Lo scrittore agli Ebrei ci dice: "Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato" (Ebrei 4:15).
La maggior parte dei cristiani conosce questo verso. Ci dice che il nostro sommo sacerdote Gesù sente con noi le nostre sofferenze. La parola greca per "simpatizzare" significa qui "provare un sentimento
dovuto al fatto di aver attraversato lo stesso tipo di sofferenze". In altre parole, il nostro Signore è toccato personalmente da ogni calamità, dolore, confusione e disperazione che possiamo provare.
Tutto quello che possiamo sopportare l'ha sopportato anche lui, in un modo o nell'altro. Perché abbiamo un tale grande sommo sacerdote, ci viene detto: "Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia ed essere soccorsi al momento opportuno" (Ebrei 4:16). Ci viene detto: "Il tuo Salvatore sa esattamente cosa stai passando. E sa esattamente come ministrarti la sua grazia".
A questo punto, mi domando: quando siamo nei momenti di grande bisogno, dove "troviamo grazia", come suggerisce Ebrei?
Ho sentito la maggior parte delle definizioni teologiche della grazia:
- favore immeritato,
- bontà di Dio,
- il suo amore speciale.
Tutto era avvenuto in maniera così improvvisa. Soltanto il giorno prima, Debbie e Roger ci avevano chiamato chiedendoci di pregare mentre portavano Tiffany dal dottore. Aveva avuto dei mal di testa terribili, e stava iniziando a sanguinare dall'occhio. Attaccando il telefono, dissi a Gwen: "La vita è così fragile. Basta una telefonata per capovolgere tutto il tuo mondo".
Il giorno seguente, arrivando all'ospedale della Virginia, io e Gwen vedemmo tanti genitori disperati nelle corsie. Avevano tutti delle espressioni preoccupate, si abbracciavano in attesa di ogni probabile cattiva notizia riguardo i loro figli. Spesso, quando si sentivano dire le parole orribili - "È maligno" - alcuni gridavano in agonia, lasciandosi totalmente andare.
E mentre attendevamo i risultati di laboratorio, pregai silenziosamente per poter accettare con forza qualsiasi verdetto fosse arrivato. In quel momento, non m'importava quale fosse il significato teologico di grazia. Per me significava avere la pace di Dio, e accettare qualsiasi notizia senza cadere nel panico. Pregai: "Signore, sappiamo che fai ogni cosa nel modo giusto. Abbiamo messo la nostra fiducia in te. Non farci peccare con le nostre labbra. Dacci la tua grazia per sopportare tutto questo".
Poi arrivò il torrente delle cattive notizie: Tiffany aveva un grande tumore, uno dei peggiori. Era maligno.
Avevo udito quella orrenda parola "maligno" già otto volte prima.
Gwen, Debbie e la nostra figlia minore Bonnie, avevano tutte combattuto con il cancro. Grazie al Signore, siamo sopravvissuti a quei momenti terribili. Eppure ogni volta che sentivo quelle notizie negative, erano le peggiori che avessi mai sentito. Non posso descrivervi che ciò che Gwen ed io provammo in quel momento con la nostra nipote Tiffany. Vi posso dire solo che il mio dolore mi portò a leggere il libro di Giobbe.
Giobbe era un uomo pio, la cui famiglia era molto unita. Lui e sua moglie avevano dieci figli adulti, sette maschi e tre femmine. Giobbe pregava giornalmente per i suoi figli, offrendo sacrifici per conto loro: "Perché diceva: "Può darsi che i miei figli abbiano peccato e abbiano rinnegato Dio in cuor loro". Giobbe faceva sempre così" (Giobbe 1:5).
Giobbe non aveva idea di quello che stava accadendo in cielo fra Dio e Satana. Nessuno lo aveva avvertito che la sua famiglia sarebbe stata
colpita da un'improvvisa calamità. E la Bibbia raffigura una scena raccapricciante: nel giro di un solo giorno, Giobbe non perse soltanto i suoi servi e i suoi possedimenti, ma tutti e dieci i suoi figli morirono in un disastro naturale (vedi Giobbe 1:13-22).
Quando inferisce la calamità, ci sono soltanto due modi di reagire Cercate di immaginare la tragica perdita di Giobbe e sua moglie. Nel giro di poche ore, dalle loro vite era stato strappato tutto ciò che avevano di più caro: tutti i loro cari, ogni servo e ogni donzella. Ma nonostante il suo grande dolore, Giobbe scelse di reagire secondo l'alternativa positiva. Mentre sue moglie scelse quella negativa.
La moglie di Giobbe sicuramente fu amareggiata nel sentirsi dire dal messaggero: "Il fuoco di Dio è caduto dal cielo, ha colpito le pecore e i servi, e li ha divorati" (Giobbe 1:16). E mentre assorbiva la terribile notizia, questa donna rifiutò di essere consolata. Ella accusò Dio stoltamente, istigando suo marito: "Maledici Dio e muori" (2:9). Stava dicendo, in effetti: "Perché il Signore ha scatenato quest'orribile tragedia sulla nostra famiglia così perbene?"
Personalmente, non posso biasimare la moglie di Giobbe per la sua reazione. Se anch'io avessi perso tutti i miei figli e i miei cari in un solo pomeriggio, mi sarei potuto trovare nelle sue stesse condizioni. Credo che quando arrivò quella terribile notizia, la moglie di Giobbe morì interiormente. Era fisicamente viva, ma il suo cuore era morto.
Ma doveva arrivare ancora un'altra tragedia. Subito dopo suo marito fu
colpito da bolle dolorose, dal capo ai piedi. Giobbe finì seduto sulla cenere, a grattarsi la pelle con dei cocci di ceramica, per sperare di sollevare il dolore. La vista di questo uomo malato era così orrenda, che la gente si girava dall'altra parte costernata. Persino gli amici di Giobbe non lo riconobbero a prima vista. E dopo averlo fatto, non riuscirono più a guardarlo. Si sedettero a distanza da lui, piangendo e lamentandosi per quello che era accaduto al loro amico.
Nel frattempo, la moglie di Giobbe probabilmente si era ammutolita. Il ricordo delle gioiose riunioni familiari e le speranze per il futuro erano andati in frantumo. Tutto il suo mondo le era crollato addosso. Non avrebbe mai potuto godere più quella gioia o quella speranza. Tutto in lei era morto: l'amore, la speranza, la fede. E rabbia ed incredulità riempivano il suo cuore.
Ma anche Giobbe era profondamente rattristato. Quest'uomo aveva veramente bisogno di una parola di conforto. Ma al contrario, sua moglie esplose e disse: "Ancora mantieni la tua integrità" (2:9). In quest'espressione così tagliente possiamo notare due cose. Prima di tutto, lei stava chiedendo: "Quale orribile peccato nascosto hai commesso, Giobbe, tanto da attirarci addosso il giudizio di Dio? Non cercare di convincermi che sei ancora una persona integra!"
Secondo, stava insinuando: "E' così che Dio tratta una famiglia di persone oneste? Tutti giorni abbiamo offerto olocausti per la famiglia. Abbiamo camminato perfettamente davanti al Signore. Ed abbiamo usato la nostra abbondanza per benedire i poveri. Perché il Signore ci ha privato di quello che avevamo di più prezioso? Non posso servire un Dio che permette tutto questo".
Poi questa donna amareggiata pronunciò queste orribili parole: "Maledici Dio e muori" (2:9). Stava riconoscendo: "Io sono già morta, Giobbe. Cosa mi rimane? È meglio morire che vivere senza i nostri figli. Perciò, dai, maledici Dio e muori insieme a me".
La sua condizione illustra la grande battaglia contro il nemico che ognuno di noi affronta quando avviene una tragedia. Ho visto di recente questa battaglia in una giovane donna accanto alla quale ero seduto in aeroplano. Notai che stava piangendo sommessamente. Le dissi che ero un ministro di culto e le chiesi se potevo aiutarla. Mi rispose: "Senta, non riesco proprio a credere nel suo Dio".
Mi raccontò che suo padre era morto improvvisamente. Lo descrisse come un uomo buono, uno che si era fatto a pezzi per aiutare gli altri. Piangendo lacrime amare, questa donna mi disse: "Non credo in un Dio che decide di uccidere un buon padre nel fiore della sua età". Aveva scelto la terribile alternativa della moglie di Giobbe: ella aveva accusato Dio ed era sprofondata nella disperazione. Nonostante fosse viva fisicamente, al suo interno era morta.
[CONTINUA...]
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Di David Wilkerson
14 maggio 2001
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