Maggio 2011 - E’ un attacco selvaggio, concentrico, bellicoso e iggaro di ogni regola internazionale. Il nostro presidente Giorgio Napolitano d’un tratto, durante una visita che avrebbe dovuto avere il puro tratto della simpatia che legano l’Italia a Israele, si trova invece di fronte il baratro mediorientale, la voglia di distruzione dello Stato degli Ebrei, uno scenario che si spalanca come un primo grido di verità proveniente dal ventre delle nuove rivoluzioni. In queste ore, quelle della celebrazione della “nakba”, Israele è circondato da manifestazioni di rifiuto profondo provenienti da tutte le latitudini. “Nakba” è una parola araba che significa disastro, rovina, distruzione, e la si piange nei giorni in cui si celebra la proclamazione dello Stato di Israele, che ha computo tre giorni fa 63 anni.

Quest’anno, dopo l’unificazione con Hamas, la celebrazione ha preso un tono definitivo, di nuovo mostra i denti della distruzione. Non importa che si accusi Israele di crimini che non ha mai commesso: i palestinesi portarono a se stessi la rovina rifiutando la partizione fra Stato ebraico e Stato Palestinese stabilita dall’ONU nel 1947 e andandosene su ordine dei sei Paesi arabi che mandarono i loro eserciti con la promessa che gli ebrei sarebbero stati obliterati.

Ieri le manifestazioni per la Nakba hanno preso una dimensione globale che disegna una foga di rivincita legata alle rivoluzioni arabe di questi giorni e mostra anche in trasparenza il disegno di distruzione che l’Iran vuole costruire attraverso i suoi alleati: la Siria, Hezbollah, Hamas. L’energia e l’eccitazione che si sprigiona in questo periodo nei Paesi arabi sull’onda della rivoluzione si è trasformata in rifiuto di qualsiasi moderazione, di qualsiasi progetto di trattativa con Israele. Un nuovo impeto che intende strappare e schiacciare ha spinto masse di cittadini arabi, fra cui molti profughi palestinesi, a scavalcare i loro confini con Israele: è un sogno più volte vagheggiato dall’estremismo islamico, masse demograficamente dilaganti che marciano compatte e distruggono lo Stato degli Ebrei.

L’assedio è stato completo: a Tel Aviv, in città, un camion guidato da un arabo israeliano si è gettato su un autobus e sui passanti uccidendo una persona e ferendone quindici. Sul fronte sia di Gaza che della piazza di Ramallah, nel West Bank tutto, compreso Hebron che è da sempre regno di Hamas, migliaia di persone hanno marciato sui check point promettendo di “riscattare la terra col sangue”. A Gaza l’esercito ha sparato per impedire l’ingresso dei militanti e ci sono stati morti e feriti. La Siria è il caso maggiore: per la prima volta dal 1967, frotte di dimostranti  hanno attraversato il confine gridando “morte a Israele”. C’è stato un morto siriano e tre feriti israeliani. Torna in mente la bizzarra minaccia di Bashar Assad di attaccare Israele di fronte a rischi per il suo regime. Ma la minaccia non era bizzarra. Non si tratta di un attacco dell’esercito, ma i siriani (cui non era mai stato permesso di avvicinarsi al confine) entrati a Majdal Shams, un villaggio druso dalla parte israeliana, hanno fatto irruzione chiedendo la restituzione del Golan e il ritorno dei palestinesi. Come dire: “questo accadrà con armi ben peggiori se Assad non viene restaurato”.

Una promessa di ispirazione iraniana, come quella degli Hezbollah, i pupilli di Ahmadinejad, che sul confine di Marun a Ras, tante volte teatro di guerra fra Israele e Libano, hanno spinto a sfondare il confine un misto di profughi palestinesi e attivisti libanesi, tutti a chiedere la testa di Israele. Ci sono stati quattro morti probabilmente fatti dall’esercito libanese; la loro elevazione a shahid fa coro con la felicità dei palestinesi nel vedere che la loro Nakba è diventata una guerra di tutto il mondo arabo. Facebook ha fatto una sua fondamentale parte chiamando tutto il mondo arabo a una primavera antisraeliana finalmente, ed esso ora scende ora in campo, compreso l’Egitto i cui cittadini a decine sono andati a solidarizzare con Hamas a Gaza sfondando il check point egiziano, mentre al Cairo il giorno avanti l'ambasciata israeliana era stata assediata da migliaia di persone. Anche la Giordania è percorsa da manifestazione contro Israele.

L’immagine di Israele assediata da ogni parte è agghiacciante e contraddice pienamente l’idea irenica che i manifestanti non bruciavano le bandiere israeliane. Già molti episodi hanno contraddetto quella immagine e oggi vediamo che talora l’idea di libertà per l’estremismo islamico e panarabo è libertà di distruggere Israele.

alex

Celebrare le sconfitte?

di Donatella Di Cesare

È difficile capire perché mai dovrebbe far parte delle date da ricordare l'anniversario di una sconfitta militare. A dir vero è sgradevole e irritante già la celebrazione delle vittorie, perché rinvia alla guerra passata. Che quest'anno i palestinesi abbiano per la prima volta condiviso l'uso siriano di commemorare la data della Naksa, il giorno della «sconfitta» - che dovrebbe esibire un nesso di continuità inammissibile con la Nakba - è un segnale inquietante.
Tanto più che la sconfitta è stata l'esito di una guerra non subita ma, al contrario, inflitta. Nella Guerra dei Sei giorni - occorre ricordarlo - Israele fu attaccato dagli Stati arabi: Egitto, Siria, Giordania, Iraq. E fu costretto a vincere. Si trovò improvvisamente nel Sinai e a Gaza, sulle alture del Golan, in Cisgiordania, a Gerusalemme. In sei giorni mutò in modo radicale il paesaggio geopolitico del Medio Oriente.
Le notizie degli scontri lungo i confini dello Stato di Israele - notizie che rattristano profondamente chi guarda con speranza alla pace - pongono molti interrogativi. E in primo luogo fanno pensare a un ruolo decisivo della Siria il cui regime dittatoriale ha molto da guadagnare distogliendo l'attenzione dai problemi interni e indirizzandola verso la frontiera con Israele. Gli scontri, un dramma in cui si consuma un uso politico dei palestinesi, sembrano però anche voler rimarcare i confini del '67 gettando l'ombra di un ritiro forzato.
In tutto ciò resta un punto decisivo da cui non si può prescindere. Israele è uno Stato sovrano, la cui sovranità deve essere esercitata, purtroppo, anche nella difesa delle frontiere. Che cosa farebbe uno Stato europeo se fosse attaccato?
Le notizie che vengono fornite in questi giorni, dalla stampa italiana, ma anche da quella europea, sono spesso introdotte da preamboli inaccettabili: «il giorno della rabbia palestinese…», «David contro Golia» (Golia sarebbe Israele), ecc. Piuttosto che riassumere gli eventi, riandare al passato, offrire il contesto storico, quello della Guerra dei sei giorni, si inseriscono giudizi che tradiscono l'intolleranza verso lo Stato di Israele la cui sovranità sembra di fatto non essere riconosciuta. Questa disinformazione, inconsapevole o strategica, non passa senza lasciare danni. E ha la responsabilità di contribuire ai conflitti.

(Notiziario Ucei, 6 giugno 2011)
Inviato da alex il

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