L'A.T. presenta essenzialmente il mistero dell'elezione d'Israele, popolo messo a parte, selezionato, scelto in vista d'una vocazione speciale. L'elezione si caratterizza per una libera decisione di Dio il cui sovrano consiglio non può esser modificato (Sal. 115:3; Deut. 4:35).
Poichè Dio è il dispensatore di ogni cosa: dei beni e dei mali (Giob. 1:21; Am. 3:6; Is. 45:6 e ss.).
L'elezione d'Israele non è tuttavia fine a se stessa. È un mezzo, quello mediante il quale Iddio persegue il suo piano di realizzazione dei Regno. La scelta di Abramo da parte di Dio non fu misura strettamente personale ed arbitraria. Il patto con lui e con la sua posterità si propone la benedizione di tutte le famiglie della terra (Gen. 12:2). Cosi è anche per Israele (Es. 19:3-6; Deut. 4:34; ecc.).
L'elezione non è dunque una predestinazione che decreterebbe un destino irrevocabile degli individui. La predestinazione occupa incontestabilmente un posto importante nel N.T. L'Evangelo parla chiaramente della sovranità della decisione divina, della scelta di Dio anteriore ad ogni decisione umana in vista della salveza degli individui (Matt. 10:29 e ss.; Luca 10:20; 12:32; Matt. 25:34; ecc.).
La conoscenza stessa di Dio è rivelata come liberamente data da lui a quelli che egli sceglie (Matt. 11:25-27; 12:39).
Il quarto Ev. da affermazioni di Gesù in questo senso ancor più nette di quelle dei Sinottici!
Gli Ebrei non credono giacchè non possono capire Gesù (Giov. 8:43,47); nessuno viene al Cristo se il Padre non l'attira (Giov. 6:44). Tutti quelli che sono destinati a Cristo, verranno a lui (Giov. 6:37). È stato Cristo a scegliere i suoi discepoli (Giov. 15:16) e il Cristo li conosce dal principio (Giov. 13:18). E tuttavia questa dottrina non sopprime, nel quarto Ev., le affermazioni relative alla responsabilità degli increduli.
I partigiani d'una predestinazione rigorosa pretendono fondarsi sugli scritti di Paolo. È evidente che i capp. 9 e 11 dell'ep. ai Romani, presi isolatamente, sembrano appoggiare una dottrina della duplice predestinazione: « Fa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole » (Rom. 9:14-18). Ma si rileggano attentamente i capp. alla luce di tutto il contesto paolino e ci si renderà conto che tutta la teologia di Paolo sull'elezione come sulla predestinazione individuale riposa su due principi:
1. Il credente è predestinato in Cristo a divenire simile a Cristo (Rom. 8:28 e ss.; Ef. 1:5,11; 3:11; Gal. 1:4).
2. Questa predestinazione dipende solo dalla volontà sovrana di Dio.
L'azione umana non può nulla contro questa volontà. L'iniziativa della salvezza appartiene a Dio soltanto. Al riguardo, Paolo sostiene di asserire senza discussione la gratuità assoluta della salvezza. E respinge d'altronde senza riserve, l'idea che la condanna dei reprobi sarebbe un'ingiustizia divina, e che il loro indurimento non impegnerebbe la loro responsabilità, al pari dei quietismo dei credenti. « Compiete la vostra salvezza con timore e tremore ... » (Pil. 2:12).
« Combatti il buon combattimento della fede... » (1Tim. 6:12). « Predica la parola » (2 Tim. 4:2; ecc.).
Che si tratti d'affermazioni umanamente paradossali è vero, e l'apostolo lo riconosce quando scrive: « O profondità della ricchezza e della sapienza di Dio e della conoscenza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi, e incomprensibili le sue vie! » (Rom. 11:33).
La posizione degli altri scritti del N.T. corrobora quella di Paolo. E si può dire che tutta la Scrittura « afferma da un lato la sovranità incondizionata della volontà di Dio, l'iniziativa divina sempre unilaterale, che s'esprime nell'elezione e nella vocazione e si confonde eternamente con la predestinazione; dall'altro lato, la gratuità della salvezza, che non dipende mai dalle opere, ma sempre dalla fede in questa gratuità » (è per aver ignorato questo principio, che Israele, eletto da Dio, s`è indurito ed ha meritato la perdita provvisoria delle prerogative della sua elezione) — « senza che siano disconosciuti o minimizzati la necessità della risposta umana dell'obbedienza e l'atto della responsabilità.
È necessario che ci rivolgiamo alla teologia, e specialmente alla Riforma, per trovare una valida spiegazione del dogma della predestinazione? Inutile soffermarci qui sulla teologia scolastica che, fondandosi sul merito delle opere, non può sostenere che una predestinazione molto cervellotica. Al contrario la Riforma, soprattutto con Calvino, ha ripreso, rendendole più rigide, le tesi di Sant'Agostino sulla grazia divina, sola causa della salvezza, irresistibile e inammissibile.
Reagendo contro il valore delle opere e la necessaria mediazione salvifica della Chiesa, i Riformatori hanno accentuato il carattere sovrano della grazia, e cercato la fonte e la certezza della salvezza in una predestinazione più o meno incondizionata.
Nella sua Istituzione della religione cristiana, Calvino arriverà perfino a proclamare una duplice e implacabile predestinazione che Dio avrebbe pronunziato da tutta l'eternità (capp. 21-24, Vol. III). « Chiamiamo predestinazione, egli scrive, il consiglio eterno di Dio, mediante il quale ha determinato quel che voleva fare di ciascun uomo. Poichè non li crea tutti in una stessa condizione, ma ordina gli uni alla vita eterna, gli altri a eterna dannazione! ».
Il dogma della duplice predestinazione elaborato da Calvino non si giustifica nè con l'A.T. nè col N.T.«
Ho messo dinanzi a te la vita e la morte, dice l'Eterno al suo popolo. Scegli la vita » (Deut. 30:15-20). «Iddio vuole che tutti gli uomini siano salvati » scrive Paolo (1 Tim. 2:4).
Occorre leggere d'altronde i capp. 14-20 del libro III deti'Istituzioni Cristiane sulle miserie del cristiano e la necessità di dimorare in Cristo; sulla libertà cristiana e sulla preghiera; bisogna leggere il cap. 7 del libro III, relative alla vita cristiana, alla rinunzia a se stessi e al dovere della carità, per rendersi conto che se Calvino nega la libertà sul piano teorico, egli l'afferma sul piano pratico.
Non bisogna inoltre dimenticare che Calvino non ha dedicato che 70 pagine della sua opera colossale alla difesa della duplice predestinazione. La spiegazione di queste 70 pagg. va cercata semplicemente nella reazione del riformatore contro le teorie d'una chiesa che annunziava la salvezza mediante le opere attraverso il suo magistero.
Contro Roma che perseguita, martirizza e scomunica quelli che respingono la sua autorità sovrana, Calvino innalza il magistero dalle sola sovranità di Dio. Cosi facendo spinge il suo ragionamento all'estremo.
Il dogma della duplice predestinazione è stato, al tempo della Riforma, un mezzo d'affrancamento, una fonte di consolazione, un'assicurazione invincibile per un grandissimo numero di povere coscienze, come ha scritto Eugene Choisy (Calvin educateur des con-sciences, pag. 121). A questo solo titolo, essa potrebbe giustificare la sua presenza nell'opera teologica della Riforma.
La portata temporanea, nel quadro storico del XVI sec., della duplice predestinazione calvinista. Calvino sembra averla sottolineata egli stesso, scrivendo ben altre pagine, che abbiamo sopra richiamate, sulla libertà e la responsabilità umana. pagine che escono dall'elemento puramente transitorio della disciplina, per fare corpo con la dottrina stessa del riformatore. Dopo di ciò, Calvino, uomo della Bibbia, lasciando allo Spirito Santo la cura d'illuminare per lui l'intera Scrittura e di dire l'ultima parola, corregge egli stesso i rigori d'un dogma eccessivo.
Queste poche riflessioni devono permetterci di capire meglio il pensiero di Calvino e di render giustizia al suo amore appassionato per la Bibbia, parola di Dio. Tutto sommato, leggendo Calvino, invece di lasciarci turbare davanti a conclusioni apparentemente contraddittorie, riconosciamo insieme con lui (come insieme a Paolo) che tradurre le verità divine è cosa umanamente impossibile. Giacchè la Bibbia afferma la predestinazione e la responsabilità umana.
La Bibbia afferma la predestinazione ma non la commenta mai al punto di dichiarare che gli uni sono ordinati alla vita eterna e gli altri alla dannazione eterna. Iddio non maledice in base ad un'ordinanza prestabilita.
Le maledizioni d'Israele (Gen. 16), o di Moab (Num. 22: cfr. Deut. 23:3,4), p. es., sembrano nettamente provocate da cause umane, individuali o collettive. ed essere, ad ogni modo, consecutive a queste cause: disobbedienza, infedeltà, non osservanza della Legge (Gal. 3:10; ecc.).
Sul come e sul perchè della predestinazione, la Bibbia lascia regnare il più gran mistero, riservando a Dio solo la conoscenza d'una dottrina che resta il suo segreto, e che non diviene percettibile all'uomo, nel senso d'una predestinazione alla salvezza, che quando l'uomo è passato attraverso la nuova nascita (cfr. Et 1:3 ss.).
In definitiva, poichè per la Riforma e per Calvino stesso la predestinazione, lungi dall`essere un soggetto di speculazione, è restata il mistero di Dio, per questo motivo, sotto apparenze contradittorie, i riformatori hanno potuto restaurare il diritto della rivelazione, cioè da un canto la sovranità di Dio e la graduità della giustificazione, dall`altro la libertà umana di scelta e la necessità dello sforzo della santificazione.
Per questa raggione la riforma, lungi dall`impastoiare lo zelo apostolico, è stata un potente strumento dell`azione missionari.
Nuovo dizionario Biblico Renè Pache
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