Il rischio di una pericolosa deriva
Qualche tempo fa ho completato un corso di ermeneutica biblica offerto dal Moody Bible Institute di Chicago. Inutile dire che da un punto di vista accademico il corso era ottimamente strutturato, toccando i vari punti relativi alla materia in oggetto in modo accurato e approfondito e ponendo lo studente di fronte alle vere questioni legate al complesso ambito dell'interpretazione della Scrittura.
Il corso si sviluppava come disamina delle varie limitazioni alle possibilità interpretative in un tentativo di far fronte al pericolo dell'allegorizzazione e spiritualizzazione della Scrittura, insegnando piuttosto una lettura letterale e contestualizzata del testo.
Se da un lato questo tipo di studio si è rivelato biblicamente corretto e massimamente utile, dall'altro la riflessione sul tema e come esso è affrontato dai più ha alimentato in me perplessità che già nutrivo in merito ad alcuni suoi presupposti e conclusioni che prestano il fianco a pericolose derive.
Certamente tali e tanti errori sono derivati dalla mancanza di una lettura che tenesse conto dei contesti biblici in cui i passi sono inseriti: l'enfasi su uno studio onesto e attento della Bibbia non può essere in alcun modo sovrastimata.
Tuttavia, sta prendendo sempre più piede un'idea secondo la quale un approfondito studio ermeneutico di natura accademica sia ormai indispensabile e imprescindibile per comprendere adeguatamente il significato delle Scritture.
Questo pensiero accoglie naturalmente varie sfumature, che vanno dalle dichiarazioni esplicite in questo senso a un'enfasi velata da un riconoscimento formale del ruolo dello Spirito Santo.
Se è vero che la conoscenza dei principi ermeneutici fondamentali può fornire un indubbio ausilio interpretativo a chi s'accosta alla Parola di Dio, rimarremo sorpresi quando, a fronte di una pretesa di scientificità interpretativa salutata da articoli e libri di eminenti ermeneuti evangelici, ci rivolgeremo alla Bibbia per constatare soltanto come essa ignori completamente la gran parte delle istruzioni ermeneutiche invocate oggi.
Sorge spontaneo il chiedersi come mai il Signore non si sia curato di darci egli stesso tutte le chiavi ermeneutiche necessarie per aprire il testo biblico e renderlo intelligibile, se davvero queste sono tanto imprescindibili o anche solo offrano una comprensione migliore del testo.
Una sola chiave ermeneutica
Al contrario, mentre la Scrittura invita sì i credenti ad uno studio diligente e attento di sé stessa, quale Parola di Dio (1Ti 4:13), il Signore si cura di insegnarci per mezzo di Giovanni e di Paolo che come "lo Spirito della verità" ha guidato gli autori biblici "in tutta la verità" (Gv 16:13), così "nessuno conosce le cose di Dio se non lo Spirito di Dio" che "abbiamo ricevuto... per conoscere le cose che Dio ci ha donate... Infatti ‘chi ha conosciuto la mente del Signore da poterlo istruire? Ora noi abbiamo la mente di Cristo" (1Co 2:11-12, 16).
L'unica vera chiave ermeneutica che il Signore ci offre è il suo Spirito, autore della Parola e colui che solo ne può dischiudere la verità spirituale a chi possiede la mente di Cristo. Abbiamo letto infatti, e occorre sottolinearlo, che "nessuno conosce le cose di Dio" rivelate nella Scrittura "se non lo Spirito di Dio".
Come possiamo pensare con la nostra scienza umana di catturare il pensiero rivelato del Signore?Certo il Signore l'ha rivelato perché lo comprendessimo, ma questo non avviene in virtù della nostra capacità di applicare un infallibile sistema ermeneutico o principi esegetici mutuati dalle discipline secolari, quasi che il testo che abbiamo davanti fosse una poesia del Foscolo o un romanzo di Hemingway.
Una china pericolosa
Ciò che abbiamo davanti sono "le cose di Dio" e solo lo Spirito ce le può rivelare. Non di questo avviso è James Packer, eminente studioso biblico, secondo cui "la possibilità di comprensione di ogni passo biblico, il suo genere letterario, la portata ed il contenuto delle asserzioni che vengono realmente fatte, devono essere determinati esclusivamente per mezzo dell'induzione, seguendo l'esegesi grammatico-storica".1
L'avverbio "esclusivamente" non fa che confermare l'idea di imprescindibilità e scientificità che si vuole attribuire a un dato approccio ermeneutico. Per quanto rispettoso dell'ispirazione possa essere l'approccio grammatico-storico, la nozione secondo cui la "possibilità di comprensione di ogni passo... la portata ed il contenuto delle asserzioni" debbano "esclusivamente" dipendere dalla sua applicazione contraddice tout court l'esclusività che è invece propria del ministero dello Spirito.
Ne deriva infatti che la persona che non sia in grado di seguire "un'esegesi grammatico-storica" sia esclusa dalla "comprensione di ogni passo biblico" o ancora dall'afferrarne "la portata". Quando, a mo' di premessa a questo stesso pensiero, lo studioso afferma che "...Dio mise le sue parole nella bocca di uomini e li spinse a scriverle quali uomini dei loro tempi in modo che la loro individualità non fosse in alcun modo diminuita dall'ispirazione, cosicché parlarono e scrissero per essere capiti dai loro contemporanei. Dato che Dio ha operato per creare un'identità fra le loro parole e le sue, la via perché noi possiamo penetrare la sua mente, sono loro. I loro pensieri ed il loro parlare di Dio costituisce l'auto-testimonianza di Dio stesso",2 rimaniamo stupiti nel constatare come i sillogismi medievali di marca scolastica non siano ancora passati di moda e ancora contribuiscano a distorcere la verità.
Catturare la forma per catturare la sostanza, dice Packer, ma se le cose stanno così, ci chiediamo chi possa essere in grado di intendere la Parola e di quali strumenti dobbiamo mai essere in possesso per scalfirne anche solo la superficie.
D'altronde, quand'anche fossimo in grado di catturare la forma, ci ritroveremmo da capo, verseremmo cioè comunque nell'incapacità di comprendere quelle cose di Dio che solo lo Spirito ci può rivelare.
Sarà pertanto nella misura stessa in cui metteremo da parte la nostra pretesa di scendere a patti con l'elemento umano attraverso l'utilizzo dei nostri strumenti esegetici - quasi che esso formi una sorta di velo da sollevare o vistosa cornice da rimuovere prima di poter gustare il quadro - e chiederemo la guida dello Spirito per comprendere la rivelazione divina, che egli ci ammaestrerà in tutta la verità.
Naturalmente, il principio stesso di ispirazione verbale esige da noi quella che Ryrie chiama una "lettura letterale o normale" che ben s'accompagna all'opera dello Spirito nei nostri cuori e nella nostra mente.
Se chiedessi a un mio docente universitario di fare un'esegesi di un testo biblico, con ogni probabilità rinuncerebbe, laddove non specialista, per mancanza di strumenti sufficienti, perché a tanto si dovrebbe giungere qualora imbocchiamo la strada della necessità del possesso di competenze ermeneutico-esegetiche, mentre uno specialista non credente, nel migliore dei casi, produrrebbe un'esegesi esatta, senza però aver capito nulla da un punto di vista spirituale. Tanto afferma la Scrittura!
Il giusto atteggiamento davanti alla Scrittura
Quanta gloria c'era nelle parole di Lutero quando, brandendo la Scrittura, poteva affermare che una qualsiasi poverella con in mano la sola Parola di Dio valeva più degli eruditi di tutti i concili. La pittoricità del riformatore mirava ad affermare il principio per il quale Gesù ringrazio il Padre quando disse: "Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli" (Mt 11:25). È questo l'atteggiamento che siamo chiamati ad assumere quando ci accostiamo alla Parola di Dio, quello di piccoli fanciulli che dipendono dal loro Signore e con ogni sottomissione gli chiedono di istruirli, mettendo da parte la propria sapienza umana e l'umana pretesa di capire in virtù delle proprie capacità.
Certo il nostro Signore non assimila l'essere come piccoli all'assenza di erudizione, né contrappone quest'ultima alla povertà di spirito, ma, come in più parti la Scrittura ci insegna, più possiamo fare affidamento sulle nostre forze, capacità o conoscenze, più la nostra natura umana ci spingerà a farlo, "privando" il Signore della possibilità di intervenire egli stesso.
Laddove invece andiamo al Signore riconoscendo la nostra insufficienza, lui interverrà facendo al di là di quanto gli chiediamo. Tanto la persona istruita quanto quella priva di un'istruzione formale sono dunque chiamate ad umiliarsi davanti al Signore e alla sua Parola e, con fede, ricevere ammaestramento da lui.
Il Signore stesso, con il suo Spirito, sceglierà poi di servirsi del bagaglio culturale e personale di ciascuno, per mostrargli alcune cose piuttosto che altre o arricchirlo in una maniera piuttosto che un'altra per l'edificazione sua e della chiesa.
La sapienza? Un danno quando oscura la croce
Pensiamo all'apostolo Pietro. Per un pescatore come lui, l'istruzione ricevuta sino al Bar-Mitzvah era forse sufficiente perché fosse in grado di disquisire in merito agli stili letterari dei vari libri della Bibbia o perché collocasse ogni passo dell'Antico Testamento nel suo giusto contesto storico?
Certamente no, eppure, il Signore Gesù l'aveva scelto per comunicare la sua rivelazione. Fu proprio il "sassolino" a spiegarci che Gesù è la roccia e a riconoscere negli scritti di Paolo la Scrittura. Non sangue e carne glielo avevano rivelato, ma lo Spirito di Dio che era il custode di queste verità.
D'altro canto, il Signore poté anche servirsi di persone ampiamente istruite come Paolo (o Luca), ma solo dopo averlo fatto cadere da cavallo!
Proprio Paolo aveva reputato tutto il suo retaggio razziale, religioso e culturale "come tanta spazzatura" (Fl 3:8) e aveva scelto di custodire il grande tesoro che possedeva in un vaso di terra, perché fosse evidente che la potenza visibile in lui era Dio stesso e non loro (2Co 4:7).
Un'attenta lettura di 1Corinzi dovrebbe allertare i nostri sensi contro il pericolo, tutto umano, di esaltare la nostra persona e il nostro servizio e di correre dietro ai sapienti, a questo o a quell'autore, a questa o a quella scuola.
L'orgoglio intellettuale ci squalifica dinanzi a un Signore che "ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti" (1Co 1:27). La realtà è che il culto dell'uomo e della sua sapienza è connaturato in noi e non vogliamo ammetterlo; ma Paolo, il sapiente, si presentò al mondo "non con sapienza... perché la croce di Cristo non fosse resa vana" (1Co 1:17).
È così che la sapienza, con tutti i suoi eruditi studi ermeneutici ed esegetici, laddove non sottoposta con umiltà al Signore, diventa un ostacolo, anzi, un danno per chi s'avvicina alla Parola, poiché si sovrappone alla croce, oscurandola e obliterando il ministero dello Spirito.
Prima la fede poi la visione!
Ebrei 11:3 afferma che "per fede comprendiamo che i mondi sono stati formati dalla parola di Dio". Fermiamoci un attimo a riflettere su questa affermazione: il mondo dice: "Vedere per credere", il credente risponde: "Credere per vedere".
La fede ci mette in grado di comprendere come tutto ha avuto inizio senza che siamo scienziati o studiosi. Come è possibile questo? Tutta la fede deve avere per oggetto una rivelazione o una promessa da parte di Dio, che per definizione è veritiero in tutti i suoi consigli e in tutte le sue vie.
Riporre quindi la propria fiducia in ciò che Dio ci dice equivale ad essere a conoscenza della verità. Dobbiamo pertanto avvicinarci alla Parola con fede semplice e il più possibile priva di condizionamenti o preconcetti, per accogliere senza timore ciò che Dio ci dice.
È per questa ragione che persino una lettura troppo intensa di libri e commentari cristiani, cosa in sé buona, può risultare controproducente, imprimendo nella mente del lettore schemi prefissati e categorie umane, da cui è difficile prescindere quando poi torniamo alla Bibbia.
La fede deve costituire il perno fondante di convinzioni maturate unicamente sulla Scrittura. È triste quando si parte da altre fonti, adeguando ad esse il contenuto della Scrittura o si vuole toccare prima con mano per poi credere.
La fede deve precedere sempre di un passo la visione. Chi non crede che le cose stanno così come Dio le ha rivelate non fa altro che chiamarlo bugiardo.
Una malsana frenesia intellettualistica
Dopo aver dette queste cose, viene naturale interrogarsi sul posto che lo studioso, le scuole bibliche e i vari studi accademici occupano nell'edificazione della Chiesa o se debbano affatto occuparne uno.
Certamente tutte queste cose hanno un posto importante, ma ci chiediamo se spesso non abbiano travalicato i propri confini spirituali, finendo per tradire lo spirito e le ragioni per cui erano sorte.
Guardando indietro al Signore Gesù, alla semplicità che rivestiva la straordinaria profondità spirituale del suo insegnamento e della sua opera e che contraddistinse i primi passi della Chiesa cristiana, vediamo uno scarto profondo con l'enfasi oggi posta dai più sullo studio accademico e specialistico. Naturalmente, ciò che il Signore ci vuole mostrare attraverso lo studio di altri credenti consacrati è di grande utilità e valore per la nostra stessa comprensione della Parola e la nostra crescita spirituale, e di qui l'importanza primaria dell'insegnamento, della predicazione e dei doni nella Chiesa, tuttavia è evidente che una malsana frenesia intellettualistica muove ormai molti credenti e interi ambienti.
In ultima analisi, il problema risiede, come sempre, nel nostro cuore. Una scuola biblica può rendere, nell'umiltà, un servizio meraviglioso alla Chiesa del Signore Gesù Cristo, mentre lo studioso può aprire nuove finestre alla visuale spirituale dei credenti, confortandone ad un tempo la fede.
Un corso di ermeneutica può porre l'accento su cose di cui è bene tener conto, e, ancora, un commentario può rappresentare un arricchimento ed un utile termine di paragone per chi s'addentra in uno studio approfondito di un testo. Ma tutto questo può altresì divenire tanta spazzatura se la conoscenza che vogliamo ottenere è una conoscenza che gonfia e non una conoscenza del Signore Gesù Cristo motivata dalla pietà e da un sincero riconoscimento dell'unicità e insostituibilità del ministero dello Spirito nel guidarci addentro ai tesori della Parola.
Quando pertanto ci accostiamo alla Parola di Dio, ricordiamoci ciò che siamo e quale grazia ci ha elevati alla posizione di figli, quindi pieghiamo le ginocchia del nostro cuore e sottomettiamo la nostra mente e i nostri pensieri ai pensieri di Cristo per fede. Sarà allora lo Spirito a istruirci e guidarci in tutta la verità.
Filippo Falcone
(Assemblea di Villadossola, VB)
Fonte: www.ilcristiano.it - gennaio 2007
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