Nel racconto della creazione non ricerchiamo come sia nato il mondo da un punto di vista fattuale, materiale: questo interessa la scienza, non la fede. Non si parla qui di teorie scientifiche, che soppiantano quelle di ieri e saranno a loro volta soppiantate domani, ma di quanto rimane perennemente vero: " tutto dipende da Dio". Questo "in principio" del primo capitolo della Genesi, non va inteso tanto, o soltanto, cronologicamente: tale "principio" è la radice permanente dell'essere, il suo fondamento ultimo.
La memoria della creazione è finalizzata al presente, affinché la consapevolezza di questo fondamento diventi ora radice di salvezza e fedeltà: "io gioisco nel Signore!", esclama il salmista alla fine del lungo salmo 104 (v. 34), che la liturgia propone (in parte) come risposta lirica al racconto.
Cerchiamo quindi piuttosto di lasciar risuonare in noi qualcosa di quello che ha provato Dio al vedere la sua opera: "Dio vide che era cosa buona", sottolinea il ritornello del racconto.
Desideriamo gustare ancora questa bontà del creato - e del Creatore -, ritrovando la meraviglia e il canto, la gioia di esistere: "Benedici il Signore, anima mia!" ci fa cantare ancora il salmo responsoriale.
Questo racconto lo ascoltiamo nella notte di Pasqua, quindi alla luce della risurrezione di Cristo e della rigenerazione battesimale dei credenti. La notte della creazione è la prima delle quattro notti che, secondo la tradizione ebraica, sono salienti nella storia della salvezza: la creazione, il sacrificio di Abramo, il passaggio del Mar Rosso, la futura venuta del Messia.
Le prime tre notti sono raccontate nelle prime tre letture della veglia, che culmina nell'ultima, la notte della risurrezione.
È stata necessaria la croce del Figlio di Dio, perché questa creazione, buona ma devastata dal male e dalla corruzione, ripartisse da capo: il Risorto inaugura la nuova creazione, ne è il primogenito (cf. Col 1,15-18).
E se il sabato è culmine dell'opera creatrice e suo richiamo nel tempo umano, la domenica è perenne memoria della bellezza luminosa (dies prima, il giorno della luce) della redenzione. La gioia si raddoppia: creazione e redenzione, inizio e ripresa, sono prodigi l'uno più stupendo dell'altro.
L'orazione liturgica a conclusione della lettura ci fa' chiedere a Dio intelligenza e meraviglia. Ci occorre un canto sapiente e una sapienza che canta (cf. Sal 47,7-8). Non fredda comprensione né esaltazione insensata, ma intelligenza meravigliata e intelligente meraviglia: davanti all'opera di Dio che - incessantemente - crea e ricrea, libera e salva.

alex

Interessante pensiero, peccato troppo condito di cattolicesimo. Orazione liturgica, per esempio, non fa pensare alla spontanetà nello Spirito ma ad un rituale "magico"....

etc....

Alex

giuseppe68

 Così dice il Signore:
Il cielo è il mio trono,
la terra lo sgabello dei miei piedi.
Quale casa mi potreste costruire?
In quale luogo potrei fissare la dimora?

Tutte queste cose ha fatto la mia mano
ed esse sono mie!

Ti abbraccio in Cristo Giuseppe. 

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