Questo brano continua a parlare del comportamento dei santi, contrastando un comportamento definito da "stolti" con uno da "saggi" (5:15). Il comportamento da "stolti" è associato con quello di un ubriaco controllato dal vino, mentre quello dei "saggi", che è frutto di aver compreso quale sia la volontà di Dio, dipende dalla pienezza dello Spirito. A questo proposito, uno dei contributi di questo brano è di indicare ciò che si deve fare per essere "ripieni dello Spirito Santo" (v. 18-21).
Nel resto del capitolo l'apostolo spiega come dovrebbe articolarsi il primo e fondamentale rapporto umano, quello di marito e moglie. Vedremo che la possibilità di mettere in pratica l'insegnamento di questo brano, che rimane importantissimo oggi anche se società in cui viviamo ne disconosce la bontà, è strettamente legato alla condizione di essere ripieni dello Spirito Santo. Non c'è brano in tutta la Bibbia più importante di questo per sapere come realizzare un rapporto di coppia in conformità con il progetto originale di Dio per il matrimonio.
Come comportarsi da saggi
"Dunque vedete con cura come camminate, non da stolti bensì da saggi, riscattando il tempo perché i giorni sono [caratterizzati dalla] dalla cattiveria. Perciò non siate senza intelligenza ma intendete quale sia la volontà del Signore. E non vi inebriate di vino, nel quale vi è dissolutezza; bensì siate ripieni dello Spirito, parlandovi in Salmi e inni e canti spirituali, cantando e salmeggiando nel vostro cuore al Signore, rendendo di continuo grazie a Dio e Padre nel nome del Signore nostro Gesù Cristo; sottomettendovi gli uni gli altri nel timor di Cristo" (5:15-21).
La parola "dunque" (gr. oun) indica che questa parte dell'insegnamento pratico di Efesini scaturisce dall'insegnamento contenuto nel brano precedente (4:17- 5:14), che è riassunto nel v. 15.
Da una parte Paolo definisce "stolto" il modo di vivere dei pagani, frutto di un pensare "futile" o "vano" (gr. mataiotés, 4:17); dall'altra parte definisce "saggio" il modo di vivere di coloro che hanno imparato da Cristo. Come osserva Foulkes: "la sapienza è stata data (1:8)" Perciò i santi "devono mostrare nella loro vita la sapienza di Dio (3:10)."
Anche Pietro afferma che Dio ha provveduto ogni cosa di cui abbiamo bisogno per "la vita e la pietà" (2 P 1:3). Naturalmente il vivere in modo saggio ha delle implicazioni molto pratiche.
La prima di queste implicazioni riguarda l'uso del tempo. Il testo originale del v. 17 rende molto incisivo questo concetto. Lo possiamo parafrasare come segue: "recuperando le opportunità perdute, consapevoli che i giorni in cui viviamo sono compromessi dalla malvagità di coloro che non conoscono Dio".
Le tre parole greche chiave in questo versetto sono: exagorazomai, che significa qui "pagare per avere indietro ciò che il modo di vivere dei pagani ha fatto perdere", kairos, che significa "tempo, inteso come opportunità [e non in senso puramente cronologico]" e ponérai, che caratterizza i giorni in cui viviamo come "cattivi" o "malvagi". Come insiste Pietro (1P4:1-3), siamo chiamati a recuperare il tempo perduto, come un'azione paragonabile a chi va al mercato per comprare indietro qualcosa che era andato perduto.
Da un certo punto di vista il tempo è l'unica cosa che possediamo. Quindi, dopo la nuova nascita i santi sono chiamati a recuperare il tempo perduto, vivendo per il resto della vita secondo la volontà di Dio (v. 18). Non conta tanto la quantità delle "opere buone" che compiono dopo essere diventati "fattura di Cristo" (2:10), quanto la qualità di ciò che fanno. Non è da escludere che, dopo aver fatto questa scelta di vita, si scopra che qualcosa delle esperienze fatte anche in precedenza possa essere recuperato nel contesto della nuova vita in Cristo. Da questo brano impariamo che i santi non devono vivere alla giornata, senza pensare (gr. aphrones), bensì devono porsi sempre la seguente domanda: "Qual è la volontà del Signore?" (v. 18)." Il verbo suniemi, che abbiamo tradotto "intendere", contiene l'idea di "percepire" qualcosa. Per poter intendere "quale sia la volontà del Signore" dobbiamo pregare per discernere quale sia la Sua volontà in ogni situazione e per sapere l'opzione giusta fra le varie opzioni che la vita ci presenta.
Più preghiamo e meno saremo condizionati da criteri che rispecchiano il modo di pensare dei pagani.
La seconda implicazione pratica viene data in forma di imperativo: "E non vi inebriate di vino, nel quale vi è dissolutezza; bensì siate ripieni dello Spirito" (v. 18). Vedremo più avanti che l'ubbidienza a questo comandamento sta alla base di tutto il resto del brano. Evidentemente l'ubriachezza era un fenomeno comune nell'Asia Antica dove era indirizzata Efesini, per cui Paolo poteva usare quest'abitudine e gli effetti che essa produceva come esempio in negativo di quello che dovrebbe essere l'opera dello Spirito Santo nella vita dei santi. L'effetto della pienezza dello Spirito è l'esatto contrario di quello prodotto da un uso sconsiderato del vino, essendo Spirito Santo "uno Spirito di forza, d'amore e di autocontrollo" (2 Ti 1:7).
Quindi, come il vino assume il controllo della persona ubriaca favorendo un comportamento dissoluto (gr. en ho estin asotia), così l'essere ripieni dello Spirito Santo permette ai santi di comportarsi secondo la volontà di Dio.
Cosa fare per essere Ripieni dello Spirito?
Se ci si domanda che cosa si possa fare per ubbidire al comandamento: "Siate ripieni dello Spirito" la risposta è che bisogna partire dalla continuazione del brano, perché esso fornisce una risposta molto precisa. Tale risposta è articolata in cinque gerundi, ovvero complementi predicativi del verbo principale "siate ripieni".
Innanzitutto c'è un gruppo di tre gerundi: "parlandovi in Salmi e inni e canti spirituali, cantando e salmeggiando nel vostro cuore al Signore" (v. 19). Secondo Foulkes, parlandosi in salmi, inni e canti sta a indicare una profonda "comunione" spirituale gli uni con gli altri, comprendenti i discorsi dei santi oltre che la lode comunitaria.
Quanto al cantare, da questo e altri brani delle Lettere di Paolo apprendiamo che era una pratica comune nelle chiese apostoliche leggere o cantare i salmi (cfr. Cl 3:16; 1 Co 14:26). Inoltre Paolo
incoraggia il canto di "inni", verosimilmente composizioni simili ai brani poetici che troviamo in 1 Timoteo 3:16 e Colossesi 1:13-18.
Poi c'erano i non meglio definiti "canti spirituali". In pratica si possono distinguere tre categorie di canti che si completano a vicenda: i Salmi, inni paragonabili agli inni classici come Forte Rocca di Martin Lutero e alcuni degli inni di Charles Wesley, e canti spirituali contemporanei. Credo che tutte e tre queste categorie abbiano diritto di cittadinanza negli incontri di chiesa, in vista di rendere il più sensibili i cuori dei santi alla voce dello Spirito.
Il v. 20 contiene il più sorprendente di questa serie di gerundi: "ringraziando continuamente per ogni cosa Dio Padre nel nome del Signore nostro Gesù Cristo." A primo vista sembra assurdo pretendere che si ringrazi per ogni cosa, visto che molte cose che succedono sono frutto della caduta di Adamo. Però chi seleziona quello per cui ringraziare, e non ringraziare, Dio Padre rischia di vivere come se Dio sia assente quando le cose vanno male. Invece chi ringrazia Dio per ogni cosa "nel nome del Signore nostro Gesù Cristo" riconosce che Dio è sempre presente nella vita dei suoi figli per convertire in bene le cose che sono, di per sé, negative (si veda Ro 8:8-29).
L'ultimo dei gerundi che descrivono come ubbidire al comandamento: "siate ripieni dello Spirito", ha a che fare con la vita comunitaria dei santi: "sottomettendovi gli uni agli altri nel timore di Cristo" (v. 21).
Prima dell'incarnazione del Figlio di Dio, i portavoce di Dio avevano ripetuto più volte che "Il timor del Signore è il principio della sapienza; hanno buon senso quanti lo praticano" (SI 111:10; cfr. Pr 1:7; 9:10). Dopo l'incarnazione il "timor di Dio" diventa più specifico "timor di Cristo," ovvero significa riconoscere Cristo come Maestro e Signore. A questo rapporto primario si aggiunge la sottomissione reciproca in quanto tutti i santi fanno parte di un corpo interdipendente di persone, di cui Cristo è il Capo. Quando esiste questa consapevolezza, lo Spirito Santo è libero di operare in tutti i membri della chiesa secondo i carismi elargiti e i ruoli spettanti a ciascuno.
Mogli
"Mogli [sottomettetevi] ai vostri mariti come al Signore, perché l'uomo è capo della donna, come anche Cristo è capo dell'assemblea, egli Salvatore del corpo. Ma come l'assemblea è sottomessa a Cristo, similmente anche le mogli [siano sottomesse] ai propri mariti in ogni cosa" (5:22-24).
Ho messo i verbi "sottomettetevi" e "siano sottomesse" in parentesi perché il loro equivalente non compare nel testo greco. In altre parole l'azione richiesta è un'estensione di quella indicata con il gerundio "sottomettendovi" del v. 21. E, visto che il gerundio "sottomettendovi" dipende dal verbo "siate ripieni ... " (v. 18), l'assenza di un verbo nel v. 22 significa che l'assunzione gioiosa del proprio ruolo da parte delle mogli dipende dall'essere ripiene dello Spirito vuol dire pure che non è possibile per le mogli essere ripiene dello Spirito Santo qualora gli insegnamenti dei vv 22.24 venisse respinto.
Non si può sottolineare troppo il fatto che un buon rapporto di coppia inizia con la sottomissione reciproca di marito e moglie a Cristo (v. 21). Vivere sotto la Signoria di Cristo come membri del suo Corpo è fondamentale per un buon rapporto di coppia, come per ogni altra cosa. Ma è da notare che la famiglia, partendo dal rapporto di coppia, figura nel Nuovo Testamento come la palestra in cui si qualificano coloro che desiderano ricoprire ruoli di conduzione o diaconato nella chiesa (si veda 1 Ti 3:1,4-5; cfr. v. 12).
Un uomo che non cura il suo rapporto con sua moglie non è libero di pregare (cfr. 1 P 3:7). Similmente chi non sa governare efficacemente la propria famiglia "non può avere cura della chiesa di Dio" né come anziano e né come diacono.
La Bibbia stabilisce che l'uomo è capo della moglie. La parola "capo" (gr. kephale) qui riveste il significato comune, attribuendo al marito l'autorità di leader nella coppia. Questo trova conferma nel fatto che la sottomissione della moglie al proprio marito viene paragonata a quella della chiesa a Cristo.
Ma è da notare che, nel paragonare il ruolo del marito a quello di Cristo (v. 23) si allude, oltre che al l'aspetto di autorità, anche a quello di Salvatore. Questo lo dice lungo sul ruolo del marito nei confronti della moglie, stabilendo che il marito deve agire per il bene della moglie.Questo ha delle implicazioni molte pratiche, anche nella vita quotidiana.
Le mogli che si sottomettono a Cristo, sono chiamate a sottomettersi ai propri mariti "in ogni cosa". Dall'agire di Pietro e Giovanni nei primi tempi della chiesa (si veda At capp. 4-5), possiamo dedurre che "ogni cosa" non comprenda pretese che impediscono di onorare Dio o compiere la sua volontà. Ma per il resto significa accettare la guida del marito e rispettarlo nel ruolo affidatogli da Dio come punto fermo, non soltanto sul livello pratico ma anche al livello attitudinale. Questo vale anche quando il marito non fa la sua parte, in quanto le mogli faranno questo "come al Signore". Però quando lo fanno, questo loro modo di
agire non può non attrarre l'attenzione del marito anche quando non lo merita, favorendo un suo avvicinamento al Signore (si veda 1 P 3:1-6).
Mariti
"Mariti amate le [vostre] mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato sé stesso per lei, affinché la santifichi, avendola purificato con il lavacro mediante la Parola; per presentare a sé stesso l'assemblea resa gloriosa, senza macchia o grinza o alcuna cosa simile, ma santa e immacolata. Così devono anche i mariti amare le loro mogli come i loro propri corpi. Colui cha ama la propria moglie ama sé stesso; poiché nessuno ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura teneramente, come anche il Cristo la chiesa; perché siamo membra del suo corpo. Perciò l'uomo lascerà il padre e la madre, e sarà congiunto a sua moglie, e i due diverranno una sola carne. Questo mistero è grande; ma io parlo riguardo a Cristo e la chiesa.
Tuttavia anche ciascun di voi in particolare ami sua moglie come sé stesso, e altresì la moglie rispetti il marito" (5:22-31).
Al posto di fare un'esegesi dettagliata di questi versetti, ci limiteremo a osservare alcuni punti chiave del ragionamento di Paolo. Innanzitutto, è da notare che nel definire il matrimonio secondo il pensiero di Dio, l'apostolo, come Gesù, fa riferimento alla formula creazionale (v. 31; Mt 19:5; Ge 2:24). Il matrimonio biblico richiede che l'uomo si sganci dall'autorità dei propri genitori per unirsi a sua moglie e assumere la
guida della nuova coppia.
A questo proposito l'articolo 144 del Codice Civile italiano non contempla un ruolo di guida per il marito ma poi, con l'articolo 145, indica un'autorità alternativa a cui rivolgersi quando la coppia, privo di una struttura di autorità, non riesce a mettersi d'accordo su una determinata questione.
Ovviamente il piano di Dio funziona meglio in quanto insito nel matrimonio stesso. Inoltre fa sì che l'uomo si senta appagato nel suo ruolo di marito.
La seconda cosa da notare è che l'uomo, oltre a pensare al bene di sua moglie, è chiamato ad amarla in modo incondizionato. È questo il senso del comandamento di amare la propria moglie "come Cristo ha amato la chiesa e ha dato sé stesso per lei" (v. 26). Segue a questo comandamento una descrizione di come Cristo ha amato la chiesa e come sta operando ora per il suo bene (vv. 27-28). Ovviamente il paragone non è nelle cose che l'amore porta i mariti a fare, bensì nel modo di amare.
Sono chiamati ad "amare le loro mogli, come i loro propri corpi" (v. 28). Questo significa che nutrire e curare teneramente la propria moglie "come anche Cristo fa per la chiesa" (v. 29).
Per convincere i mariti ad amare le loro mogli come amano sé stessi, Paolo introduce un concetto molto pratico: nell'amare la propria moglie l'uomo agisce nei propri interessi: "Colui cha ama la propria moglie ama sé stesso" (v. 28). Quale moglie non risponderebbe bene a un marito che "la nutre e la cura teneramente"? (v. 29). In genere le mogli l'apprezzeranno quando l'amore del marito comprende espressioni di tenerezza. Ma anche se non fosse così, l'ubbidienza del marito deve prescindere dall'ubbidienza della moglie al comandamento del v. 22. In altre parole lui deve amare sua moglie in modo incondizionato, come il modo in cui Cristo ama la chiesa precedeva la sua esistenza e continua a prescindere dal grado di ubbidienza della chiesa.
Conclusione
Nel riassumere l'insegnamento di questo brano, Paolo torna a insistere: "ciascun di voi in particolare ami sua moglie come sé stesso, e altresì la moglie rispetti il marito" (v. 33). Ma questo viene dopo il commento che non è di facile comprensione: "Questo mistero è grande; ma io parlo riguardo a Cristo e la chiesa" (v. 32). L'uso del termine "mistero" qui viene interpretato in due modi diversi. Secondo Salmond si riferisce alla natura del matrimonio, rivelato in sintesi nella citazione di Genesi 2:24 ed esposto in modo più esaustivo nel resto del brano. Bruce invece ritiene che il matrimonio c'entri qui soltanto come una parabola del rapporto fra Cristo e la chiesa, in quanto si è visto che la relazione fra Cristo e la chiesa un aspetto importante della grande (gr. mega) rivelazione ("mistero") che Paolo aveva ricevuto per esporla in Efesini (si veda 2:11-3:13).6
Ma forse non è necessario scegliere fra queste due interpretazioni. La stretta associazione stabilita da Paolo fra il rapporto matrimoniale e quello che unisce la chiesa a Cristo testimonia l'estrema importanza che Dio attribuisce al matrimonio. Allo stesso tempo la "parabola" del matrimonio ci aiuta a comprendere meglio il rapporto di Cristo (lo "sposo") con la chiesa (sua "sposa").
Per la riflessione personale o lo studio di gruppo
- Quanto sono importanti le decisioni che prendiamo relative all'uso del tempo?
- In che modo la condizione spirituale dei coniugi cristiani incide sulla loro capacità di vivere secondo i principi illustrati in questo brano?
- In che modo il valore attribuito al matrimonio in questo brano aiuta a comprendere il seguente
ordine e avvertimento: "Il matrimonio sia tenuto in onore da tutti e il letto coniugale non sia macchiato da infedeltà; poiché Dio giudicherà i fornicatori e gli adulteri" (Eb 13:4)?
Rinaldo Diprose
dal libro: Il matrimonio cristiano
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