Nel cammino di ogni
figlio di Dio, sia nella sua vita
personale che in quella all’interno della sua chiesa locale, sono
elementi
fondamentali la sua comunione con Dio e la conseguente comunione con le
sorelle
e i fratelli posti dal Signore accanto a lui. Non sempre però percepiamo
e,
soprattutto, viviamo il valore di questa doppia relazione di comunione,
perdendo così tante benedizioni da parte di Dio.
Il significato di
“comunione”
La Scrittura afferma che,
grazie al sacrificio della croce,
chi crede in Cristo è in comunione (gr. koinonia) con Dio e con la sua
Chiesa (1Gv
1:3; 1Co 1:9;10:16-17; 2Co 13:13); ma cosa vuol dire essere in comunione
con
qualcuno?
Secondo Wikipedia, la
comunione è l’armonia che c’è tra
due o più persone;
secondo l’indice biblico della Nuova Riveduta comunione è
associazione,
partecipazione di due o più persone agli stessi scopi, sentimenti e
ideali.
Comunione può voler dire
anche mettere in comune dei beni, come faceva almeno parzialmente la
chiesa primitiva (At 2:44); in Romani 15:26 il termine koinonia viene utilizzato per
indicare la
colletta a
favore
dei credenti di Gerusalemme. Questo ci ricorda che tutto quello che noi
abbiamo
(talenti, doni spirituali, ogni bene materiale, morale e intellettuale) è
del
Signore che ce lo ha voluto donare e pertanto noi dobbiamo metterlo a
sua
disposizione.
Ma la koinonia con Cristo di cui parla il Nuovo
Testamento non è solo armonia,
condivisione di beni, comunione di scopi, di sentimenti.
Nel vangelo di Giovanni,
tale koinonia viene descritta come il
dimorare, nel senso di abitare stabilmente, del credente in Cristo e di
Cristo
nel credente e
viene usata l’immagine della vite e dei tralci per illustrarla.
Giovanni usa gli stessi
verbi (essere in, dimorare,
conoscere)
per
indicare l’intima relazione tra Padre e Figlio e quella tra Cristo e i
credenti.
Tra i tanti versetti che si
potrebbero citare (per esempio:
Gv 10:14-15; Gv 14:10-23; Gv 17:21; 1Gv 4:15) ne riportiamo solo due:
• “Io sono nel Padre
mio, e voi in me e io in voi” (Gv 14:20);
• “Noi dimoreremo presso
di lui”
(Gv 14:23).
Per grazia abbiamo dunque una
relazione con il Padre e
con il Figlio molto simile a quella che c’è tra Padre e Figlio ed è una verità che la
nostra mente
non può concepire, una verità così grande e così sconvolgente che
possiamo
afferrare solo per fede.
Con Cristo: una comunione
concreta
Un aspetto caratterizzane
di questa koinonia è il fatto che i credenti hanno
vissuto e vivranno esperienze concrete con Cristo.
Paolo descrive queste
esperienze usando alcuni termini, in
parte inventati da lui, composti da un verbo preceduto dal prefisso syn che equivale al prefisso
italiano con e che è all’origine di vocaboli
italiani come sinergia (=
collaborazione), simbiosi (= convivenza), sinfonia (=accordo di suoni), simpatia (= comunione di
sentimenti).
Alcuni di questi termini si
riferiscono a eventi già
accaduti, per cui Paolo usa un tempo verbale, l’aoristo indicativo, che
indica
un’azione compiuta nel passato e si può rendere con il passato remoto:
• il nostro vecchio uomo fu
con-crocifisso con lui (Ro 6:6; è interessante
notare che Paolo usa lo stesso termine usato dagli evangelisti per i due
ladroni in Mt 27:44 e Mr 15:32);
• con-morimmo con lui (2Ti 2:11);
• con lui fummo con-sepolti,
co-risuscitati e con-vivificati ( Cl 2:12-13, 3:1; Ro 6:4);
• Dio ci con-vivificò con Cristo, ci co-risuscitò
con
Cristo, ci fece con-sedere nel cielo in Cristo Gesù (Ef 2:5-6)
Altri termini si
riferiscono ad azioni che si stanno
svolgendo per cui Paolo usa il presente indicativo:
• con lui con-soffriamo e siamo co-eredi (Ro 8:17);
• siamo collaboratori di Dio (1Co 3:9);
• egli “simpatizza” con noi, vale a dire ha
gli stessi
nostri sentimenti (Eb 4:15);
Infine, altri termini che
si riferiscono ad azioni che si
devono ancora compiere:
• co-regneremo con lui (2Ti 2:11-12; Ro
6:8);
• saremo co-glorificati (Ro 8:17).
Koinonia con Cristo vuol dire
dunque avere partecipato alle sue
sofferenze, alla sua morte, alla sua risurrezione e avere la certezza di
partecipare al suo regno e alla sua gloria. Koinonia è dunque molto più che
essere perdonati dal peccato e
scampare la dannazione eterna.
Un esempio illustrativo
Una storiella può aiutarci a
visualizzare meglio quanto
grande sia il dono che il Signore ci ha fatto. Immaginate di avere
commesso un
orrendo omicidio di un membro della famiglia del presidente degli Stati
Uniti e
che, pertanto, siate stati condannati a morte. Pochi giorni prima della
esecuzione vi appellate al presidente, confessate in lacrime il vostro
delitto e
lo supplicate di essere graziati. Il presidente accoglie la vostra
richiesta,
viene al carcere dove state per essere giustiziati e dice alle guardie
di
liberarvi.
Voi, in lacrime, lo
ringraziate promettendogli eterna
gratitudine ma mentre lui vi accompagna alle porte del carcere vi dice: “Vieni
alla
Casa Bianca, ti invito a mangiare”.
Voi obiettate che non avete
un vestito decente e non potete
certo andare con la tuta da carcerato alla Casa Bianca e lui ribatte: “Non
preoccuparti,
ti do uno dei miei abiti”.
Fate notare ancora che non
sapete come andare alla Casa
Bianca, perché non avete né auto, né bicicletta, né soldi per un taxi o
per un
autobus. Lui con un sorriso vi invita a salire sulla sua auto, vi porta
alla
Casa Bianca, vi dà un vestito nuovo e pranzate assieme. A fine pranzo vi
accomiatate ringraziandolo ancora per tutto quello che ha fatto per voi,
ma lui
vi dice: “Vieni a mangiare anche stasera da me, anzi vieni a mangiare
ogni
giorno, a pranzo e a cena. Ti do anche le chiavi di casa così puoi
uscire e
tornare a tuo piacimento”.
Voi, sorpresi ma felici,
accettate con piacere. Qualche
giorno dopo vi sorprende ancora dicendovi: “Voglio che diventi mio
collaboratore, ho grandi progetti per il paese e voglio che tu mi aiuti.
Per
piacere, leggi questo dossier che contiene tutti i miei piani, così
domani ne
discutiamo. Non preoccuparti se non ti senti adeguato, ti darò tutti i
mezzi
necessari, ti darò i migliori insegnanti, anzi ti insegnerò io
personalmente. E
poi, quando i tempi saranno maturi, ti nominerò vice-presidente”.
Il giorno dopo vi invita
alla riunione con i vari ministri
per discutere assieme come risanare il bilancio degli Stati Uniti; e poi
ancora, vi manda con l’aereo presidenziale a parlare in suo nome con gli
ambasciatori di altre nazioni, a diffondere le sue idee e i suoi ordini,
a
rappresentarlo in occasioni ufficiali etc... etc... E per far questo, vi
provvede tutto il necessario, vi dà i suoi soldi, vi fa entrare nella
sua
famiglia.
Che salto! Da assassino
condannato a morte a collaboratore,
ambasciatore, intimo amico del Presidente della nazione più potente del
mondo!
È difficile immaginare una
cosa del genere, è una storia
talmente inverosimile che se fosse un film probabilmente smetteremmo di
guardarlo a metà primo tempo, al più potrebbe essere una favola, un
cartone
animato, ma non certo una storia plausibile.
Eppure il Signore ha
fatto molto di più nei nostri
confronti:
non si è
limitato a un semplice colpo di spugna con cui ha cancellato i nostri
peccati,
non ha solo estinto i nostri debiti, non ha fatto un condono per evitare
che
pagassimo per le nostre colpe, ma ci ha fatto sedere in cielo con lui,
ci ha
fatto suoi collaboratori, ci ha promesso che regneremo con lui,
addirittura ci
ha resi partecipi della natura divina (2P 1:4; il termine partecipi è la traduzione
dell'aggettivo
greco della parola koinonia) comunicandoci la sua vita e venendo a dimorare in
noi.
Il miracolo incredibile
della nostra comunione con
Cristo
Paolo in Romani 6:5 usa un
altro termine con il prefisso syn dicendo che “siamo stati
totalmente uniti a lui” (Nuova Riveduta, CEI, Nuova Diodati). Altre
traduzioni dicono: “siamo
divenuti una stessa cosa con lui” (Luzzi), “siamo stati innestati con
Cristo”
(Diodati).
Il verbo qui usato nel
greco classico indica proprio
l’innesto in una pianta, vale a dire quel processo per il quale (riporto
la
definizione Treccani) si fa concrescere sopra una pianta una
parte di un
altro vegetale al fine di formare un nuovo individuo più pregiato o
più
produttivo.
Il tempo verbale è il
perfetto indicativo che indica una
azione compiuta nel passato ma che continua, ha effetto ancora nel
presente.
Paolo, evocando questa immagine, sta ribadendo con potenza l’intima
unione dei
credenti con Cristo, l’essere stati innestati in lui per diventare un
nuovo
essere e per concrescere con lui (in Luca 8:7 lo stesso termine viene usato
per i rovi e la
buona semenza col significato di crescere assieme).
Noi siamo in comunione
con Dio:
riflettiamo su questa profonda
verità!
Noi creature, sicuramente
meravigliose perché create a sua
immagine ma pur sempre creature, parlò e la cosa fu; siamo in
comunione con
colui che “parlò e la cosa
fu; comandò e la cosa apparve” (Sl 33:9), con colui al quale è bastato dire “Sia
luce”
affinché ci fosse la luce, con
colui “che ha fatto i cieli, i cieli dei cieli e tutto il loro
esercito, la
terra e tutto ciò che è sopra di essa, i mari e tutto ciò che è in essi”
(Ne 9:6).
Noi che abbiamo un inizio e
una fine, sia nel tempo che
nello spazio, noi che possiamo stare in un solo posto per volta, siamo in
comunione
con colui
che è eterno, infinito, onnipresente.
Noi con la nostra
ignoranza, la nostra finta sapienza, siamo
in comunione con
l’Onniscien-
te, con la Sapienza. Noi,
esseri falsi e mutevoli, che
diciamo una cosa e ne facciamo un’altra, che cambiamo idea
continuamente, siamo
in comunione con
colui che è la Verità, colui che è lo stesso ieri, oggi e in eterno. Lui che è la Vita si è
unito a noi
che eravamo morti nei nostri peccati.
Noi che inseguiamo la
nostra gloria fasulla siamo in
comunione
con il Re
di gloria, che un giorno condividerà con noi la sua gloria.
Noi che siamo polvere siamo
in comunione con il Re dei re, il Signore dei
signori, colui al quale è stato dato ogni potere (Mt 28:18).
Noi che guardiamo le
previsioni meteo per sapere che tempo
farà, siamo in comunione con colui al quale ubbidiscono persino i venti e
il mare (Mt 8:27).
Noi peccatori siamo in
comunione
con il tre volte Santo, “splendido
nella sua santità” (Es
15:11), colui che “ha gli occhi troppo puri per sopportare la vista
del
male, e che non può tollerare lo spettacolo dell’iniquità” (Ab 1:13).
L’elenco potrebbe
continuare per pagine e pagine ma mi fermo
qui per ovvie ragioni di spazio.
Ritengo fondamentale tenere
a mente che siamo in lui e che
lui è in noi per allontanare il rischio di vedere in Gesù solo il
Salvatore che
ha lavato i nostri peccati col suo sangue e “limitarci” a lodarlo e
benedirlo
per questo; oppure possiamo vedere in lui il Signore a cui dobbiamo
ubbidire e
sforzarci di farlo con i nostri mezzi; in sostanza potremmo vivere in
qualche
modo “distanti” da Cristo, noi sulla terra e lui lassù nei cieli,
consapevoli
che lui è il nostro Signore e Salvatore ma ancora incapaci di vivere e
di
gustare fino in fondo questa koinonia con lui.
Dio dimora in noi; Gesù ci
ha promesso: “Io sono con voi
tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente” (Mt 28:20). Io penso che,
se
riflettessimo di più su questa verità, la nostra vita ne sarebbe
veramente
sconvolta perché avremmo veramente gli stessi scopi, la stessa volontà,
gli
stessi sentimenti di Dio.
Se vivo veramente la
comunione con Dio, come posso
sopportare il peccato in me, come posso tollerare che nella mia vita ci
sia
qualcosa che non lo onora, come posso non amare il mio fratello se
Cristo ha
dato la sua vita per lui, come posso andare ancora a cercare la mia
gloria
invece che la sua, come posso non adoperarmi per portare il suo Vangelo a chi non lo conosce?
Conseguenze pratiche della
comunione
Noi siamo in koinonia con il Figlio e lo
siamo sempre perché lo siamo per grazia, in virtù
del suo sangue e del suo corpo, indipendentemente dal nostro stato
d’animo e
dalle nostre azioni. E, grazie alla comunione con il Figlio, noi
siamo
sempre in comunione con tutti coloro che sono in comunione con lui, cioè con tutti coloro
che credono
in lui. Nella preghiera sacerdotale, Gesù pregò “per quelli che
credono in
me… che siano tutti uno” (Gv 17:21). La Chiesa è una (1Co 10:17) e possiamo
contare sulla
preghiera di Cristo per questa unità.
Non è necessario cercare la
comunione con Dio e con gli
altri credenti perché noi siamo già in comunione con Dio e con tutta la
sua
Chiesa; quello che dobbiamo fare è realizzare concretamente questa
comunione
nelle nostre vite, metterla in pratica, metabolizzare questa realtà
oggettiva.
Succede spesso purtroppo che non
viviamo coerentemente con il nostro essere partecipi della natura
divina; la
comunione con Dio non si interrompe perché poggia su basi molto più
solide del
nostro agire e del nostro sentire, però non camminiamo coerentemente con
questa
koinonia.
È
qualcosa che può succedere anche nella vita e troviamo degli esempi nel
menage
matrimoniale: marito e moglie rimangono tali anche quando bisticciano
anche se
litigando non manifestano la comunione tra loro; sono una sola carne
anche se
non si rivolgono la parola per tutta una giornata o se hanno mentito
l’uno
all’altro o se si nascondono qualcosa; continuano a essere in comunione
di beni
anche se uno dei due ha fatto un acquisto costoso senza aver consultato
l’altro. A volte facciamo lo stesso col Signore e, pur continuando a
essere in
comunione con lui, non viviamo la koinonia, non ne stiamo godendo i
frutti, non la
manifestiamo.
La prima lettera di
Giovanni ci invita a dimostrare
praticamente questa koinonia, camminando nella luce: dobbiamo essere
disposti a lasciarci
illuminare dalla Luce, confessandogli tutte le infedeltà commesse;
dobbiamo
essere desiderosi che Dio getti luce su quegli aspetti della nostra vita
che
non lo onorano, quegli aspetti che noi nella nostra cecità spirituale
neanche
vediamo, dobbiamo chiedergli di purificare la nostra coscienza per
capire cosa
è sbagliato ai suoi occhi del nostro pensare, del nostro agire, del
nostro
relazionarci con lui e con il nostro prossimo.
Sappiamo bene che il
Signore non pretende che ci presentiamo
perfetti ai suoi occhi, vuole solo che noi siamo disponibili a lasciarci
rendere perfetti da lui.
La koinonia dei credenti
con Cristo, cioè del corpo con il
capo, è un dato di fatto, una verità assoluta, oggettiva; per vedere se
viviamo
coerentemente con questo status possiamo farci alcune domande:
• Abbiamo gli stessi
scopi di Cristo: l’estensione del Regno di Dio, la
glorificazione di Dio in tutto quello che facciamo, il veder realizzata
la Sua
volontà in terra come in cielo?
• Abbiamo gli stessi
sentimenti di Cristo, e quindi sopra tutto il suo amore,
amore indistinto verso tutti i peccatori, persino verso chi ci disprezza
e ci
ostacola?
• Proviamo la sua stessa
indignazione davanti all’iniquità e alla
ingiustizia?
• Piangiamo con lui
davanti all’empio che non si vuole convertire?
• Abbiamo lo stesso suo
orrore del peccato, in primis del peccato che vediamo
in noi, quel sano e santo orrore che deve portarci alla umiliazione e al
ravvedimento?
La Parola ci porta tanti
esempi di uomini che condividevano
gli stessi sentimenti del Signore: pensiamo alle lacrime di Geremia
davanti al
peccato di Israele, allo spirito di Paolo che si inacerbisce nel vedere
gli
idoli ad Atene (At 17:16), pensiamo a Lot che “si tormentava ogni
giorno
nella sua anima giusta a motivo delle opere inique” degli abitanti di Sodoma e
Gomorra
(2P 2:8), pensiamo a Davide che nel Salmo 119:136 scrive: “Fiumi di
lacrime
mi scendono dagli occhi, perché la tua legge non è osservata”.
In Filippesi 2:2, Paolo
esorta a essere sinpsicoi, un altro termine con il prefisso syn
che la
nuova
Riveduta traduce essere di un animo solo, cioè ad avere gli stessi
scopi e
sentimenti gli uni degli altri proprio come conseguenza dell’ avere gli
stessi scopi
e sentimenti del nostro Signore.
Che fare per vivere
coerentemente a questa comunione con
Dio?
Atti 2:42 si riferisce a
uno dei momenti più floridi della
chiesa primitiva, quando il Signore aggiunge in pochi giorni migliaia di
credenti alla sua chiesa; credenti che erano perseveranti
nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna (koinonia), nel rompere il pane e
nelle
preghiere. Ognuna di queste cose se fatte con il giusto atteggiamento,
se fatte
con fede e discernimento, se fatte in spirito e non in carne sono
nutrimento
spirituale che porta a vivere veramente la koinonia col Signore e al tempo
stesso sono
il frutto del vivere coerentemente all’essere in comunione con lui.
Credo sia esperienza comune
a tanti di noi quella che più
leggiamo la Parola più abbiamo voglia di leggerla, più preghiamo più
abbiamo
voglia di pregare, più stiamo coi fratelli e più abbiamo voglia di stare
con
loro-
È un circolo virtuoso
che dobbiamo cercare di portare
nelle nostre vite, una spirale positiva che ci porta a manifestare la
comunione
con Dio.
Vigiliamo per non cadere
nel circolo vizioso opposto, quello
di pregare sempre meno, di leggere sempre meno la Parola, di stare
sempre meno
con i fratelli, una spirale negativa che ci porterà a vivere sempre più
in maniera
incoerente con la koinonia con Cristo.
Lodiamo dunque il nostro
Signore per questa grazia
meravigliosa e chiediamoci se viviamo coerentemente con la koinonia con Cristo e la con la
sua Chiesa;
domandiamoci anche se gli altri vedono in noi questa koinonia e rinnoviamo giorno dopo
giorno
l’impegno a camminare nella luce e a lasciarci trasformare da lui.
Massimo
Medda
(Assemblea
di Modena, via Di
Vittorio)
Fonte: Il Cristiano
- Accedi per commentare
- 2072 viste