Una voce fuori dal coro, Fiamma Nirenstein, sul triste epilogo della vita del concittadino italiano...
Ci sono tre o quattro cose chiare e tuttavia difficili da digerire
nell'orribile omicidio di Vittorio Arrigoni. La prima naturalmente è la
crudeltà della pubblica esecuzione di un giovane uomo che aveva
famiglia e amici. E ciò è chiaro. Ma non lo è la patente realtà che
gli assassini siano jihadisti islamici di Gaza. Avrebbero potuto essere
afghani, o iracheni.
Nel 2002 Daniel Pearl fu ucciso a Karachi con
metodi analoghi perché era ebreo; nel 2004 l'americano Nick Berg in
Iraq fu decapitato in video per, dissero gli jihadisti, «dare un
chiaro messaggio all'Occidente »; Fabrizio Quattrocchi perché «nemico
di Dio, nemico di Allah» e Arrigoni, come dicono i suoi carnefici nel
video con la scritta che scorre, perché «diffondeva a Gaza il
malcostume occidentale» e «l'Italia combatte i Paesi musulmani». Si
ripete molto che Hamas, di cui Arrigoni era amico, ha condannato il
delitto. Ma in realtà non importa se gli assassini sono iscritti a
Hamas oppure no. Lo sono stati, lo saranno, lo sono... Anche Al Qaida,
che a Gaza c'è, è meglio o peggio accolta a seconda dei momenti. Ma
Hamas è sempre padrona di Gaza.
Suo è il rapimento di Shalit, sua la distruzione armata del campo di ricreazione dell'Onu per bambini non confacente ai dettami islamici, suo l'arresto di 150 donne con l'accusa di stregoneria e l'assassinio di alcune, sua l'acquisizione nella legge della pena di morte, la fustigazione, il taglio della mano, la crocifissione. Sua l'uccisione del libraio Rami Khader Ayyad, cristiano di 32 anni che vendeva Bibbie. Magari non sono tutti iscritti a Hamas quelli che compiono queste operazioni, o quelli che manda a sparare i missili Qassam contro Israele, mentre a volte li trattiene. E a volte reprime i giovani come ha fatto nei giorni scorsi in piazza. Hamas è un movimento, un partito, uno Stato integralista, nel suo statuto stabilisce che vuole la distruzione dello Stato ebraico, lo sterminio degli ebrei e la sottomissione di tutto il mondo al califfato islamico. Le frange salafite e quelle più legate alla Fratellanza Musulmana in Egitto, di maggiore o minore influenza iraniana o qaedista residenti nella Striscia, si associano e si dissociano. Il fatto che Hamas adesso li disconosca non ha nessunissima importanza.
Per capire la morte del giovane italiano è invece importante afferrare che essa è stata innescata dallo spurio mescolamento dei suoi ideali umanitari con la causa di Gaza integralista, dalla sua vita mescolata a quella dei suoi potenziali nemici nell'illusione di accattivarseli. Non c'è simpatia stabile da parte di un integralista. Solo la sua idea di Dio conta. La Gaza di Hamas, dove Arrigoni viene ucciso, per come la conosciamo è sempre terra incognita. Arrigoni amava i palestinesi, ma restava un estraneo. Per quanto uno possa combattere per uno Stato palestinese è poi difficile vivere con chi spara missili sui civili, indossa cinture di tritolo, distribuisce caramelle quando viene uccisa a Itamar una famiglia israeliana di cui fanno parte un bambino di tre mesi, uno di quattro anni, uno di nove.
È un punto teorico molto importante: quando vai a Gaza, come in Afghanistan, devi sapere bene che la nostra concezione della vita, con tutti i suoi difetti e le sue falle, è tuttavia così carica di valore in sé che ci è difficile accedere l'idea che un terrorista suicida, o la madre di terrorista suicida, o un gruppo di amici che magari vedi tutti i giorni, possano attribuirle valore a seconda di una scala che vige solo secondo la sharia e l'interpretazione del potere vigente. Puoi morire perché sei ebreo, perché sei italiano, o cristiano, perché sei un apostata, o un corrotto occidentale... la fantasia estremista, non ci si può illudere, elide amici e sodali. Per quanto uno si sia speso contro «il potere sionista» e abbia usato per gli ebrei l'appellativo «ratti» (purtroppo Arrigoni l'ha fatto, e questo tuttavia non può cambiare la pietas per lui e la sua famiglia), niente vale se sgarri rispetto a una norma non tua, che resterà indistinta fino alla lama del coltello. L'islamismo politico può ammiccare, ma poi uccide, anche se nessuno di noi, gente della cultura ebraico-cristiana, lo può, oggi, capire.
E dunque, è intellettualmente triste e anche pericoloso che una manifestazione davanti al Parlamento incolpi Israele e l'Italia della morte di Arrigoni; o che l'Ism, Ong filopalestinese cui Arrigoni apparteneva, dia «responsabilità morali allo Stato d'Israele». Queste reazioni sembrano uscire da uno shock di perdita o da un cieco odio ideologico. Ma più ancora colpisce, con tutto il sincero rispetto per la figura del presidente della Repubblica, che nel suo giusto comunicato di cordoglio Giorgio Napolitano, invece di biasimare l'integralismo islamico, chieda la «ricerca di una soluzione negoziale al conflitto che insanguina la regione». Con la stessa coerenza, avrebbe potuto invocare qualsiasi altra buona causa: la lotta alla fame nel mondo o alla prostituzione infantile. Invece ecco che si richiama Israele a qualche misteriosa responsabilità. Ma la colpa è dell'integralismo islamico, che c'entra tirarci dentro il dolente testimone e vittima di questo grande problema comune?
Suo è il rapimento di Shalit, sua la distruzione armata del campo di ricreazione dell'Onu per bambini non confacente ai dettami islamici, suo l'arresto di 150 donne con l'accusa di stregoneria e l'assassinio di alcune, sua l'acquisizione nella legge della pena di morte, la fustigazione, il taglio della mano, la crocifissione. Sua l'uccisione del libraio Rami Khader Ayyad, cristiano di 32 anni che vendeva Bibbie. Magari non sono tutti iscritti a Hamas quelli che compiono queste operazioni, o quelli che manda a sparare i missili Qassam contro Israele, mentre a volte li trattiene. E a volte reprime i giovani come ha fatto nei giorni scorsi in piazza. Hamas è un movimento, un partito, uno Stato integralista, nel suo statuto stabilisce che vuole la distruzione dello Stato ebraico, lo sterminio degli ebrei e la sottomissione di tutto il mondo al califfato islamico. Le frange salafite e quelle più legate alla Fratellanza Musulmana in Egitto, di maggiore o minore influenza iraniana o qaedista residenti nella Striscia, si associano e si dissociano. Il fatto che Hamas adesso li disconosca non ha nessunissima importanza.
Per capire la morte del giovane italiano è invece importante afferrare che essa è stata innescata dallo spurio mescolamento dei suoi ideali umanitari con la causa di Gaza integralista, dalla sua vita mescolata a quella dei suoi potenziali nemici nell'illusione di accattivarseli. Non c'è simpatia stabile da parte di un integralista. Solo la sua idea di Dio conta. La Gaza di Hamas, dove Arrigoni viene ucciso, per come la conosciamo è sempre terra incognita. Arrigoni amava i palestinesi, ma restava un estraneo. Per quanto uno possa combattere per uno Stato palestinese è poi difficile vivere con chi spara missili sui civili, indossa cinture di tritolo, distribuisce caramelle quando viene uccisa a Itamar una famiglia israeliana di cui fanno parte un bambino di tre mesi, uno di quattro anni, uno di nove.
È un punto teorico molto importante: quando vai a Gaza, come in Afghanistan, devi sapere bene che la nostra concezione della vita, con tutti i suoi difetti e le sue falle, è tuttavia così carica di valore in sé che ci è difficile accedere l'idea che un terrorista suicida, o la madre di terrorista suicida, o un gruppo di amici che magari vedi tutti i giorni, possano attribuirle valore a seconda di una scala che vige solo secondo la sharia e l'interpretazione del potere vigente. Puoi morire perché sei ebreo, perché sei italiano, o cristiano, perché sei un apostata, o un corrotto occidentale... la fantasia estremista, non ci si può illudere, elide amici e sodali. Per quanto uno si sia speso contro «il potere sionista» e abbia usato per gli ebrei l'appellativo «ratti» (purtroppo Arrigoni l'ha fatto, e questo tuttavia non può cambiare la pietas per lui e la sua famiglia), niente vale se sgarri rispetto a una norma non tua, che resterà indistinta fino alla lama del coltello. L'islamismo politico può ammiccare, ma poi uccide, anche se nessuno di noi, gente della cultura ebraico-cristiana, lo può, oggi, capire.
E dunque, è intellettualmente triste e anche pericoloso che una manifestazione davanti al Parlamento incolpi Israele e l'Italia della morte di Arrigoni; o che l'Ism, Ong filopalestinese cui Arrigoni apparteneva, dia «responsabilità morali allo Stato d'Israele». Queste reazioni sembrano uscire da uno shock di perdita o da un cieco odio ideologico. Ma più ancora colpisce, con tutto il sincero rispetto per la figura del presidente della Repubblica, che nel suo giusto comunicato di cordoglio Giorgio Napolitano, invece di biasimare l'integralismo islamico, chieda la «ricerca di una soluzione negoziale al conflitto che insanguina la regione». Con la stessa coerenza, avrebbe potuto invocare qualsiasi altra buona causa: la lotta alla fame nel mondo o alla prostituzione infantile. Invece ecco che si richiama Israele a qualche misteriosa responsabilità. Ma la colpa è dell'integralismo islamico, che c'entra tirarci dentro il dolente testimone e vittima di questo grande problema comune?
Il Giornale, 16 aprile 2011
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