ai Gentili, anche se è possibile che se ne faccia un accenno in quanto ora la sua collocazione si estende di gran lunga oltre l'autorità esercitata dai capi dei Giudei (cfr. Atti 13:46; 18:5-6; 1 Pietro 2:9); piuttosto, parla di porre termine al ruolo che i capi religiosi giudaici avevano nel mediare l'autorità di Dio» (D. A. Carson, Matthew, The Expositor's Bible Commentary, Frank E. Gaebelein (curatore della serie), Grand Rapids, MI, Zondervan 1984, 8:454).

[7] In un mss, denominato D, che risale al V sec., i vv. 19b-20 non appaiono nel testo di Luca 22. Bruce M. Metzger (A Textual Commentary on the Greek New Testament, London/New York, United Bible Societies 1971, pp. 173-177) offre un buon riassunto delle argomentazioni a favore del carattere primitivo di questi versetti, mentre I. Howard Marshall (The Gospel of Luke, The New International Greek Testament Commentary, Ed. I. Howard Marshall & W. Ward Gasque, Exeter, Paternoster Press 1978, pp. 799-807) riassume i motivi per considerarne il contenuto corrispondente a istruzioni risalenti a Gesù stesso.

[8] Gr.  charisma, da charis «grazia» con l'aggiunta di -mata «frutti di».

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Dal libro di Rinaldo DIprose:
Elementi fondamentali della teologia biblica

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