La maggior parte delle chiese evangeliche “storiche” (luterane, metodiste, battiste, valdesi, anglicane) hanno ormai aperto le porte del ministerio pastorale a uomini e donne senza alcuna distinzione. Questo non sorprende perché quando la Bibbia perde la sua autorità normativa e viene considerata piuttosto frutto della storia del popolo della fede, e retaggio della cultura umana, e non dell’ispirazione divina, la chiesa è esposta e sottoposta ad ogni «vento di dottrina», quindi alle tendenze della cultura secolare.

Da qualche tempo parecchie chiese decisamente evangeliche e bibliche, perfino fondamentaliste, accettano tranquillamente un ministerio di predicazione e “pastorato” che non fa alcuna distinzione tra i due sessi.

Eppure si sollevano forti obiezioni a questa tendenza, citando a tal proposito, argomentazioni bibliche che obiettivampreghieraente non si possono ignorare.

Da quale parte sta la verità?

Qual è la volontà di Dio in materia?

Cosa dice veramente la Scrittura e che cosa invece deriva unicamente dalle tradizioni umane o da una lettura della bibbia condizionata dall’influenza di una cultura a predominanza maschilista?

Attraverso questa esposizione dottrinale proverò a dare una esauriente risposta a tutte queste domande, oserei dire, spinose.

Bisogna anzitutto riconoscere che molte prese di posizione del movimento femminista hanno buone ragioni di esistere. Da tempi antichi la donna ha avuto una posizione non solo subordinata all’uomo, ma spesso oppressa e sfruttata, privandola della dignità che ogni essere umano, maschio o femmina che sia, ha il diritto di avere. La donna, nel corso dei secoli, in qualsiasi contesto sociale e culturale si è trovata, è sempre stata considerata come un essere inferiore all’uomo, e di conseguenza oggetto di ingiustizie nelle sue più svariate forme, ma basterebbe fare una semplice ricerca intorno alla nascita del movimento femminista per scoprire tutte le vessazioni di cui erano, e tutt’oggi in alcuni paesi, sono ancora vittime le donne.

Ma una tale condizione non era certamente nelle intenzioni originali di Dio rivelate sin dal libro della Genesi.

Dio ha progettato la distinzione tra maschi e femmine in modo che i due sessi si completassero e svolgessero delle funzioni diverse nella società.

Negare oggi queste distinzioni, sventolando allegramente la bandiera dell’uguaglianza e della parità, è per molti versi deleterio e disonorevole quanto lo è il compiere atti discriminanti contro le donne.

L’annullamento dei ruoli dell’uomo e della donna nella società, sta provocando un risultato distruttivo ed inimmaginabile, poiché lo sfasamento dei ruoli stabiliti da Dio per una società funzionale, comporta un disequilibrio che sta demolendo totalmente le condizioni basilari, le colonne portanti, per potervi essere un seppur minimo benessere nella nostra popolazione umana afflitta da mille problemi.

Alle origini dell’uomo, come sottolineano molti “conoscitori” della Bibbia, risale anche quell’espressione mal compresa, scritta nel libro della Genesi, recante questa dichiarazione: «alla donna disse… i tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito ed egli dominerà su te» (Genesi 3:16).

Qui la Scrittura non intende assolutamente avvalorare una qualche teoria maschilista, ma esprime un concetto ben diverso.

Dopo il peccato, Dio sapeva che i rapporti umani si sarebbero indubbiamente deteriorati, alla luce di questa evidenza Egli dichiara che il rapporto tra uomo e donna sarebbe continuato, ma avrebbe subito delle perturbazioni. Funziona ma in maniera penosa. Dio quindi non enuncia un verdetto, dichiara piuttosto che l’attrazione reciproca che Egli ha posto tra i due sessi non verrà abolita, perché non è bene che l’uomo sia solo, e dichiara inoltre quale sarà il salario, il prezzo del peccato.

La vocazione della donna, di aiuto per l’uomo e di persona con cui possa essere in relazione, non verrà meno. Ma a causa del peccato anche questa benedizione degenererà e sconfinerà.

L’uomo abuserà del suo statuto, approfitterà della situazione, sfrutterà il desiderio che porta la donna verso di lui, e farà di tale desiderio una catena per asservirla.

Come negare l’esattezza di questa dichiarazione di Dio, dopo la caduta dell’uomo nel peccato, se si considerano le relazioni di coppia, globalmente, nella storia?

È dunque una sentenza, un verdetto che chiarisce quali saranno, logicamente, i frutti del peccato, e non bisogna confonderla con un ordine. In ultima analisi, l’espressione di Genesi 3:16 enuncia una realtà, non comanda che si operi in tal senso, la tirannia maschile è il risultato della corruzione dell’armonia creata fra l’uomo e la donna.

 

 Nel Nuovo Testamento, Gesù manifestava una attenzione molto particolare nei riguardi delle donne, anche di quelle più disprezzate ed emarginate, come la samaritana, la donna colta in adulterio e le varie peccatrici. Tra il suo seguito vi erano anche donne benestanti che «assistevano Gesù e i dodici con i loro beni»  (Luca 8). Tra i suoi amici Gesù contava donne come Marta e Maria,  a quest’ultima consentì di stare vicina a lui per ascoltare la sua parola, cosa che nessun rabbino del suo tempo si sarebbe sognato di permettere.

Furono inoltre le donne le ultime ad intrattenersi vicino alla croce e le prime a diventare testimoni della resurrezione.

Le donne sono menzionate specificamente fra i discepoli che si trattenevano in preghiera per ricevere lo Spirito Santo.

Gesù attraverso il suo carattere ed il suo modo di porsi nei confronti delle donne, manifesta una parola che egli stesso ebbe a pronunciare, ma per un’altra circostanza: «…ma dal principio non era così!».

Nel principio della creazione, Dio non intendeva assolutamente che la donna divenisse, come lo fu, una sorta di oggetto, ma impresse delle regole di funzionalità, e indicò con chiarezza i ruoli e i doveri specifici tra i due sessi.

L’apostolo Paolo, spesso, ma a torto, viene accusato, da persone biblicamente ignoranti, di maschilismo. In realtà, Paolo, dimostra una grande sensibilità ed un profondo rispetto nei confronti delle donne. È lui ad affermare che non c’è ne maschio né femmina in Cristo Gesù (Galati 3:28), (affronteremo in seguito il significato teologico dei questa parola). Paolo saluta con grande calore le donne nelle chiese alle quali scrive: in Romani 16, per esempio, la metà dei credenti salutati personalmente sono donne, e a loro riserva gran parte delle sue espressioni di lode, di stima e affetto.  

 

 “Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è diaconessa della chiesa di Cencrea, perché la riceviate nel Signore, in modo degno dei santi …” (Romani 16:3); “Salutate Prisca ed Aquila, miei compagni d'opera in Cristo Gesù …” (Romani 16:6); “Salutate Maria, che si è molto affaticata per voi …” (Romani 16:12); “Salutate Trifena e Trifosa, che si affaticano nel Signore. Salutate la cara Perside che si è molto affaticata nel Signore …” (Romani 16:13); “Salutate Rufo, l'eletto nel Signore, e sua madre, che è pur mia …” (Romani 16:15); “Salutate Filologo e Giulia, Nereo e sua sorella, e Olimpia, e tutti i santi che son con loro”.

 

Tuttavia riguardo alla citazione sopra citata, “non c’è … né maschio né femmina” molti interpreti di tendenza femminista, fanno un grande abuso, per far dire a Paolo cose che certamente non ha mai pensato: cioè che nella chiesa non ci debba essere più alcuna distinzione di ruoli tra l’uomo e la donna.

Come tutte le affermazioni della Scrittura, invece, anche questa deve essere presa in armonia con il resto della Scrittura e senza svilirla del suo contesto. Nella fattispecie, il contesto non rimanda alla questione dei ruoli nella chiesa, discussione che Paolo farà in altre circostanze, bensì richiama alla questione della salvezza in Cristo. Egli in altre parole dice: coloro che sono salvati, sono tutti uguali, siano essi pagani, Ebrei, bianchi, neri, schiavi o liberi, uomini o donne. Questo è il discorso che Paolo elabora nella lettera ai Galati, non vi è alcun riferimento alla questione dei ministeri o dei ruoli nella chiesa!

Galati 3:28 non si preoccupa neppure dei ruoli dei mariti e delle mogli all’interno delle loro proprie famiglie, lo stesso Paolo eppure dichiara anche: «il marito è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa». Questa affermazione non è in contraddizione con quello che dice ai Galati.

La prima parla di uguaglianza in riferimento alla salvezza; la seconda si riferisce ai ruoli che spettano ai mariti e alle mogli, così come stabiliti originariamente da Dio.

Entrambe le verità esistono nel Nuovo Testamento, esse devono avere lo stesso peso sui piatti della bilancia: l’una non deve sminuire l’altra, ne l’una deve essere subordinata all’altra.

Le tendenze evangeliche degli ultimi tempi stanno scivolando verso una condizione atta a svilire quello che nella Scrittura è scritto con ogni evidenza. Si tende a sottolineare una mezza verità, quella dell’uguaglianza, e si esclude l’aspetto della autorità – sottomissione. In realtà il concetto di uguaglianza è secolare e non biblico, poiché quando questo concetto viene portato alle estreme conseguenze, il pensiero biblico della auorità-sottomissione viene interpretato come una vera e propria ingiustizia.

Per tornare a Galati 3:28, qui non viene affatto insegnata l’uguaglianza tra i due sessi.

La Bibbia parla pochissimo dell’uguaglianza, ma parla spesso dell’unità.  Gesù pregò per l’unità della chiesa, ma non per la sua uguaglianza. Il succo del discorso di Paolo ai Galati, quindi, è che le distinzioni tra maschio e femmina, tra giudeo e greco, tra schiavo e libero, non esistono ai fini del conseguimento della salvezza. Quello che conta è l’unione con Cristo mediante la fede, indipendentemente dal sesso, dalla razza, e dalla condizione sociale. Chi scrisse queste parole era ebreo di nascita, privilegiato in quanto alla razza, al sesso ed allo status sociale di uomo libero. Prima di conoscere l’evangelo di Gesù, Paolo credeva che la benedizione di Abramo fosse riservata solo agli ebrei, e in particolar modo agli ebrei maschi, adulti e nati liberi. Paolo quindi menziona le seguenti categorie di persone in antitesi tra loro: Giudeo- Greco; schiavo-libero; maschio-femmina, soprattutto per evidenziare il fatto che un tempo i gentili, gli schiavi e le donne, non erano di solito eredi delle benedizioni promesse; solo i figli maschi degli israeliti erano gli eredi. Ma ora con la venuta di Cristo, tutti coloro che credono hanno uguale diritto, in qualità di figli di Dio ed eredi della benedizione di Abramo ed in virtù dell’unità in Cristo, a essere giustificati e a ricevere lo Spirito, e non solo agli ebrei maschi adulti e nati liberi. In ultima analisi, Paolo scrivendo ai Galati non vuole mettere in evidenza il rapporto tra uomo/donna, bensì la verità secondo la quale sia il maschio sia la femmina, indistintamente sono eredi delle benedizioni promesse. 

Dopo avere sormontato questo scoglio, vogliamo stabilire una seconda verità, vale a dire che nella chiesa del Signore, indistintamente, tutti sono chiamati ad essere «ministri». 

 

Tutti   Ministri

Un esame delle Scritture, sereno ed imparziale, infatti, dimostrerà chiaramente che Dio, nella sua sovranità, ha deciso di riservare alcune funzioni nella chiesa, soltanto agli uomini (e comunque non a tutti). Non è un caso che Gesù, nonostante l’attenzione “rivoluzionaria” dimostrata verso le donne, scelse i dodici esclusivamente tra i discepoli maschi. Ma troveremo altresì che gli spazi al “ministerio” aperti a entrambi i sessi sono larghissimi, e che sono invece pochissimi quelli che secondo la Scrittura, una donna non può svolgere. È importante ricordare che nel campo di Dio tutti sono servitori e ministri, non vi sono dunque servitori di Dio come una categoria a parte, ma i ruoli e gli incarichi che Dio affida, sono determinati da principi teologici che non sono variabili con il tempo e le epoche.

Nel Nuovo Testamento la parola tradotta con ministerio è «diakonia» che significa semplicemente “servizio”.

La stessa parola viene usata da Marta, la quale «tutta presa da faccende domestiche» (Diakonia), venne con lamentarsi con Gesù dicendo: «Signore non t’importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?» (diakonein).

Ma anche Paolo usa la medesima parola, quando parla del «servizio (…diakonia) affidatomi dal Signor Gesù, cioè di testimoniare del vangelo della Grazia» (Atti 20:24). Ma anche gli altri apostoli usano la stessa identica parola per riferirsi al «servire alle mense» e al «ministerio della Parola» (Atti 6).

Se Gesù, il perfetto esempio di fede, è venuto sulla terra «non per essere servito ma per servire» (diakonia), e la chiesa è ora il suo corpo, deve essere ovvio che anch’essa è per natura e per vocazione una chiesa «serva».

Tutti i cristiani hanno dunque una chiamata al ministerio, siano essi uomini, donne e persino bambini. 

Il nodo cruciale è quindi quello di stabilire in quali maniere gli uomini e le donne possano servire Dio nell’ambito della chiesa e in mezzo agli uomini.

 

Il sacerdozio del nuovo patto appartiene a tutti i credenti senza distinzione.

Tutti i credenti sono stati costituiti un «sacerdozio santo per offrire sacrifici spirituali» (I Pietro 2:5; Ebrei 13:15). Ogni singolo membro della chiesa del Signore è chiamato ad essere un adoratore, e tutti hanno lo stesso accesso diretto alla presenza di Dio. infatti fu proprio ad una donna che Gesù diede la rivoluzionaria rivelazione che i veri adoratori adoreranno Dio in spirito e verità. In virtù di questo privilegio sia gli uomini che le donne possono e devono annunciare il vangelo agli altri. Il grande mandato è rivolto a tutti i cristiani, senza alcuna distinzione, sin dai tempi apostolici, quando imperversava la persecuzione, …tutti quelli che erano dispersi, se ne andarono di luogo in luogo, portando il lieto messaggio della Parola (Atti 8). Uomini e donne hanno lo stesso accesso a Dio per pregare ed intercedere, le numerosissime esortazioni della scrittura che invitano alla preghiera sono rivolte a tutti i credenti senza distinzione. È specificamente detto che anche le donne possono pregare ad alta voce nelle assemblee (I Corinzi 11:5).

Anche i doni dello Spirito Santo sono distribuiti a tutti e nelle medesime condizioni, tutti possono esercitarli anche pubblicamente  sia da uomini che da donne (I Corinzi 12:7). L’Antico e il Nuovo testamento sono pieni di riferimenti di donne che coprono l’ufficio di profeta, come Maria la sorella di Mosè (Esodo 15:20), Deborah (Giudici 4:4), Hulda (2 Re 22:14), la moglie di Isaia (Isaia 8:3), le figlie di Filippo (Atti 21:9) e tante altre. Dio aveva promesso che «anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni io spanderò il mio Spirito». Un altro campo, aperto a tutti, nel servizio cristiano, è l’amministrazione in generale, «servire… dare… fare opere di misericordia» (Romani 12:7-8): Tabita di Ioppe, per esempio, era rinomata per questo ministerio (Atti 9:36). Perciò nella chiesa si riconoscevano non solo i diaconi (uomini di buona testimonianza, riconosciuti come esempi di fedeltà nel servizio, e incaricati di particolari responsabilità), ma anche le diaconesse (Romani 16:1).

In pratica, l’unica restrizione che la Parola di Dio pone al ministero delle donne è il ministerio di autorità: «La donna impari in silenzio con ogni sottomissione. Poiché non permetto alla donna d'insegnare, né d'usare autorità sul marito, ma stia in silenzio. Perché Adamo fu formato il primo, e poi Eva»   (1 Timoteo 2:12-13).

 

È da premettere che la parola greca «Andros» tradotta con «marito» ha il significato specifico di «uomo», come traducono peraltro alcune traduzioni della Scrittura (vers. King James, ecc.).

Queste restrizioni -per coloro che riconoscono alla Bibbia una autorità normativa- escludono che le donne possano governare la chiesa come membri del corpo degli anziani, il che è chiaramente un esercizio di autorità. Infatti la Bibbia stabilisce dei criteri per l’ordinazione delle diaconesse come dei diaconi, mentre manca qualsiasi accenno alle Pastore o Anziane.

Il fatto che Dio abbia stabilito le cose così come sono scritte nella bibbia, hanno sicuramente un loro scopo ben preciso, l’insegnamento biblico secondo il quale le donne e gli uomini sono perfettamente uguali in quanto al valore e alla dignità della loro persona, ma sono distinti in quanto ai ruoli a loro assegnati, rappresenta qualcosa da esplorare, da godere in modo più profondo e da sviluppare per tutta la vita, e non da odiare e sradicare.

Oggi, un numero incalcolabile di donne, anche nelle chiese, non riconosce queste meravigliose differenze, non ha la minima idea di cosa significhi donna, nel senso di persona distinta dall’uomo e quindi con ruoli ben specifici, ma altresì ben diversi dell’uomo. Assistiamo con passività “all’evoluzione” di una società lontana da Dio e che a gran voce esalta le sue conquiste ingannevoli. In nome della giustizia e delle lealtà nei confronti delle donne, molti “filosofi” sminuiscono la femminilità e la maternità che sono valori sacri; filosofi che sono in realtà contro la famiglia, i figli, e in ultima analisi contro la donna.

Escludere le donne dalla conduzione della chiesa sarebbe ingiusto e discriminante se venisse fatto arbitrariamente dai maschi per propri fini egoistici, ma se tale esclusione rientra nei piani di Dio allora è bene fare attenzione e capire quello che la Parola di Dio dichiara per il bene di tutti, della famiglia, della chiesa e della razza umana. Come credenti non possiamo accusare Gesù di discriminazione, eppure Gesù ha scelto solo maschi, gli apostoli, come fondamento della chiesa. Era il costume del tempo oppure il piano di Dio primeggiava sulle usanze umane? Attraverso la Scrittura comprenderemo adeguatamente questa verità.

 

La scelta degli apostoli

Il fatto stesso che Gesù nacque maschio non si deve considerare come qualcosa del tutto casuale, ma piuttosto come una necessità di natura teologica, assolutamente fondamentale per la sua persona e per la sua opera. Gesù era e doveva essere un maschio primogenito «consacrato al Signore» (Luca 2:23). Come ultimo Adamo e secondo uomo egli era l’«antitipo» di Adamo e non di Eva. Quindi doveva essere maschio. Secondo l’ordine della creazione, Gesù non sarebbe potuto essere donna, perché nel rapporto maschio-femmina, solo al ruolo del maschio viene affidato il ruolo di comando e di autorità (1 Corinzi 11:3), e solo Gesù Cristo è il capo della chiesa e il Re dei Re.

Durante il suo ministerio terreno, Gesù istruì e scelse personalmente dodici uomini che chiamò apostoli (Luca 6:13). La scelta di conduttori maschi da parte di Gesù costituiva una conferma dell’ordine della creazione, come è presentato in Genesi 2. Prima di scegliere i dodici, Luca ci informa che Gesù passò l’intera notte a pregare suo Padre. In qualità di figlio perfetto, egli scelse dodici uomini come suoi apostoli, dunque questi uomini erano stati scelti da Dio Padre. La scelta di apostoli maschi da parte di Gesù si era basata sulla guida di Dio e su principi divini ed assoluti. Malgrado la sua scelta di un apostolato di solo uomini fosse ispirato da Dio, alcuni sostengono che Gesù si fosse solamente adeguato alla cultura del suo tempo. Secondo tali sostenitori, Gesù fu costretto a nominare soli uomini in qualità di apostoli, anche se in teoria avrebbe accettato apostoli donne. Ma come si fa a pensare questo, quando Gesù fu odiato e alla fine crocifisso perché, attenendosi alla parola di Dio, aveva violato le false tradizioni dei rabbini? Persino i suoi acerrimi nemici dovettero ammettere che Gesù proclamava la verità di Dio, senza aver paura di nessuno e senza fare parzialità (Matteo 22:16). Gesù giunse nella pienezza dei tempi (Galati 4:4), vale a dire nel momento più propizio per agire e mettere le cose in chiaro dal punto di vista di Dio, e Gesù avrebbe potuto nominare sicuramente apostoli donne se ciò fosse stato nel suo intento.

Tutto il piano di Dio, formatosi durante il ministerio di Gesù, non fu certamente il risultato di tentativi alla cieca, bensì di una scrupolosa attuazione di quanto era stato progettato e pianificato da Dio stesso. Nel piano preordinato di Dio vi era l’intenzione di stabilire come fondamento nella chiesa dodici apostoli uomini, che idealmente si ricollegavano ai dodici figli di Giacobbe e alle dodici tribù d’Israele (Apocalisse 21:12-14).

Non avrebbe Gesù potuto scegliere sei apostoli uomini e sei donne?

Oppure una donna per un ministerio specifico per le donne?

Perché non lo ha fatto?

Gesù, ricordiamo, agì secondo i principi divini secondi cui la donna dev’essere sottomessa all’uomo.

So che quest’affermazione è forte, e so pure che fa venire il prurito a molti, ma il fatto che Gesù abbia scelto degli uomini in qualità di apostoli non nega il fatto che egli abbia onorato la dignità delle donne, abbia soccorso le donne, abbia viaggiato con loro, abbia incoraggiato il loro ministerio verso Dio e verso Lui stesso in modo totalmente diverso da quello dei capi religiosi del suo tempo. Malgrado il suo profondo affetto e la sua grande amicizia nei confronti delle donne egli scelse come fondamento duraturo della chiesa solo dei maschi (Efesini 2:20; 3:5). Anche quando si rese necessario che qualcun altro prendesse il posto di Giuda, vennero presi in considerazione solo degli uomini (Atti 1:24-26).

I dodici seguirono fedelmente le indicazioni del loro Signore, designando sette uomini, quando si trovarono nella necessità di costituire un gruppo ufficiale di diaconi (Atti 6.1-6). Anche circa trent’anni dopo, Pietro scrisse alle chiesa dell’Asia minore ed esortò le sorelle cristiane a sottomettersi ai propri mariti nello stesso modo in cui lo avevano fatto le credenti vissute nell’antico Patto (1 Pietro 3:1-7). Da questi versi si nota come Pietro convalida il suo insegnamento sulla sottomissione, servendosi delle scritture dell’Antico Testamento, dandone ed applicandone il loro valore anche nella dispensazione della grazia, pur tuttavia riconoscendo che la Scrittura e Gesù stesso, abbiano insegnato sia l’uguaglianza dei sessi sia la distinzione dei ruoli.

 

L’insegnamento biblico della sottomissione

In materia di dottrina, è bene sottolineare che essa si sviluppa in maniera specifica attraverso tutto il Nuovo Testamento, ma in special modo mediante le epistole. Per mezzo di queste “lettere” si può non solo elaborare la cosiddetta «sana dottrina», ma convalidare oppure annullare tutte le norme cerimoniali dell’Antico Patto (come fanno l’epistola agli Ebrei e ai Galati), e ancor di più tutto quello che procede dal pensiero e dalle filosofie umane. Gesù promise ai discepoli che loro avrebbero fatto cose maggiori di Lui, sicuramente tra queste «cose» vi era anche la stesura del Nuovo Testamento avvenuta per ispirazione di Dio. In effetti, Gesù non trascrisse neppure una parola di quelle che pronunciò, furono in seguito gli apostoli, che illuminati e sospinti dallo Spirito Santo, scrissero delle verità assolute, che sarebbero divenute il fondamento …della fede trasmessa una volta e per sempre ai santi (Giuda 3).

Le verità del nuovo Testamento non possono essere strumentalizzate a piacere, quel che è scritto è per il bene dell’uomo, non si può fare una selezione di ciò che piace e scartare quello che non piace. Non si può nemmeno allungarla o accorciarla a proprio piacimento come fosse un elastico, anzi, al contrario, tutto deve essere misurato secondo la regola, la misura precisa che ci offre la Parola di Dio. Ecco perché anche Giacomo esorta a ricevere questa “Parola” con una attitudine specifica:

«Perciò, deposta ogni lordura e resto di malizia, ricevete con mansuetudine la Parola che è stata piantata in voi, e che può salvare le anime vostre». (Giacomo 1:21)

 

Orbene, riguardo alla sottomissione, Paolo, in modo chiaro e diretto, ordina alle mogli cristiane di sottomettersi ai loro mariti: «mogli, siate sottomesse ai vostri mariti, come al Signore» (Efesini 5:22). La parola greca che usa l’apostolo Paolo per sottomissione è «hupotassô» e vuol dire: «sottomettersi a», «essere subordinati a». Questa parola implica sempre una relazione di sottomissione a un’autorità. L’uso contemporaneo di questa parola “grossa”, riferita alla donna, sembra portare indietro nel tempo, all’età della pietra. Certamente con è un termine popolare, e in tempi «illuminati» come i nostri, non raccoglie di sicuro molti consensi. Sembra quasi scandalosa l’idea che la moglie abbia un ruolo di sottomissione rispetto al marito.

Il problema è che la parola greca che significa «sottomissione», vuol dire: «essere soggetti ad un’autorità». Paolo intende dire esattamente quello che dice e sceglie la parola giusta per comunicare quello che vuole dire. Quando si dice che la persona A “è soggetta” alla persona B, significa che la persona B ha un’autorità unica che la persona A non possiede. Ecco alcuni esempi del Nuovo Testamento:

·     Gesù era sottomesso ai suoi genitori (Luca 2:51).

·     I cittadini sono sottomessi al governo (Romani 13:1).

·     I Demoni sono sottoposti ai discepoli (Luca 10:17).

·     L’universo è sottoposto a Cristo (1 Corinzi 15:27).

·     La chiesa è sottomessa a Cristo (Efesini 5:24).

·     Le potenze invisibili sono sottoposte a Cristo (1 Pietro 3:22).

·     I credenti sono sottomessi a Dio (Giacomo 4:7).

·     I credenti sono sottomessi ai loro conduttori (1 Corinzi 16:15)

·     Cristo è sottomesso a Dio Padre (1 Corinzi 15.28).

·     I servi sono soggetti ai loro padroni (Tito 2:5).

·     Le mogli sono sottomesse ai loro mariti (Efesini 5:22).

 

In nessuno di questi rapporti l’ordine viene mai invertito.

In questi rapporti tra capo e subalterno non vi è mai una inversione di ruoli, i padroni non sono mai soggetti ai loro servi, il governo non è mai sottomesso ai suoi cittadini, Cristo non è mai sottoposto alle potenze invisibili, e i mariti non sono mai sottomessi alle loro mogli.

Il messaggio biblico dei ruoli all’interno del matrimonio cristiano non è irrilevante e sorpassato, ma ha una funzione ben specifica, e tale normativa è stata stabilita da Dio per essere applicata da tutti i cristiani e in ogni tempo.

Ma il rapporto tra il marito e la moglie non è lo stesso rapporto che si instaura tra capoufficio e impiegato, tra comandante e soldato. È invece un rapporto d’amore, il più intimo di tutti i rapporti umani. È un patto matrimoniale in cui due adulti sono uniti tra loro come se fossero un solo essere, e all’interno di questa unione il marito assume il ruolo di comando con amore e la moglie appoggia in modo volontario questo e vi si sottomette.

Dal momento che il rapporto coniugale comporta sia l’unità tra i coniugi sia la diversità dei loro ruoli, si presenteranno spesso delle occasioni di reciprocità e di interdipendenza.

In un matrimonio cristiano basato su sani principi, ci saranno molte occasioni in cui marito e moglie si consulteranno e ricercheranno insieme la saggezza divina e di conseguenza prenderanno la maggior parte delle decisioni di comune accordo.

I due coniugi dovranno completarsi e non competere l’uno contro l’altra.

Dopo avere esortato le mogli a sottomettersi ai propri mariti, Paolo spiega il motivo per cui la moglie deve sottomettersi: «…il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, Lui, che è il Salvatore del corpo» (Efesini 5:23).

La Scrittura non dice che il marito dovrebbe essere capo della moglie, ma che lo è. Paolo insegna che il rapporto tra marito e moglie rappresenta concretamente e visibilmente il rapporto tra Cristo e la Chiesa. «questo mistero è grande; dico questo riguardo a Cristo e alla Chiesa» (Efesini 5:32).

Il rapporto tra marito e moglie, dunque, rispecchia il rapporto tra Cristo e la Sua chiesa. Cristo, lo Sposo, è il capo della chiesa, la sposa gli è sottomessa in ogni cosa. Pertanto non si può certamente parlare di un fatto soggetto alla cultura del tempo, ma riconduce alla stessa essenza del matrimonio, così come lo ha stabilito Dio stesso.

L’esortazione rivolta alla moglie di sottomettersi al proprio marito, insegnata nel Nuovo Testamento, ha valore universale. Ogni brano che si occupa del rapporto tra marito e moglie contiene infatti la medesima esortazione: la moglie deve essere sottomessa al proprio marito.

Il verbo usato da Paolo «hupotassô» era specialmente usato in campo militare per indicare appunto la subordinazione e l’ubbidienza dei soldati nei confronti del loro comandanti, ma nel suo uso “non-militare” era "un atteggiamento volontario di cedere, di cooperare, di prendere una responsabilità, e di portare un carico". In tutti i seguenti versi viene usato lo stesso verbo (hupotassô) Efesini 5:22; Colossesi 3:18; I Pietro 3:21; Tito 2:4-5.

 

 

La sottomissione nella chiesa

Come Paolo insegna la conduzione dell’uomo nell’ambito della famiglia, così insegna la conduzione di uomini nella chiesa locale che è peraltro una famiglia «allargata», cioè una famiglia formata da molti più membri, tutti legati dal vincolo della Grazia di Dio.

Paolo è l’unico a dare istruzioni esplicite e ripetute sui ruoli degli uomini e delle donne nella chiesa e durante gli incontri di chiesa. Di conseguenza gli insegnamenti di Paolo non possono essere trascurati o ignorati, essi sono fondamentali per la comprensione dei ruoli degli uomini e delle donne «nella casa di Dio».

Paolo ama fare il paragone con la casa quando parla della natura e dell’ordine della chiesa locale (1 Timoteo 3:15). Così come egli insegna che nella casa il comando spetta all’uomo, allo stesso modo insegna che nella «casa di Dio» il comando spetta agli uomini (1 Timoteo 3:2).

Dato che la famiglia è il nucleo di base della società e che l’uomo è il capo riconosciuto della famiglia, non ci si deve stupire del fatto che gli uomini debbano essere gli anziani della chiesa locale.

Lo studioso Stephen B. Clark sottolinea con forza il seguente principio: «Se gli uomini sono tenuti a essere i capi delle rispettive famiglie, essi sono anche tenuti a essere i capi della chiesa. La chiesa deve essere strutturata in modo tale da sostenere il modello della famiglia e la famiglia deve essere strutturata in modo tale da sostenere il modello della chiesa. È nella famiglia che gli uomini imparano i ruoli anche da esercitarsi all’interno della chiesa. Viceversa ciò che essi vedono nella chiesa rafforza ciò che imparano nella famiglia. Quindi, la scelta di adottare principi diversi a livello di chiesa indebolisce la famiglia e viceversa».

 

Tuttavia, il principio secondo il quale il comando spetta agli uomini non sminuisce affatto l’importanza e la necessità dell’impegno attivo delle donne nella loro casa e dunque, similmente, nella chiesa.

Come ogni singola famiglia stabilisce determinati criteri di comportamento a cui attenersi, così anche la famiglia della chiesa locale deve attenersi a determinati principio di condotta e di organizzazione sociale.

La prima lettera a Timoteo si occupa in modo specifico del giusto ordine e del comportamento degli uomini, delle donne e degli anziani nella chiesa locale.

Paolo scrive al suo collaboratore che è a Efeso:  «Ti scrivo queste cose sperando di venir presto da te, affinché tu sappia, nel caso che dovessi tardare, come bisogna comportarsi nella casa di Dio, che è la chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità» (1 Timoteo 3:14-15).

Un aspetto importante della chiesa per l’Apostolo Paolo riguardava il comportamento delle donne nelle adunanze:

·     Abbigliamento modesto (1 Timoteo 2:9-10).

·     Sottomissione alla chiesa (1 Timoteo 2:11-14)

Proprio in quest’ultimo brano Paolo vieta alle donne di fare due cose nella chiesa: insegnare agli uomini e usare autorità si loro.

Nelle riunioni di chiesa, le donne devono imparare le verità scritturali e non devono essere loro ad insegnarle ai credenti.

Questo compito spetta esclusivamente agli uomini.

Paolo espone questo principio con assoluta chiarezza, l’insegnamento biblico era assolutamente proibito alle donne poiché la scrittura considera l’insegnamento parte integrante della conduzione, pertanto doveva competere agli anziani con un ministerio riconosciuto pubblicamente.

Paolo espone il concetto sia in forma positiva, sia in forma negativa.

La frase positiva: «la donna impari», specifica in che modo deve imparare, ovvero in silenzio e con sottomissione, sotto l’autorità di coloro che hanno ricevuto il compito da Dio di condurre la chiesa.

La frase negativa: «non permetto alla donna d’insegnare ne di usare autorità» vieta alla donna d’insegnare e di usare autorità sugli uomini.

Paolo però non vieta d’insegnare alle donne in tutti i casi (Tito 2:3-5), ma in modo specifico d’insegnare agli uomini pubblicamente nella chiesa locale.

Gli uomini e le donne sono dunque chiamati ad esercitare il rispettivo ruolo nella chiesa così come lo ha stabilito Dio attraverso la Sua Parola e secondo il modello che la Bibbia ci espone con chiarezza.

 

Usare autorità

Il divieto di Paolo inerente all’insegnamento e alla conduzione da parte delle donne ha causato purtroppo critiche feroci nel passato, come ne causa certamente anche al giorno d’oggi. Pertanto, come in quasi tutti i brani che parlano delle differenze tra i ruoli che spettano agli uomini e quelli che spettano alle donne, Paolo avvalora le sue istruzioni ricordando ai lettori l’ordine originario della creazione. Egli adopera il racconto della creazione riportato nella Genesi per autenticare ed avvalorare la sua argomentazione: «…infatti Adamo fu formato per primo, e poi Eva; Adamo non fu sedotto ma la donna, essendo stata sedotta, cadde in trasgressione; tuttavia sarà salvata partorendo figli…» (1 Timoteo 2:13-15).

Paolo fa derivare il suo divieto per le donne di insegnare e di avere autorità direttamente dal racconto della creazione.

Come Gesù, anche Paolo riporta i suoi ascoltatori all’inizio della creazione, cioè ad avvenimenti storici, e a circostanze teologiche ben precise, senza fare appello alla cultura locale, alla mancanza d’istruzione delle donne o ai problemi collegati ad insegnanti eretiche. Paolo fa appello alla Parola di Dio e per questo specifico frangente vieta alle donne di esercitare autorità sugli uomini basandosi sulla differenza tra uomo e donna, come viene evidenziata nella Genesi. Paolo dunque fa appello all’ordine originario come Dio lo ha voluto. Affermando nel verso 13 che Adamo fu creato per primo, Paolo intende che nel piano della creazione dell’essere umano, Dio ha progettato l’uomo in modo unico affinché fosse dal punto di vista fisico, emotivo e spirituale il capo tra i due, e ha progettato la donna affinché lo completasse e ne fosse l’aiuto convenevole.

È molto significativo che Dio non abbia creato Adamo ed Eva contemporaneamente.

Invece la donna è stata creata dopo l’uomo, dall’uomo, per l’uomo, è stata portata all’uomo e il suo nome le è stato dato dall’uomo (Genesi 2:20-23; 1 Corinzi 11:8-9).

Le donne credenti non devono dunque usare autorità sugli uomini nella chiesa, non devono esercitare il ministerio di governo e di conduzione nella chiesa.

L’Apostolo Paolo dando queste direttive a Timoteo, subito dopo elenca le qualifiche di coloro che hanno il compito di sorvegliare la chiesa locale (1 Timoteo 3:1-7), la netta frapposizione che l’apostolo evidenzia, lascia intendere l’esclusione della possibilità che una donna possa ricoprire un ruolo di «anziana».

Dato che 1 Timoteo 5:17 dichiara che debbano essere gli anziani a condurre la chiesa e a insegnare ai credenti e dato che le donne non devono insegnare ne esercitare autorità sugli uomini, ne consegue che le donne non possono essere anziane di chiesa.

Un altro testo Paolino che consente un ulteriore chiarimento, qualora ancora ce ne fosse, è il brano di 1 Corinzi 14: 34-37: «Come si fa in tutte le chiese de' santi, tacciansi le donne nelle assemblee, perché non è loro permesso di parlare, ma debbon star soggette, come dice anche la legge. E se vogliono imparar qualcosa, interroghino i loro mariti a casa; perché è cosa indecorosa per una donna parlare in assemblea. La parola di Dio è forse proceduta da voi? O è forse pervenuta a voi soli? Se qualcuno si stima esser profeta o spirituale, riconosca che le cose che io vi scrivo son comandamenti del Signore».

 Paolo instancabilmente ripete che i suoi insegnamenti circa i ruoli degli uomini e delle donne sono radicati nella legge della Parola di Dio, nella Torah, quindi non fa altro che dare ed avvalorare degli insegnamenti conformi quanto prescritto nella legge di Mosè. Così scrivendo anche ai Corinzi, l’apostolo cerca di fare evitare alle sue sorelle in Cristo, di comportarsi in modo contrario alla volontà di Dio e ai suoi comandamenti.

Da notare che Paolo qui scrive con una nota di amarezza nel suo cuore, poiché molti non riconoscevano la sua autorità apostolica, vi era chi lo criticava in quella chiesa! Ma Paolo dice anche a costoro: se voi siete delle persone veramente spirituali, allora riconoscete voi stessi che «le cose che io vi scrivo» con l’autorevolezza che mi caratterizza in quanto apostolo, sono comandamenti del Signore.

Scrive l’esegeta Leon Morris: «le cose che ha scritto, afferma Paolo, devono essere tenute in massimo conto, perché sono comandamenti del Signore» (Signore è in posizione enfatica). Non si poteva avanzare pretesa maggiore. 

La Bibbia non è ambigua riguardo alle verità esposte fino ad ora, esse sono verità d’importanza fondamentale. In maniera diretta e chiara, essa afferma ripetutamente che ci sono ruoli diversi per l’uomo e la donna: l’autorità per l’uno e la sottomissione per l’altra. Gli apostoli Paolo e Pietro, non solo ribadiscono esplicitamente questa verità, ma si servono dei seguenti argomenti inconfutabili per dimostrare il rapporto di autorità- sottomissione:

1. Le leggi della creazione.

2. La pratica universale delle chiese.

3. La natura della deità.

4. Il comandamento di Gesù Cristo.

5. Il rapporto tra Cristo e la chiesa.

Per tali motivi la donna credente non deve ricoprire dei ruoli che non gli competono.

D’altra parte la responsabilità che deriva dall’«autorità» comporta un peso non indifferente che il Signore non ha voluto che la donna si assumesse in virtù della sua natura stessa:

«Anche voi, mariti, vivete insieme alle vostre mogli con il riguardo dovuto alla donna, come a un vaso più delicato…» (1 Pietro 3:7).

Le donne non devono sentirsi “represse” se Dio, nella Sua sovranità, ha deciso di riservare ai soli uomini questo peso… ed Egli non è neanche tenuto a fornirci delle spiegazioni esaurienti delle Sue ragioni, ragioni che comunque ci sono.

Occorre chiarire che il divieto d’insegnare non deve essere ovviamente letto come un assoluto, sarebbe ridicolo, (come d’altronde anche l’espressione …ma stia in silenzio). Paolo scrivendo a Tito dice esplicitamente che: «le donne più anziane siano maestre nel bene, per insegnare alle giovani», e se possono insegnare alle più giovani, non si può escludere che possano farlo anche ai ragazzi, a partire dei propri figli.

Il vero nocciolo della questione qui è uno: cosa significa insegnare?

Ci sono tante donne molto brave ad insegnare nelle scuole, ma anche nella comunicazione e nell’informazione, perché mai non dovrebbero farlo nella chiesa?

Le parole insegnare ed usare autorità sull’uomo nella scrittura sono abbinate, ed è qui la chiave della questione.

L’insegnamento, nel suo pieno significato biblico, è un esercizio di autorità spirituale. Fu detto infatti di Gesù, che la gente «si stupiva della Sua dottrina, perché Lui insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi» (Marco 1:22).

L’insegnamento di cui si riferisce la Parola di Dio non è dunque semplicemente impartire informazioni ma stabilire la dottrina, le norme di condotta cristiana, ed esercitare una autorità spirituale.

Giacomo,  a tal ragione, esorta i fratelli a non essere in molti a fare da maestri, «…sapendo che ne subiremo un più severo giudizio» (Giacomo 3:1), perché chi insegna si assume la responsabilità di impartire ai suoi fratelli indicazioni autorevoli su cosa credere e cosa non credere.

E qui si nota ancora una volta la peculiarità del ministerio esercitato con l’autorità che Dio ha voluto che fosse espletato da soli uomini. La donna dunque potrebbe impartire degli studi biblici, ma nel momento in cui, per forza di cose si va oltre l’insegnamento puramente teorico, applicando le verità dottrinali alla vita pratica, allora diventa un esercizio di autorità “sull’uomo”.

Per giungere alla conclusione siamo spinti a fare una riflessione ben precisa: per rispettare l’ordine biblico, una donna potrebbe insegnare alla chiesa solo a condizione che svolga un ministerio «come gli scribi»  e non come Gesù, cioè con autorità. Ma, poiché ogni ministero nella chiesa, legato all’autorità della Parola, deve rappresentare ed esprimere quello di Cristo, una simile conclusione sarebbe a dir poco paradossale. L’aspirante predicatrice si trova, biblicamente, in questo dilemma: se vuole annunciare la parola di Dio con autorità (in una assemblea di uomini e donne), contravviene all’ordine divino; se si adatta a farlo senza autorità, contravviene alla natura stessa del ministerio cristiano!   

Bisogna però aggiungere che ci sono molte forme di discorso, anche tra quelle talvolta incluse nella categoria della predicazione o meglio dell’oratoria, che non costituiscono insegnamento in senso biblico. La donna può infatti profetizzare nella chiesa; può intrattenere incontri tra sorelle; può anche ricevere ed anche condividere una esortazione di carattere profetico. Qui il campo è veramente vasto per essere di benedizione nell’opera del Signore, come pure le parole di sapienza che sono frutto dei doni Spirituali e che sono largiti indistintamente a tutti, le testimonianze, la condivisione di esperienze nel campo del Signore. Queste cose non rientrano nell’esercizio dell’autorità spirituale e dunque dell’insegnamento.

In conclusione, dunque, c’è tanto spazio perché le donne possano esercitare il loro ministerio nella chiesa. Ma Dio, il Signore della chiesa, ha deciso per le Sue buone ragioni, di riservare agli uomini (e poi, solo a quegli uomini che Egli stesso sceglie e stabilisce) queste due aree: l’insegnamento e l’esercizio dell’autorità sulla chiesa.

Infine, perché le donne cristiane, piene di zelo e di amore per il Signore e per la chiesa, trovino il loro giusto collocamento, e non siano tentate ad invadere spazi rimasti vuoti ma che, secondo l’ordine voluto da Dio, non spettano a loro, è urgente, nella chiesa come nelle famiglie, che siano gli uomini ad alzarsi, a rendersi disponibili per portare i pesi dell’opera di Dio, e ad assumersi quelle responsabilità che il Signore ha destinato esclusivamente a loro.

 

R. Murabito

Argomenti
Inviato da Gianni57 il

CONDIVIDI...

  facebook icona twitter icona whatapps icona