Un aspetto dibattuto, il punto di vista di MARTELLA Nicola
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1. ENTRIAMO IN TEMA: Sul soggetto del divorzio e delle seconde nozze ho avuto modo di confrontarmi sia sul piano dell’interpretazione biblica, sia sul piano pastorale (è un problema ricorrente), sia nel confronto delle idee e nelle discussioni delle diverse opinioni. Inoltre negli ultimi tempi diversi credenti mi hanno scritto, narrandomi la loro storia, la loro tribolazione di persone abbandonate dal coniuge, che si trova oramai in altri legami, e, dopo tanti anni d'attesa, le loro speranze di ricostruirsi una vita in quanto seguaci di Cristo.
La loro domanda è spesso la seguente: Che cosa afferma la Parola di Dio riguardo a nuove nozze, nel caso in cui uno dei coniugi ha abbandonato l'altro, ha rifiutato ogni possibilità di riconciliazione, ma per di più ha divorziato e vive oramai da tanti anni con un'altra persona?
Premetto subito che io credo nell’indissolubilità del patto matrimoniale e che non bisogna mettere fine a esso per arbitrio o per capriccio. Altra cosa è però quando non ci troviamo dinanzi a un caso generale o normale (p.es. dissenso, contrasti fra coniugi), ma a casi di fornicazione o addirittura di adulterio.
Nel mio libro Tenerezza e fedeltà, Sesso & Affini 2 (Punto°A°Croce, Roma 1998), parlo della concezione biblica del matrimonio e del divorzio: «La relazione sessuale durevole», pp. 100-108; «Matrimonio e Bibbia», pp. 109-117; «L’alta monogamia», pp. 118-120; «Matrimonio e patto», pp. 121-129; «Inizio ed essenza del matrimonio», pp. 130-137; «Divorzio e seconde nozze», pp. 138-151.
Sulla concezione del matrimonio nella Bibbia nel suo contesto culturale, si veda pure in Generi e ruoli 1 (Punto°A°Croce, Roma 1996), gli articoli: «Il matrimonio nell’Antico Testamento», pp. 116-150 (pp. 143s Ripudio e divorzio); «Il matrimonio nel Nuovo Testamento», pp. 151-164 (pp. 153s Ripudio e divorzio).
Da anni ho preparato uno studio specifico sui testi dell’AT e del NT, in cui mostro con l’esegesi contestuale e con le lingue originali quale sia l’etica biblica su divorzio e seconde nozze. Esso aprirebbe a molti gli occhi sulla verità biblica che va di là dalle convenzioni sia integraliste sia liberali. Purtroppo non posso permettermene la pubblicazione. In ogni modo, qui di seguito affronterò alcuni aspetti di tale studio.
Inoltre sul sito «Fede controcorrente» io e altri abbiamo già scritto in merito e ci siamo confrontati sull’argomento in vari temi di discussione (vedi in fondo alla pagina per i link).
2. LA TRATTAZIONE BIBLICA: Al riguardo si tengano presenti i seguenti aspetti della questione.
2.1. LA CONCEZIONE DEL MATRIMONIO: Se si ha una concezione sacramentale del matrimonio, tipica delle denominazioni a conduzione clericale, si arriverà chiaramente a conclusioni prevedibili. La concezione sacramentale dà al clero di riferimento l’arbitrio di sciogliere ciò che principalmente è indissolubile; a tale legge, per principio uguale per tutti, la curia nostrana dà dispensa a coloro che sono «più uguali» degli altri, ossia a ricchi e potenti. Una concezione sacramentale del matrimonio non si trova nella Bibbia.
Nella sacra Scrittura il matrimonio è un «patto», ossia un accordo sociale stipulato dinanzi a Dio e basato sulla volontà di essere leale e fedele verso il coniuge (cfr. Mal 2,14).
2.2. L’INSEGNAMENTO DELLA TORÀ: La Legge mosaica prevedeva che il patto matrimoniale potesse essere sciolto anche in casi di infedeltà tali che non configuravano ancora il reato di adulterio (Dt 24), per il quale c’era la morte (Lv 20,10; Dt 22,22) al pari della fornicazione prematrimoniale (Dt 22,13ss.20s.23s). Anche al tempo del NT questa era la convinzione di Gesù e degli apostoli.
Una donna promessa sposa e che aveva rapporti prematrimoniali consensuali con un altro uomo, non veniva semplicemente ripudiata, ma messa a morte (Dt 22,23s). Lo stesso accadeva per una donna che entrava nel matrimonio e il cui marito scopriva che ella non era più vergine (Dt 22,13ss.20s).
In Dt 24,1 la locuzione «nudità di una parola / cosa» si riferiva a una moglie con un linguaggio o atteggiamenti licenziosi, sebbene tutto ciò non arrivasse alla prostituzione o all’adulterio.
2.3. L’INSEGNAMENTO DI CRISTO: Gesù concordava con Dt 24 e con i limiti ivi descritti, usando addirittura la stessa terminologia; `ërewat dābār «nudità di una cosa / parola» in Dt 24,1 (come in Dt 23,15 ebr. [= Riv. v. 14]) corrisponde a parentòs lògou porneías «a eccezione della parola di fornicazione (o lussuria)» di Mt 5,32 e a mè epì porneía «se non a causa di fornicazione (o lussuria)» di Mt 19,9. Si noti che l’espressione di Mt 5,32 si riferisce direttamente a Dt 24,1, ossia a quella parola di fornicazione o lussuria!
Gesù non poteva riferirsi ai rapporti prematrimoniali di Dt 22, poiché in tali casi c’era poco da mandar via: l’esecuzione della condanna capitale, rendeva il coniuge di fatto socialmente libero. A ciò si dovette il fatto che Giuseppe, quando fu messo dinanzi all’evidenza di un gravidanza di Maria, la volle lasciare di nascosto alfine di evitarle la pubblica infamia e una probabile tragica morte (Mt 1,19).
In corrispondenza a Dt 24, in Mt 5,32 e 19,9 si intendeva il significato generico di «lussuria, scostumatezza morale, atteggiamenti licenziosi», senza però che si arrivasse a rapporti illeciti. Come abbiamo visto, la stessa locuzione di Dt 24,1 fu riportata da Gesù in Mt 5,32 come logos porneias «parola / cosa di fornicazione» e si riferiva a quella parola della Legge. Alcuni manoscritti riportano la stessa locuzione anche in Mt 19,9, dove logos porneias fu abbreviato tecnicamente perlopiù come porneia. Il campo semantico di porneia era vasto e andava da lussuria a fornicazione e a prostituzione, designando anche i rapporti illeciti (p.es. fra consanguinei). Nel contesto deve trattarsi particolarmente di lussuria verbale od ostentata, altrimenti Gesù avrebbe parlato direttamente di adulterio, per il quale nel giudaismo del tempo c’era la morte per lapidazione (cfr. Gv 8), come pure nel caso di prostituzione.
2.4. L’INSEGNAMENTO DI PAOLO
2.4.1. IL CASO NORMALE: Dapprima bisogna considerare il caso normale di ogni legge, per poi valutare le eccezioni. Per rendere l’idea dell’originale, traduciamo letteralmente aner con «uomo» e ghyné con «donna», intendendo nel contesto un uomo e una donna sposati.
■ Romani 7,2: «Infatti la donna maritata è legata [dédetai] mediante la legge all’uomo, fintantoché egli vive; ma se l’uomo morisse, ella è liberata dalla legge dell’uomo». Come si vede nell’originale il verbo «legare» non compare per nulla alla fine della frase (qui molte Bibbie recitano in italiano: «ella è sciolta dalla legge che la lega al marito»), ma solo all’inizio d’essa. Per onestà bisogna evidenziare che il tema di Rm 7 non è quello di separazione e ripudio, ma quello della legge mosaica, per la quale viene preso come illustrazione il caso normale del rapporto fra un marito e una moglie.
■ 1 Cor 7,39: «Una donna è vincolata [dédetai] per tutto il tempo che vive il suo uomo; ma, se l’uomo si addormentasse [= morisse], ella è libera di maritarsi a chi vuole, solo [sia] nel Signore». Si noti che anche qui Paolo ricordò il caso normale (le altre eccezioni le aveva discusse all’inizio del capitolo), per significare: ▪ 1) La donna che si sposa, sappia quello che gli aspetta (vv. 34.36ss); ▪ 2) Quella che non si sposa, può consacrarsi meglio al (servizio del) Signore (vv. 35.40).
2.4.2. LA REGOLAMENTAZIONE: Ogni legge che si rispetti, accanto al caso normale, contiene le debite eccezioni, per essere giusta. Gesù stesso previde, in conformità con Dt 24, un’importante eccezione. In 1 Corinzi 7 l’apostolo Paolo affrontò in particolare i seguenti aspetti.
■ Il principio generale: Una persona credente è vincolata al proprio coniuge per tutto il tempo che quest’ultimo vive. Inoltre bisogna maritarsi nel Signore (v. 39). Questo aspetto lo abbiamo considerato nel punto precedente.
■ Il matrimonio fra credenti (vv. 10s). Qui una separazione è possibile, ma i coniugi non devono contrarre un altro vincolo matrimoniale né avere rapporti sessuali con un’altra persona. Chiaramente qui venne trattato il caso normale (separazione per motivi caratteriali, umani, ecc.); si noti che Paolo non affrontò qui la questione dell’indecenza morale (porneia) e dell’adulterio, poiché tale evenienza era scontata.
■ Il matrimonio misto (vv. 12-16). A differenza della prassi ingiunta ai tempi dell’AT, Paolo consigliò di non separarsi dal coniuge non credente, a meno che l’iniziativa non partisse da quest’ultimo.
■ Il matrimonio di divorziati prima della conversione (vv. 17ss.24.27s). In tali casi, chi era già sciolto da donna, non peccava risposandosi.
Qui di seguito approfondiremo gli ultimi tre aspetti.
2.4.3. MATRIMONIO FRA CREDENTI (1 Cor 7,10s)
■ Il tenore del brano: Paolo rispose qui solo alle domande che gli furono fatte, senza trattare tutti i casi. Egli affermò che due coniugi credenti non avrebbero dovuto separarsi per alcun motivo. Abbiamo visto che l’apostolo non affrontò qui la questione dell’indecenza morale (porneia) e dell’adulterio, infatti ciò risultava già chiaro dall’insegnamento di Gesù, il quale non differiva da quello della legge mosaica. Perciò Paolo si concentrò sugli altri casi, in cui due credenti decidevano di separarsi, senza specificare quali; tuttavia, poiché egli parlò di riconciliarsi (v. 11) presumiamo si trattasse di incompatibilità sopravvenuta, motivi caratteriali, convivenza difficile, l’ennesimo litigio, eccetera. In un matrimonio sbilanciato, può accadere che uno dei coniugi eserciti delle continue prevaricazioni verso l’altro e che ciò porti la parte vessata a separarsi dal consorte. Paolo affermò che in tale caso una separazione era possibile, ma previde qui solo due possibilità: ▪ 1) I coniugi dovevano rimanere in tale stato, senza risposarsi; ▪ 2) Essi potevano riconciliarsi col coniuge.
■ Approfondimenti: È interessante notare che Paolo non contemplò qui l’eventualità creatasi nel caso che uno dei due coniugi contrasse un altro vincolo matrimoniale (a quel tempo matrimonio e divorzio rientravano nel diritto privato delle persone dinanzi alle loro famiglie e per il ripudio bastava una «autocertificazione»). Contrarre un altro vincolo matrimoniale mentre si era ancora sposati, sebbene separati, avrebbe messo di per sé fine al vincolo matrimoniale, al pari della fornicazione, trattandosi di adulterio. Inoltre riprendersi il coniuge, dopo il ripudio e successive nozze di quest’ultimo, avrebbe significato un abominio morale (Dt 24,4).
Come abbiamo visto, Paolo affrontò qui solo le questioni che gli furono poste; il resto era chiaro dall’insegnamento di Gesù e della legge mosaica. La norma ricordata da Gesù in caso di fornicazione si applicava anche in questi casi; come abbiamo visto, Gesù non parlò di adulterio, per il quale allora c’era la pena di morte, ma già della «parola (o fatto) di fornicazione» come causa del divorzio.
Una riconciliazione era possibile quando il problema di base era rimosso (p.es. prevaricazione, vessazione). Altrimenti si applicava la parola di Gesù di Mt 18,15-20; quando tutti i tentativi risultavano vani, si può dire con Gesù: «E se rifiuta di ascoltare anche la chiesa, sia per lui come il pagano e il pubblicano» (v. 17). Chiaramente i tentativi di riappacificazione dovevano accadere fintantoché l’altro coniuge non contraeva un altro vincolo (anche allora c’erano credenti carnali o disubbidienti). Anche in quest’ultimo caso il vincolo matrimoniale sarebbe stato infranto.
2.4.4. MATRIMONIO MISTO (1 Cor 7,12-16): Quanto a 1 Corinzi 7 è importante avere una giusta traduzione del testo greco; in italiano la Nuova Riveduta non lo rende bene, ma lo fa meglio ad esempio la traduzione della C.E.I. Ecco dapprima il testo di 1 Cor 7,15a:
Però, se il non credente si separa, si separi pure; in tali casi, il fratello o la sorella non sono obbligati a continuare a stare insieme; ma Dio ci ha chiamati a vivere in pace (NR) |
Ma se il non credente vuol separarsi, si separi; in queste circostanze il fratello o la sorella non sono soggetti a servitù; Dio vi ha chiamati alla pace! (C.E.I.) |
In 1 Cor 7,15 ricorrono i verbi chōrizesthō (imp. pass) «si separi!» e ou dedoulōsthai (negazione + perf. pass.) «non è legato in modo schiavistico», ossia al coniuge non credente. Che cosa significava questa formulazione (probabilmente giuridica) a quel tempo? Una volta accertata la fine di un patto matrimoniale per volontà dell’altro coniuge (il non credente ne avrebbe iniziato subito un altro) o a causa di un atteggiamento o di una condotta di fornicazione, la prassi (statale, ecclesiale) di allora permetteva di iniziarne un altro? Qual era, ad esempio, la prassi del giudaismo storico, da cui è nato la prima chiesa?
Bisogna tener presente che cosa significasse in quella cultura «non è più schiavizzato» unitamente a «si separi pure!» (7,15). Nell’AT i matrimoni misti erano da sciogliere; Paolo consigliò al coniuge credente di rimanere legato al coniuge non credente che acconsentiva a rimanere insieme. Il matrimonio era visto come un giogo che metteva i due coniugi (= aggiogati insieme) sotto gli stessi vincoli, sotto la stessa volontaria schiavitù; se uno se ne sottraeva col divorzio, con la fornicazione o con l’adulterio, il patto era infranto e l’altro era libero. E ciò valeva specialmente per un coniuge non credente, il quale in genere non aveva scrupoli di coscienza a contrarre un’altra relazione.
2.4.4. MATRIMONIO DI DIVORZIATI PRIMA DELLA CONVERSIONE (1 Cor 7,17ss.24.27s): Abbiamo visto che in tali casi, chi era già sciolto da donna, non peccava risposandosi. Ecco poi il testo di 1 Cor 7,27b-28:
Sei legato a una moglie? Non cercare di sciogliertene. Non sei legato a una moglie? Non cercar moglie. 28Se però prendi moglie, non pecchi; e se una vergine si sposa, non pecca; ma tali persone avranno tribolazione nella carne e io vorrei risparmiarvela. (NR) |
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Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei sciolto da donna? Non andare a cercarla. 28Però se ti sposi non fai peccato; e se la giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella carne, e io vorrei risparmiarvele. (C.E.I.). |
Anche qui la traduzione italiana della C.E.I. rende meglio il testo greco rispetto alla Nuova Riveduta.
La dichiarazione: «Sei tu sciolto da moglie? Non cercare moglie. Se però prendi moglie non pecchi», significava: Sei divorziato (ossia al momento della conversione), non risposarti, ma se ti risposi, non pecchi. «Sciolto» significava qui essere «separato / divorziato» al momento della conversione. Ciò è evidente nel parallelismo del v. 27a: «Sei tu legato a una moglie? Non cercare d’esserne sciolto», che significava: Sei sposato (ossia al momento della conversione), non cercare di divorziare.
3. ASPETTI CONCLUSIVI: C’erano due tipi di divorzio: quello con una «giusta causa» (Dt 24,1; Mt 5,32; 19,9) e quello senza.
3.1. SENZA GIUSTA CAUSA: Il divorzio senza «giusta causa» era quando si mandava via la moglie legittima per sposarne un’altra (spesso straniera o più giovane). Per questo caso specifico soltanto, si legge letteralmente: «Infatti, io odio il licenziamento, dice l’Eterno, il Dio d’Israele, allo stesso modo come uno copre la sua veste di ingiustizia, dice l’Eterno degli eserciti. Badate dunque a voi stessi per lo spirito vostro e non agite infedelmente!» (Mal 2,16). Il divorzio senza «giusta causa» produceva sempre adulterio e in questo caso la Legge non prevedeva il perdono, ma la morte degli adulteri. Gesù estese la relazione adulterina a tutte le relazioni in cui c’era una separazione senza «giusta causa».
Come detto, un’eccezione fu prevista da Paolo quando la parte non credente si separava da quella credente (1 Cor 7,15). Per chi si convertiva, avendo già alle sue spalle un divorzio («Sei tu sciolto da moglie?»), l’apostolo previde un nuovo matrimonio (1 Cor 7,27s), certamente «nel Signore».
3.2. CON GIUSTA CAUSA: In caso di adulterio non c’era molto da discutere in quella cultura, poiché gli adulteri facevano una brutta fine, sia che fossero credenti, sia che non lo fossero. Se già parole o atteggiamenti fornicatori permettevano un divorzio con giusta causa, quanto più un adulterio!
A quel tempo, nessuno poteva impedire a un vedovo o a una vedova di risposarsi; si diventava vedovi anche in caso di adulterio per lapidazione pubblica del coniuge fedifrago (Lv 20,10; Dt 22,22; Gv 8). Oggigiorno, non essendo più sotto la legge teocratica d’Israele, non è permesso a nessuno di mettere a morte un adultero; poiché però il principio rimane anche nel nuovo patto, si può parlare in tali casi di una «vedovanza morale». Un coniuge abbandona l’altro e convive con una terza persona, rifiutando il perdono e la riconciliazione. Dopo il procedimento suggerito da Gesù, il coniuge fedifrago può essere considerato come «il pagano e il pubblicano» (Mt 18,17) e la comunità nella veste dei suoi conduttori possono legare sulla terra tali cose verso il fedifrago ed esse «saranno legate nel cielo» (v. 18), potranno altresì sciogliere sulla terra tali cose verso la parte lesa ed esse «saranno sciolte nel cielo». Infatti è ingiusto punire la parte lesa due volte: perché abbandonato e perché gli si impedisce di ricostruirsi una vita.
3.3. SPUNTI PASTORALI: Le chiese devono porsi il problema creatosi dal fatto che uno dei due coniugi credenti si separa dall’altro senza un vero motivo oggettivamente rilevante o perché lo abbandona per seguire l’impulso di una nuova passione amorosa, ad esempio verso un collega di lavoro.
■ Immaginiamoci due giovani credenti, di nostra conoscenza, che si sposino. Sembrano felici e speranzosi. Dopo soli sei mesi, però, uno dei due si separa dal coniuge e reclama il divorzio, affermando di aver finalmente capito di non amare veramente l’altro. In che cosa ha fallito qui la pastorale prematrimoniale? (forse non c’è stata? oppure è stata superficiale o inadeguata?). Se, dopo la separazione, tutti gli sforzi di intervenire e di aiutare non ottengono un risultato e si arriva realmente a un divorzio, che cosa bisognerà consigliare a tale giovane (anche vista la giovane età) che faccia per il resto della sua vita? È giusto punirlo due volte: per le scelte arbitrarie del coniuge e per la proibizione ecclesiale di contrarre un nuovo legame?
■ Immaginiamoci due giovani credenti che si sposano. Un giorno, quando lui ha circa 26 anni, la moglie l’abbandona per andare a convivere con un collega di lavoro. Anche qui tutti gli interventi pastorali non riescono a risolvere il problema. Che faranno i conduttori di chiesa nei confronti di tale giovane che è la parte lesa? La giovane donna adultera era veramente una figlia di Dio? (non tutti i «credenti» sono anche «generati da Dio»). Si punirà tale giovane, già leso da una moglie fedifraga, ancora una volta, impedendogli di risposarsi?
■ Immaginiamoci una coppia di credenti sposati da 25 anni. Un giorno lei lo abbandona e tutti i tentativi di lui di riportarla a casa falliscono, anzi lei vuole il divorzio. Un giorno, dopo ormai cinque anni di separazione, viene a sapere che lei da almeno sei anni aveva un altro uomo. Allora acconsente finalmente al divorzio. Passa altro tempo e lui s’innamora. Come decideranno i conduttori di chiesa nel suo caso?
■ Immaginiamoci il caso di un giovane che si accosta all’Evangelo e la moglie lo minaccia di lasciarlo se lui si converte. E così accade. La moglie va a convivere con un altro e poi divorzia. Tale giovane cammina fedele col Signore e s’impegna nella chiesa. Dopo tanti anni conosce una ragazza e s’innamorano insieme. Hanno sbagliato i conduttori e la chiesa a rallegrarsi con loro per il loro desiderio di sposarsi?
Questi non sono esempi di fantasia, ma sono casi concreti che fanno parte insieme ad altri della triste realtà di un mondo imperfetto. Matrimoni si rompono prima che le persone si convertano. Addirittura c’è chi viene abbandonato dal coniuge proprio nel momento in cui si converte e cambia vita in meglio.
In 1 Cor 7 Paolo rispose alle domande che i diversi gruppi gli posero nella loro situazione concreta; non trattò quindi sistematicamente tutti i casi possibili. Bisogna stare attenti a tutte le radicalizzazioni, sia a quelle liberali, sia a quelle integraliste. In un modo o nell’altro ci si può rendere colpevoli delle decisioni ecclesiali prese nei confronti delle persone che stanno nel problema.
Nei casi reali non si tratta di casistiche ma di persone concrete con le loro problematiche e tragedie. Essi non hanno bisogno di «cerotti consolatori», ma di concrete vie d’uscita da situazioni piene di tribolazione.
A chi sta in uno scottante problema non bisogna neppure prospettare facili «uscite d’emergenza», altrimenti si fa render colpevoli tali persone e se stessi. In ogni modo, non ci si può lavare le mani. Bisogna calarsi fino in fondo nel problema del credente che è stato abbandonato dal coniuge, il quale vive ormai altri «amori» e non ha nessuna intenzione di tornare indietro. A chi arde e non riesce a contenersi (cfr. 1 Cor 7,9) non si può semplicemente suggerire di pregare di più; nella maggior parte dei casi non funziona. Bisogna cercare vie praticabili e piene di buon senso. E qui nei casi concreti, per non avere un cuore troppo stretto o per non prendere lucciole per lanterne, ci vuole tutto il discernimento biblico e tutta la sapienza di Dio.
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