1. Un fallimento?
L’ingiustizia sociale, l’incremento della violenza e l’immoralità sono i caratteri dominanti del mondo di oggi. E i paesi cristianizzati, nei quali la religione ha per molto tempo fatto da freno al rilassamento dei costumi, danno un triste esempio alle altre nazioni.
Dobbiamo concludere che il Cristianesimo ha fatto fallimento e che il male ha il sopravvento sul bene? No; non sono i principi cristiani che hanno fallito, ma i cristiani stessi. Il meno che si possa dire è che la cristianità in generale non ha creduto, e ancor meno vissuto, la dottrina di Colui di cui porta il nome, quella dottrina ammirevole che insegna l’ubbidienza à Dio e l’amore per il prossimo. Molti dicono bene della morale cristiana ma non vogliono saperne di Colui che ne è la sorgente e l’ispirazione, Gesù Cristo.
2. Una pretesa?
Voi che portate il nome di Cristo, dicendovi cristiani, pensate di averne diritto? Siete un discepolo a cui Gesù dice: «Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli» (Giovanni 8:31), o uno a cui dovrà dire un giorno: «Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me» (Matteo 7:23)?
Per essere cristiano non basta figurare sul registro dei battesimi di una chiesa; non sarà quel registro ad essere consultato nel grande giorno del giudizio, quando Dio farà comparire tutti gli uomini davanti a sé per giudicarli secondo le loro opere!
3. Un diritto?
Perché possiate portare il vostro nome di famiglia, lo stato civile ha dovuto, alla vostra nascita, registrare la vostra filiazione. La Bibbia ci insegna che, nello stesso modo, per portare il nome di Cristo ed entrare nella famiglia di Dio, è necessaria una nuova nascita. Solo a questa condizione il nostro nome potrà figurare nel «Libro della vita», una sorte di «stato civile» del cielo dove Dio iscrive, per così dire, il nome di chi ha creduto nel suo Figlio e lo ha accettato come suo personale Salvatore.
«A tutti quelli che l’hanno ricevuto Egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio» (Giovanni 1:12). Avete letto? Un diritto! Ma esso è fondato sull’opera di Cristo, non sui vostri meriti. Non si è cristiani perché migliori di altri o più religiosi, né perché si è battezzati e si va in chiesa, ma perché c’è, per la fede, una relazione vivente tra noi e il Signore Gesù.
4. Una relazione
Il Cristianesimo non è un insieme di ceremonie e di dogmi, ma la conoscenza di una persona, Gesù Cristo; è una relazione tra Lui che dà la vita e noi che la riceviamo.
Questa relazione è stabilita una volta per tutte alla conversione, cioè quando, riconoscendoci peccatori, accettiamo per fede la salvezza gratuita ch’Egli ci offre, il pieno valore del suo sangue versato per togliere i nostri peccati.
Essa poi è mantenuta dallo Spirito Santo, dato al cristiano per rinnovare la sua pace interiore, la sua pazienza, il suo coraggio, la sua fiducia, la sua gioia nell’amore del Signore Gesù per lui.
5. Una ragione di vivere!
A questo amore, il cristiano risponde con l’amore, grande segreto della sua vita interiore. Ben lungi dall’essere una religione di forme e di obblighi, il cristianesimo si riassume in questo: la presa di coscienza della grazia immensa del nostro Signore Gesù Cristo e dei diritti ch’Egli ha sulla nostra vita.
Un uomo è sempre definito da ciò che ama. Se ama il denaro è un avaro; se ama il potere è ambizioso. Se uno ama Gesù Cristo è un cristiano.
La vita cristiana non è solo un bell’ideale e la più nobile delle cause, ma la sola vera perché possiede le certezze dell’eternità. Il credente impara dalla Bibbia ciò che piace o dispiace al Signore, e vive vicino a Lui e nella sua intimità. Gesù Cristo è l’oggetto della sua vita, e la sola causa per la quale valga la pena vivere e morire.
«L’amore di Cristo ci costringe... Egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro» (2 Corinzi 5:14-15).
Anonimo
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