Desiderando dare delle risposte a queste tematiche ho voluto guardare alla mia esperienza biografica, poiché lo trovo interessante, perché i concetti che qui cerco di definire sono talmente legati alla vita che nessuno di noi può esimersi dal poterli raccontare, è in questa prospettiva del racconto che possiamo aprirci all'altro, partendo dalle proprie esperienze per provare a costruire un significato che queste realtà vogliono raggiungere.

 

E' dalla vita e dalle sue dinamiche che possiamo sperimentare gli elementi salute, malattia e  guarigione, poiché questi  vengono al mondo con noi e ci accompagnano nel nostro divenire. Ma volendo cercare un senso alla parole, dobbiamo allora farci delle domande: Che cosa è salute? Che cosa è malattia? E in che consistono?

 

E per quali conseguenze l’uomo è sano o è malato? E la guarigione in che cosa consiste? Sono queste le domande, o meglio le problematiche con cui l’uomo si deve confrontare. Siamo tutti in qualche modo consapevoli che le risposte non sono scontate o tanto meno queste non sono sempre concordanti. Le diverse culture, i diversi approcci con queste realtà, come i diversi presupposti di convinzioni personali circa la natura della vita umana ci orientano a pensare e ad assumere differenti posizioni anche a riguardo di così importanti interrogativi come quelli che hanno a che fare con la salute e la malattia. Ma una cosa appare certa: che le realtà che queste si attestano a dimostrare sono vere,  e quando una di questa si dimostra, l’altra rimane sempre latente e nascostamente pronta nel suo divenire.

 

L'Organizzazione Mondiale della Sanità, afferma: “con il termine salute non si intende solo mancanza di malattia, ma anche uno stato di completo benessere”. La salute quindi va considerata come armonia tra soma, psiche e mondo esterno.

Di fatto, l'uomo è un'unità dove convivono corpo e anima.

Il filosofo Platone, intorno al IV secolo a.c. scriveva: “Anima e corpo non vanno separati. Ma i medici lo ignorano, è per questo motivo sfuggono loro tante malattie, perché non vedono il tutto”. Ovviamente, Platone, aveva già intuito che l'uomo è un insieme di realtà, dove corpo e anima si relazionano con gli elementi: salute; malattia; guarigione; morte. Noi siamo il risultato della fusione di tutte queste cose, le quali ci aiutano a maturare un rapporto olistico con la vita. Quindi solo accettando il tutto nella sua interezza possiamo raggiungere a dare un giusto senso di equilibrio alla vita, comunque, mai assoluto, ma tuttavia sicuramente pronto a comprendere che noi siamo soltanto in funzione a questo divenire, potenzialmente sani, ma  anche inclini alla malattia e il tendere alla salute diventa quindi un processo continuo dove impariamo a riconoscere  la nostra fattezza provvisoria. E' proprio grazie a questa provvisorietà che ognuno di noi si trova  in relazione con il fattore crescita, senza affatto poter stabilire un punto fisso: “salute, malattia, guarigione”, sono realtà che desiderano sperimentare la vita, sempre pronte a raccontare o anche a riflettere silenziosamente su queste relatività che  paradossalmente possono divenire assolute quando si affacciano  su quell'identità che afferma: “Appena un essere umano viene alla vita è già abbastanza grande per morire” (cfr. Essere e Tempo, Heidegger).

 

Il problema che rimane sempre aperto sulla vita, è dunque quello dell'identificazione, come quel dato di un fatto che colloca l'uomo in quella fase di esperienza provvisoria “che egli è”. Il dove si trova dunque, il suo stato, il come egli si sente. La condizione umana, qui risulta piena di significati a cui solo in parte possiamo provare a dare dei riferimenti come: gioia; amore; paura; malattia; angoscia; coraggio; guarigione; morte; ma anche fede, speranza e salvezza. In queste molteplici e concrete realtà, possiamo ancora domandarci: “cosa si aspetta l'uomo?”. 

Tra le tante risposte ci potrebbe essere anche questa: “non credo che l'uomo possa pretendere un certificato d'immunità ai casi della vita, ma credo, che nonostante  questo trovarsi esposto alla vita e al mondo, quello che più l'uomo desidera è il dono di sapersi  accompagnato nel suo continuo divenire. Spesso è questo quello che più manca, e questa mancanza ci rende più vulnerabili e sicuramente più malati”.

Ma se volessimo ancora dare un'ulteriore visione di  significato sul termine salute, assumendo questa volta il linguaggio comune dettato dalla tradizione popolare, questo dato emergerebbe sotto un'altra forma, ma comunque, sempre come un bene indiscutibile, come il valore sommo cui ciascuno sembra far riferimento nella buona o nella cattiva sorte, il detto: “pensa alla salute“ è una frase largamente pronunciata che vuole assumere il significato di rendere meno drammatica ogni altra disavventura in confronto alla mancanza della salute. La salute quindi sembra aver costituito un punto stabile di riferimento, un valore sicuro e condiviso che nessuno avrebbe mai pensato di svalutare. Ma nonostante le ricchezze delle tematiche che possono essere affrontate su questo argomento, il discorso sulla salute rimane sempre un “iceberg” al cui vertice possono venire collocate tutte le informazioni medico-sanitarie, ma alla base, a reggere l'intera costruzione, non può che essere collocata la motivazione a vivere, ossia quel punto fermo che sappia discutere sulla propria esistenza. Certo dal punto di vista scientifico si può dire che la salute è l'assenza di malattia, la forma di efficienza fisica, la forma di equilibrio psichico,  mentre a differenza, la malattia, risulterebbe l'alterazione di questi equilibri, che irrompono nella nostra esistenza attraverso l'annuncio del sintomo doloroso. Ma in quest'ultima analisi definirei il sintomo doloroso non come un nemico o qualcosa di estraneo da allontanare, ma come un amico che ci avverte a cogliere la consapevolezza che esiste nel nostro organismo uno squilibrio da colmare. Il sintomo doloroso quindi si pronuncia  come una guida che ci invita a muoverci verso un atto responsabile alla vita cioè quello di cercare una via alla guarigione, e sebbene la scienza medica possa esprimere diverse soluzioni, il delicato equilibrio del sapere rimane sempre avvolto  e oscillante tra la certezza e l'incertezza della guarigione, ed è proprio attraverso questa incertezza che l'uomo si è spinto a cercare ulteriori formule creative fino a trovare che il centro della malattia non è la medicina ma il malato stesso. L'uomo qui diventa il soggetto essenziale a  cui questa guarigione si deve perfezionare, non si può quindi più pensare alla guarigione come qualcosa  di riduttivo  a cui somministrare soltanto  antibiotici, ma anche come qualcosa da costruire e da tessere nei rapporti umani, in questa dimensione l'uomo vuole aprirsi ad un più ampio significato cioè  quello che vuole raggiungere il senso di Dio, direi: ”un Dio in mezzo a noi” che  accompagna l'uomo nella sua umanità, nella sua storia. Adesso il ragionamento si fa più ampio e prende respiro in una realtà che non vuole tralasciare nulla, cioè la nostra fisicità, la nostra spiritualità, e desiderando abbracciare la scienza medica e il desiderio di Dio, queste due realtà ci portano a comprendere che entrambi si sforzano di curare l’uomo per guarirlo da un male, ma mentre per la scienza medica la parola data è guarigione, nel desiderio di Dio questa parola assume un  più profondo significato “salvezza” che si concretizza nell'opera e nella persona di Gesù Cristo (Mt. 4,23-24), che segna un modo nuovo, unico e originale di guarire l'uomo dalle sue infermità, Egli lo libera dal peccato e dall'angoscia della  malattia. Gesù, quindi non si limita a guarire l'uomo nella sua fisicità ma lo guarisce tutto, nel corpo e nell'anima.

 

Lo stupore di questo incontro diventa qualcosa di sconvolgente, l'uomo ne esce veramente guarito.

La guarigione qui assume un senso più ampio, che non è soltanto essere liberati dal dolore fisico, ma in Cristo diventa una nuova formula,  che conduce  l'uomo a  farsi riplasmare dall'energia di Dio. La vera guarigione diventa con Gesù un abbandonarsi al Padre, ma non nella dimensione imperitura (cioè non diciamo che dobbiamo evitare di morire) ma bensì in Cristo desideriamo dire: “Signore sia fatta la Tua volontà”. Ecco l'atto di fede che guarisce, il sapersi  accompagnati da Dio, proiettandoci così verso quella realtà che vede l'uomo identificarsi come al cervo che cerca acqua per placare la sua sete, e che non riposa prima di averla appagata.  Il  cuore che guarisce desidera trovare Dio per la sua piena realizzazione e soddisfazione, per il suo riposo. Per rafforzare la nostra personale fede in Dio, preghiamo con il salmista il Salmo 42  affinché anche noi siamo guariti in Lui.

 

Amen.

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