Nella regione della Baviera si racconta una simpatica storiella. In un certo villaggio erano arrivati i funamboli per dare uno spettacolo serale. Avevano già rizzato la loro impalcatura con una lunga fune, quando passò di là una mamma col suo bambino. Allora il bambino le chiese: “Mamma, si può veramente correre su una corda come quella?” Al che la madre rispose: “Si può se si è capaci! Io però non so farlo!”
Questa è la prima cosa che vi dirò sul nostro tema:
1. Si può parlare con Dio solo se si è capaci
Certo che si può parlargli, Dio è là! Ma molti di voi dovranno purtroppo ammettere di non saperlo fare.
Però è possibile parlare con Lui.
Se potete parlare col signor Rossi, perché allora non potreste parlare col Dio vivente?
Lui è qui.
…ma sapete come parlargli?
Da piccolo ho imparato un canto:
Dal cielo lontano
Dove cantano gli angeli
Dio guarda al cuore umano...
Allora pensavo: “Ma che senso ha pregare, dal momento che non posso gridare così forte da farmi udire da Dio che è così lontano nel cielo?”
Anche i russi si sono beffati di Dio quando hanno detto: “Abbiamo mandato lo Sputnik nel cosmo. Se Dio esistesse avremmo dovuto incontrarlo”.
Questa è una realtà della quale molti non sanno capacitarsi e perciò domandano: “Ma dov’è Dio? E’ lontano nel cielo? E’ alto? A quale altezza? A cento chilometri, a mille chilometri da qui?”
Vi risponderò subito che l’espressione “lontano nel cielo” non esiste nella Bibbia. Anzi, essa ci dice invece qualcosa di molto diverso, dice che «Egli non è lontano da ciascuno di noi”.
In un passo si esprime così: “Tu mi circondi da tutte le parti”.
Solo il mondo tridimensionale è alla portata dei nostri sensi. Ma l’universo è più grande.
Pur essendo in un’altra dimensione, Dio è talmente vicino a noi poterci toccare.
Quando peccavate, Egli era lì presso di voi, e taceva.
Ci sono persone di quaranta o cinquant’anni che hanno peccato tutto la loro vita sotto i Suoi occhi, e Lui tace.
Si può parlare con Dio. Ma è come camminare sulla fune: si può quando si sa farlo. Ecco perché la maggior parte degli uomini deve dire: “Non sono capace”.
Siate sinceri, neanche voi sapete pregare.
Si può parlare a Dio se si sa farlo.
Voi non ne siete capaci.
La caratteristica inquietante del nostro tempo è che si è perduta la capacità di pregare e, di conseguenza, di credere.
Franz Werfel ha scritto un romanzo dal titolo: “Il cielo frodato”. Vi troviamo una frase che mi seguirà finché avrò a che fare con gli uomini. Dice: “Il segno che distingue l’epoca moderna è il rimbambimento metafisico dell’uomo”.
Il termine “metafisico” designa la realtà eterne che, pur esistendo, si trovano nell’altra dimensione. “Rimbambimento metafisico” significa che l’uomo, attraverso la radio, la televisione, chiacchiere, propaganda, ideologia, politica, eccetera, è talmente rimbambito da non rendersi più conto che Dio esiste e che si può parlare con Lui.
Parlare con Dio?
Certo che si potrebbe ...se non fossimo stati rimbambiti da un secolo di razionalismo.
Un sedicenne mi raccontò una tremenda esperienza vissuta quand’era sotto le armi nella seconda guerra mondiale.
La sua batteria aveva appena subito un bombardamento aereo.
Uscendo dal rifugio vide un uomo col ventre squarciato. Voleva aiutarlo, ma quello gli disse: “Non ne vale la pena, tanto devo morire. Però ho bisogno di qualcuno che preghi vicino a me. Ragazzo, vuoi pregare?”
Ma il ragazzo rispose: “Nella Gioventù hitleriana ho imparato a bestemmiare, non a pregare”, e corse dal capitano. Il ragazzo tornò col capitano presso il soldato morente. Il capitano s’inginocchiò davanti a lui e gli chiese: “Camerata, cosa desideri?” "Capitano, devo morire. Preghi vicino a me!” “Santo cielo!” esclamò il capitano, “Io non so pregare!”
Allora il capitano andò a chiamare il primo tenente. Alla fine erano tutti lì, questi uomini pieni di presunzione. Sapevano raccontare le barzellette più sconce, sapevano bestemmiare, ma nessuno di loro era capace di pregare. Non erano capaci di dire neppure un semplice “Padre nostro”.
Il ragazzo mi disse: “Io stavo lì e pensavo: Se un giorno uscirò vivo da questa sporca guerra, la prima cosa che farò sarà di andare in un posto qualsiasi dove potrò imparare a pregare. Non vorrei crepare così miseramente come quell’uomo”.
Ecco la situazione della nostra epoca.
Che si tratti del direttore generale o di un semplice operaio, il primo si crede troppo intelligente per pregare, l’altro non osa, perché è sotto il dominio dei (cosiddetti) liberi pensatori.
Non siamo più capaci di parlare con Dio.
Ciò che Franz Werfel saggiamente chiama “rimbambimento metafisico” è una catastrofe terribile.
Ecco perché ci sentiamo terribilmente impotenti quando avviene una calamità.
Durante i bombardamenti aerei mi sono trovato parecchie volte nei rifugi di Essen insieme con gente che era solita farneticare di vittoria finale, del meraviglioso Führer e della grande Germania, ma quando cadevano le bombe, piagnucolavano e tremavano. E noi cristiani abbiamo pregato e cantato inni per dar loro coraggio, perché non sapevano più pregare.
Quando l’uomo non sa pregare, è una vera catastrofe.
Recentemente mi sono trovato di fronte a un uomo intelligente e colto che sorridendo mi ha detto: “Ma signor pastore, la preghiera non serve per andare avanti!”
“Non dica bestialità!” ho replicato energicamente.
"Perché?”
“Perché lei fa come quell’uomo cui era stata amputata una gamba e che diceva: «Sciare non serve a nulla», perché semplicemente non poteva sciare”.
Si può certamente discutere delle varie tecniche sciistiche, ma non quelli cui sono state amputate le gambe, non vi pare?
Eppure noi facciamo così: non sappiamo pregare, ma diciamo che “pregare non serve a nulla”.
Dal mio modo di parlare avrete certamente capito che su questo punto ho perso il rispetto per i tedeschi. Questo ha i suoi motivi, credetemi.
Quanto più diventiamo miserabili, tanto più sputiamo sentenze.
Il mio desiderio è di convincervi a raccogliervi stasera in voi stessi e dire: “Ma Dio, so che la cosa più elementare da fare per un cristiano è pregare; ma non sono capace”.
Però non è soltanto un senso di rabbia che mi prende per il rimbambimento del mio popolo, ma anche un senso di tristezza. Mi sento turbato al pensiero che la Chiesa si comporta come se la gente sapesse pregare.
E’ quanto capita anche nella vostra città.
A Natale vanno in chiesa molte persone che altrimenti non vanno mai; per il culto di Natale le chiese sono sempre affollate. E quando il pastore dice (ed è proprio questo che mi colpisce): “Preghiamo”, tutti congiungono le mani e abbassano il capo. Allora vorrei mettermi a gridare: “Non fate così! Neppure uno su dieci tra voi sa pregare; recitate soltanto una commedia!”
Non ho forse ragione?
Al matrimonio: “Preghiamo”.
Ai funerali: “Preghiamo”. E li vedete col loro cappello in mano, illudendosi che pregare consista nel guardare il fondo del cappello. E dopo il servizio si va a bere al ristorante.
Quando ero ancora soldato, prima del 1915, un giorno ricevemmo l’ordine di andare in chiesa. Il sergente ci diede le istruzioni: “Entrerete in silenzio, toglierete l’elmetto, poi, stando in piedi, conterete lentamente fino a dodici, dopo potrete sedervi”.
La gene guardava i soldati e pensava: “Pregano veramente con devozione!” Ma noi stavamo soltanto contando fino a dodici.
Penso che ai matrimoni e ai funerali, quando viene detto: “Preghiamo”, la gente non conti neppure fino a dodici. E’ per questo che mi prende una profonda tristezza, perché penso che una volta si poteva dire: “Preghiamo”, e la gente pregava realmente, senza fingere.
Il noto esploratore dell’Africa centrale David Livingstone è uno dei più grandi uomini che il mondo abbia mai conosciuto. Coraggioso, colto e saggio, morì in questa maniera: si trovava in viaggio all’interno dell’Africa, accompagnato soltanto dai suoi portatori indigeni. Una mattina questi piegarono le tende e misero in ordine i bagagli, pronti per la partenza. Solo la tenda di Livingstone era ancora in piedi, ma essi non volevano disturbarlo perché sapevano che la mattina si raccoglieva in preghiera per parlare col suo “Tuan” celeste, il suo Dio. Questa volta però durava più a lungo del solito.
Alla fine il capo-colonna andò a guardare attraverso una fessura e lo scorse in ginocchio.
Aspettarono fino a mezzogiorno, poi decisero di piegare la tenda. Lui era ancora inginocchiato, ma il suo cuore non batteva più.
Questo grande uomo è andato alla casa del suo Signore mentre inginocchiato parlava con Lui.
Eppure il piccolo borghese tedesco, anziché dire tra le lacrime: “Non so più pregare”, dice: “Ma pregare non serve a nulla”.
Non ci vergogniamo?
Livingstone sapeva pregare. Morì in ginocchio.
Noi moriamo in ospedale, accompagnati dalle iniezioni.
Se i medici non ci drogassero, non arriveremmo a sopportare la morte.
Livingstone non aveva bisogno di iniezioni. Parlava con Dio! E conversando con Lui entrò nell’eternità.
Cosa accade nelle famiglie dove si prega?
Nella mia casa paterna, eravamo otto figli e si faceva così: ci raccoglievamo tutti insieme la mattina, prima della colazione. Si cantava un inno: “Brillante stella del mattino ...“ oppure “Lode all’Altissimo...”. Poi si leggeva un brano dalla Bibbia. Alla fine mio padre pregava.
Anche quando non volevo più saperne di Dio, il pensiero che a casa pregavano mi inseguiva. E quando da giovane ufficiale abbandonai tutto e finii sulla cattiva strada, la preghiera dei genitori fu per me come una corda che mi tirava indietro.
Lo praticate Voi il culto mattutino?
A voi uomini, Dio un giorno chiederà conto delle anime dei vostri figli e delle vostre mogli, se non avrete saputo presiedere debitamente alle vostre famiglie.
Come ha inizio la giornata in casa vostra?
Cantate un inno spirituale?
Leggete un versetto della Bibbia?
Pregate?
Cosa avviene se una mattina i vostri bambini vi dicono: “Papà, prega tu una volta con noi”?
Un distino signore di Essen m’invitò un giorno a casa sua.
Ci sedemmo insieme con sua moglie, e lui mi disse: «Mi è capitato qualcosa di strano. Mio figlio sedicenne è tornato dal vostro circolo giovanile e mi ha chiesto: “Perché da noi non si prega?” Allora gli ho detto: “Oh, si tratta solo di formule. Dietro non c’è nulla”. Lui ha replicato: “Papà, cosa ne pensi dello Spirito Santo?”, “Io non ne penso proprio nulla”, gli ho risposto. Allora mio figlio ha detto: “E’ proprio questo la disgrazia della nostra famiglia. Noi abbiamo bisogno di un padre che sappia chiedere lo Spirito Santo!” »
Questo è il racconto di quell’uomo.
Allora gli dissi: “Mi dica, vuole che dia una lavata di capo a suo figlio perché s’è comportato un po’ sfacciatamente verso suo padre?”
“No, no! “replicò. “Ma penso questo: se il ragazzo avesse ragione allora mi troverei nella posizione sbagliata!”
Al che io non potei far altro che aggiungere: “Lei si trova effettivamente nella posizione sbagliata. Il ragazzo ha ragione”.
“Già”, disse lui, “questo lo temo anch’io. Ma cosa devo fare?”
Quell’uomo aveva ad un tratto compreso di aver trascurato la più grande responsabilità di capofamiglia. Non basta comprare i vestiti ai figli e dar loro da mangiare.
Voi padri avente una responsabilità maggiore.
Sapete pregare?
Per illustrarvi il mio pensiero mi servirò di una leggenda che circola tra i marinai.
Sui sette mari si aggirerebbe una vascello fantasma completamente abbandonato dall’equipaggio. Nessuna tempesta è mai riuscita ad affondarlo. Può succedere che un’altra nave avvisti improvvisamente il vascello. Cosa farà?
Cercherà contatto via radio, ma il vascello non risponde.
Ecco, noi siamo come quel vascello fantasma.
Dio cerca il contatto radio, ma il vascello non risponde.
Dio ci manda i Suoi messaggi attraverso lieti e tristi eventi della vita, soprattutto attraverso la Sua Parola. Ma noi non rispondiamo.
Siamo dei vascelli fantasma, ecco cosa siamo.
Una volta che avevo parlato in chiesa di queste cose un bambino chiese a sua madre: “Mamma, perché quel signore sul pulpito grida tanto?”
Spero che mi comprendiate bene, non voglio inveire contro nessuno, ma talvolta mi si spezza il cuore per il dolore quando vedo dove è arrivato il nostro povero popolo.
Intellettuali, operai, uomini e donne, giovani e vecchi, tutte persone che non sanno più invocare Dio, malgrado che Lui sia accanto a ciascuno di noi.
Molti si dicono “cristiani” o “favorevoli alla Chiesa”, ma non sanno pregare. Nel corso delle mie visite incontro sempre persone che mi dicono: “Noi siamo molto cristiani, signore pastore. Mia madre conosce anche il pastore Rossi. L’ha conosciuto anche lei? Mia madre lo conosceva molto bene”.
Allora io rispondo: “Lei è sulla via che va all’inferno, insieme col suo pastore Rossi, se non conosce Gesù. La domanda fondamentale è se lei sa invocare il Nome di Gesù, se sa pregare!”
Per favore, ponetevi anche voi questa domanda: “Io so pregare? Parlo con Dio?” E rispondete.
Forse adesso direte: “Ora basta, pastore Busch! Dicci piuttosto come possiamo imparare a pregare”.
Bene ve lo dirò.
2. Come imparo a pregare?
a) Il primo grido del neonato
Beh, come s’impara a parlare? Vi ricordate forse come avete imparato a parlare? No che non potete ricordarvi. Nemmeno io. Ma se volete imparare a pregare, allora dovete innanzitutto imparare a emettere il primo vagito di un’autentica nuova vita proveniente da Dio.
Vi dirò subito in che cosa consiste. Il signore Gesù raccontò una volta un episodio. Un giorno due uomini si recarono in chiesa.
Il primo era un uomo perbene con un’importante posizione sociale. Andò subito davanti e disse: “Oh Dio, Ti ringrazio che sono una persona tanto perbene”. Ma Dio si era già turato le orecchie. Quell’uomo avrebbe potuto pregare quanto voleva, Dio non ascoltava più.
Accade spesso.
L’altro invece era un “poco di buono”, oggi lo chiameremmo un “pregiudicato”.
Trafficava nel mercato nero, nel contrabbando e altre cose del genere. La Bibbia lo chiama “pubblicano”. Quando entrò in chiesa, preso dalla solennità del luogo sacro non osò nemmeno andare avanti, restò vicino alla porta e pensò: “Io non sono degno di stare qua dentro. In bettola mi trova a mio agio, ma non qui”.
Stava per uscire, quando si ricordò perché era entrato: aveva una grande nostalgia di Dio.
Noi tutti abbiamo nostalgia di Dio. Venire alla casa del Padre! E così quell’uomo non riuscì a uscire. Ma non riuscì neanche ad andare più avanti. Si rese conto dello stato della sua vita allora congiunse le mani e pronunziò solo una piccola frase: “Oh Dio, abbia pietà di me, son un peccatore”.
La Bibbia dice che le schiere celesti cominciarono a cantare di gioia. Un uomo era tornato in vita.
Ecco il primo grido di una vita nuova: “Ho peccato”.
Quando nacque il mio primogenito rimasi presso mia moglie. Fu un parto molto difficile. Pensavo alle parole di Gesù: “La donna, quando partorisce, soffre”.
Mi sembrava quasi che la donna che amavo, a cui sorreggevo la testa, non ce la facesse più. Ad un tratto udii una vocina, un piccolo lamento: il bambino era nato! Una nuova vita! Non era affatto bello quel lamento. Ma piangevo dalla commozione.
Mi capite?
Era il primo vagito di una vita nuova.
Ecco il primo vagito di colui che nasce di nuovo, dell’uomo che si avvicina infine alla luce della verità: “Ho peccato. O Dio, abbi pietà di me, perché sono peccatore”.
Tutto il vostro pregare non approderà a nulla se all’inizio non c’è questo primo vagito.
Non ho mai visto un bambino che abbia cominciato la sua vita tenendo grandi discorsi; all’inizio c’è sempre il primo vagito.
Non c’è altra via per entrare nel Regno di Dio. C’è già stato il primo vagito nella vostra vita?
No? Allora, per amor di Dio, rientrate in voi stessi!
Non faccio il propagandista per una chiesa, amici, ma desidero soltanto che almeno qualcuno fra voi non finisca sulla via dell’inferno. Non dovete far altro che emettere il grido del neonato che nasce da Dio: “Ho peccato. O Dio abbi pietà di me peccatore”.
Quando il figliol prodigo, dopo aver custodito i porci, ritornò a casa, la prima cosa che disse fu: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro te”. Nel momento in cui direte queste parole, Gesù, il Figlio di Dio, vi verrà incontro e vi dirà: “Amico Mio, Io sono morto per i tuoi peccati, ho pagato il tuo debito”.
b) Solo un figlio di Dio sa e può veramente pregare
Recentemente ho incontrato un mio conoscente, padre di tre simpatici bambini, un maschietto e due femminucce.
Mentre mi veniva incontro ho visto come i piccoli si rivolgevano al papà, tutti e tre contemporaneamente, e lui faceva fatica a rispondere a ciascuno.
Giunto alla loro altezza li ho salutati: “Buongiorno signor Tizio, salve ragazzi”. E cosa è successo? I bambini sono subito ammutoliti. Di fronte ad uno sconosciuto tacciono. Ciò significa che i bambini sanno parlare e si sentono a proprio agio soltanto col papà o con la mamma. Se si avvicina un estraneo, si trovano in imbarazzo.
Anche noi possiamo pregare veramente soltanto a condizione di essere figli di Dio.
Se non sappiamo pregare è perché non siamo figli di Dio. Oh sì, religiosi lo siamo, anche battezzati. Siamo “cristiani”, andiamo in chiesa. Diciamo “Buongiorno” al pastore e non parliamo male di loro, perché siamo persone perbene.
Un evangelista ha definito “lepri battezzate” questi cristiani. E quando gli hanno chiesto che cosa intendesse dire, ha risposto: “Se tu acchiappi una lepre e la battezzi, subito dopo se ne scappa di nuovo nei campi. Avviene la stessa cosa con tanti cosiddetti cristiani: appena battezzati, tornano a vivere la vita del mondo”.
Amici, così non si può pregare.
Solo un figlio di Dio sa veramente pregare. E perciò solo un figlio di Dio può essere veramente felice.
E’ dunque necessario diventare un figlio di Dio, per natura infatti non lo siamo. Avrete forse una verniciatura cristiana, ma non siete figli di Dio.
Figli di uomini si diventa solo attraversa la nascita, e figli di Dio soltanto con la nuova nascita.
E’ necessario che diventiate figli di Dio, allora saprete anche pregare. Un figlio di Dio non può più vivere senza preghiera, infatti essa è come il respiro.
I miei giovani scherzano spesso tra loro e si dicono l’un l’altro: “Non dimenticarti di respirare!” riferendosi al respiro dell’anima.
Per un figlio di Dio la preghiera è come il respiro. E’ dunque imperativo che diventiate figli di Dio! Vi dirò ora brevemente come si diventa un figlio di Dio.
E’ una cosa che può avvenire unicamente tramite Gesù. Egli dice: “Io sono la porta. Se uno entra attraverso di Me, sarà salvato”.
Nella spessa nebbia di questo mondo, Gesù viene verso di voi. Egli è l’uomo con le mani e i piedi forati dai chiodi.
Non vi siete mai curati di Lui. Vi sembrava sciocco andare da Lui. Tuttavia Egli viene verso di voi.
Può darsi che lo riconosciate: è quell’uomo che viene dall’altra dimensione, il Figlio di Dio vivente, il Salvatore.
Il primo passo che devo fare per diventare un figlio di Dio è conoscere Gesù.
Il secondo passo consiste nell’avere una grande fiducia in Lui.
Solo Gesù può regolare la mia vita spirituale, solo Lui mi può liberare dall’inquietudine, dalle colpe segrete, dai peccati della mia gioventù.
Nell’Antico Testamento un uomo di Dio ha affermato: “Il Signore ha cura di me”. E’ possibile acquistare talmente fiducia in Gesù da sbarazzarsi del proprio modo di vita per mettere la propria esistenza nelle Sue mani.
Questo si chiama conversione.
A me avvenne a diciotto anni. Mi staccai da un’esistenza senza Dio e diedi tutta la mia vita a Gesù.
Nessuna persona mi aiutò a fare questo. Né io posso aiutare voi. E’ una cosa fra voi e Lui. Prendete coraggio e ditegli: “Ti do la mia via, Gesù; te l’affido per sempre”.
Nel momento in cui farete questo diventerete figli di Dio. Da me vengono ogni tanto delle persone che mi spiegano come si può ottenere la salvezza anche in altre maniere. Provate pure.
Io comunque affermo che c’è una sola porta per entrare nel Regno di Dio: Gesù Cristo, morto e risorto per noi.
Fate il passo verso di Lui, vi aspetta già da tempo. Quando sarete diventati figli di Dio, saprete anche pregare.
Allora la vostra miseria avrà fine, gli potrete aprire il vostro cuore come un bambino può farlo col proprio papà.
Ormai sono pastore da molti anni e ho conosciuto tante persone. Sono giunto alla convinzione che ogni uomo in fondo al cuore nasconde dei segreti che si trascina sempre dietro. Ma quando divento un figlio di Dio, posso aprire il mio cuore a Gesù. Posso parlare con Lui dei miei segreti più nascosti, della mia incapacità di districarmi da una situazione complicata, dei peccati che mi legano.
Gli posso dire tutto quello che non confiderei mai a nessun altro. Alla conclusione di una colonia estiva per giovani un diciottenne diede questa testimonianza: «Ero stato educato cristianamente, ma stavo per abbandonare le mie pratiche religiose. Un giorno, prima di recarmi alla riunione di studio biblico, pregai: “Signore Gesù, se Tu stasera non mi dici personalmente una parola, abbandono tutto. Non posso andare avanti in questa grande città se le mie convinzioni non sono chiare”». «Quando tornai a casa, dopo lo studio biblico, tutto era diventato chiaro. Dio aveva ascoltato la mia preghiera e mi aveva parlato personalmente».
Quando il ragazzo ci raccontò questo, mi colpì il fatto che lui, per essere liberato dal dubbio e dalla disperazione, aveva invocato Gesù e ottenuto risposta.
Quanto più si riceverà risposta se si chiamerà in qualità di figlio di Dio. Mia madre viveva a Hülben, presso Urach, sull’altopiano svevo.
Durante la guerra una volta mi scrisse: «Stanotte mi sono svegliata alla tre e mi sono messo a pensare ai miei figli sui campi di battaglia, ai miei nipoti, a voi che vi trovate nei territori sottoposti ai bombardamenti, a Elisabeth che è nel Canada e della quale non ho più notizie. Mi sono sentita afferrare dalle preoccupazioni, era come se qualcuno mi stringesse la gola con guanti di ferro. Non ce lo faceva più. Allora ho pregato: “Signore Gesù, dammi una parola, non ce la faccio più con tutte queste preoccupazioni”. Ho acceso la luce, e preso la mia Bibbia (beato colui che ha sempre la sua Bibbia sul comodino), l’ho aperto il mio sguardo è caduto su questa parola: “Gettate su Lui ogni vostra preoccupazione, perché Egli ha cura di voi”».
Poi terminò la lettera con queste meravigliose parole: «Allora ho immediatamente scaricato tutto sul mio Salvatore, ho spento la luce e mi sono addormentata tranquillamente».
Che bello quando si può dire: “Ho gettato sul mio Salvatore le preoccupazioni, ho spento la luce e mi sono tranquillamente addormentata”.
Solo chi è diventato figlio di Dio può vivere così.
Mi ricordo che mia madre un giorno disse: “Ieri sera ero talmente stanca da non poter più pregare. Allora ho detto soltanto: Buona notte, caro Salvatore”. Io pensai: “Ecco come parlano i figli di Dio col loro Signore, in modo del tutto naturale”.
Il Signore veglia veramente su Suoi figli.
In ogni momento del giorno e della notte il mio Salvatore è vicino a me, e io son Suo e posso contare pienamente su di Lui.
Mi avete capito bene?
Non saper pregare è una catastrofe colossale.
Vi auguro di emetter il primo vagito: “Ho peccato. O Dio abbi pietà di me peccatore”. Vi auguro di non trovar pace fino a quando non sarete diventati figli di Dio. Allora non dovrò più preoccuparmi per voi.
Wilhelm Busch
(dal libro: Gesù nostro destino, autore Wilhelm Busch 1897- 1966)
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