Paese sconvolto dalla notizia dei brutali omicidi. Il governo ritarda la notizia per avvisare le madri.

di Fiamma Nirenstein

Corne una madre che non vuole sapere della morte del figlio e fugge quanto più lontano, così ieri Israele ha evitato di dare la notizia anche dopo ore che AlJazeera e Al Arabiya avevano annunciato che i ragazzi rapiti per cui da due settimane si prega e si trema sono stati ritrovati morti. Si fa così in Israele: prima sono stati avvertiti i genitori, che non apprendano dalla televisione l'accaduto. Naftali Frenkel,16 anni, Gilad Shaar, 16 anni, Eyal Yfrach, 19 sono stati abbandonati insepolti dai loro rapitori, terroristi di Hamas, islamisti estremi, a dieci chilometri da dove erano stati rapiti, tre studenti che tornano a casa da scuola chiedendo un passaggio. Pochi minuti dopo essere stati rapiti sono stati ammazzati, tutti e tre. Dai titoli sulla stampa palestinesese si è potuta notare la soddisfazione e l'incitamento popolare, ogni giorno, nonostante la condanna di Abu Mazen, per il rapimento di tre «uomini ebrei», tre settler, tre odiati usurpatori, tre mostri occupanti, che osavano tornare da scuola calpestando il territorio della sacra umma islamica che gli ebrei non devono abitare, possedere, abitare, neanche quando tornano a casa da scuola.
   La morte dei ragazzi è una verità micidiale sulla realtà attuale, sulla pace, sulla vita della gente che abita quell'area. Israele non si riprenderà presto, i teenager uccisi erano figli di ciascuno: ha cercato con tutta la sua anima quei tre ragazzini, notte e giomo. Come ha detto una delle mamme parlando di loro erano semplicemente dei ragazzi che giocavano a ping pong, suonavano la chitarra, erano oggetto della cura estrema delle loro famiglie, come i nostri ragazzi attraversano da bambini la strada per la mano, avevano mille sogni, uno di loro aveva la passione della cucina, voleva essere uno chef. Nessuno, in Israele, né le famiglie, né i compagni di scuola che abbiamo incontrato, né i politici, hanno mai detto una parola d'odio sui rapitori. Si sono riempiti per loro le sinagoghe e le grandi piazze laiche, come Kikar Rabin a Tel Aviv, i soldati hanno battuto tutta l'area spostando letteralmente ogni pietra, penetrando in ogni casa a rischio della loro vita, in zone come Halcul e Hebron che sono la serra di Hamas, mentre i giudici, i giornali, osservavano con giustizia e severità ogni loro mossa nel campo palestinese. I genitori dei tre ragazzi non hanno mai smesso di presentarsi in pubblico ordinati e calmi, grati, persino sorridenti. Tutta Israele non pensava che a loro senza perdere la testa, il Capo di Stato Maggiore diceva la sera «Cercateli come fossero vostri fratelli, ma stanotte nelle case di Hebron ricordatevi che ci sono anche molti che non la pensano come Hamas». Forse. Ma quello lo spettacolo che offre questo assassinio è quello di una società da cui l'odio ribolle eguale a quello fanatico in Siria, in Iraq, la malattia dell'Islam estremo di Hamas qui è diventata, e non per la prima volta, assassinio di bambini. Li hanno presi per ammazzarli, non hanno nemmeno provato a utilizzare il rapimento per ricattare il governo e ottenere, come fecero con Gilad Shalit e tanti altri, il rilascio di prigionieri. Il rapimento è stato un modo di umiliare, di mettere inginocchio, di fare uno sberleffo a un Paese che mette nella sua difesa un punto di onore, lo scopo però era ammazzare tre ragazzini che tornavano da scuola.
   Abu Mazen adesso capirà che la sua alleanza con Hamas, tanto da formarci insieme un governo, è stata un'alleanza con assassini pericolosi anche per lui? Saran capaci Obama o l'Europa di vedere quanto è indispensabile per Israele difendersi da i nemici senza limiti che la penetrano e la circondano? La scelta di uccidere Naftali, Gilad, Yfrach frutto della volontà di terrorizzare Israele, e piegarlo sul suo dolore. Non funzionerà, ancora una volta Hamas si illude di poter piegare gente che persino dopo la Shoah si è arrotolatale maniche ed è riuscita a far fiorire il deserto e a combattere in nome della vita del popolo ebraico. Così sarà anche questa volta.

(il Giornale, 1 luglio 2014)

alex

Palestinese ucciso. Israele arresta sei estremisti ebrei

Uno dei giovani avrebbe confessato: c'era un piano Caccia ai complici per l'omicidio di Mohammed. La reazione di Netanyahu: «Qui non c'è spazio per gli assassini».

di Maurizio Molinari

GERUSALEMME - Almeno sei estremisti ebrei sono stati arrestati dalla polizia israeliana per l'omicidio del giovane palestinese Mohammed Abu Khdeir, bruciato vivo. Sono considerati terroristi e in quanto tali per dieci giorni saranno detenuti senza poter incontrare un legale. La loro identità non viene divulgata perché l'intento della polizia è arrivare a sgominare l'intero network di complicità che ha consentito, giovedì scorso, di rapire Abu Khdeir mentre andava alla moschea di Shuafat, dopo aver tentato di sequestrare un altro bambino il giorno precedente. Uno degli arrestati - secondo quanto rivelano fonti del quotidiano on line Ynet - avrebbe confessato di aver partecipato all'omicidio e accusato i propri compagni.
   «Gli autori di questo crimine orrendo devono essere condannati con i termini più duri - ha commentato il premier Benjamin Netanyahu - e subiranno il potente impatto della legge perché nella società israeliana non c'è spazio per gli assassini, ebrei o arabi». Poche ore prime era stato il presidente di Israele, Shimon Pers, a dire da Sderot: «Non c'è differenza fra sangue e sangue, un killer è un killer e sarà punito con la forza della legge perché siamo uno Stato di diritto».
   Gli apparati di sicurezza si preparano ad una stretta contro gli estremisti che giovedì scorso, all'indomani della sepoltura a Modiin delle salme dei tre ragazzi ebrei rapiti in Cisgiordania, avevano manifestato a Gerusalemme simulando una «caccia all'arabo». «L'assassinio di Abu Khdeir è stato un atto malato - afferma Yithak Aharonovitch, ministro della Pubblica sicurezza - e non ci fermeremo finché tutti i responsabili non avranno pagato davanti alla legge». Alla vigilia degli arresti era stato il capo del Mossad, Tamir Pardo, a far sapere dalle colonne di «Haaretz» la propria opinione sui disordini a Gerusalemme Est seguiti all'uccisione di Abu Khdeir: «II problema palestinese è una minaccia esistenziale per Israele più seria del nucleare dell'Iran». Saranno le prossime ore a dire se le proteste di palestinesi e arabo-israeliani si placheranno dopo gli arresti. La madre del ragazzo ucciso, Suha Abu Khdeir, non mostre fiducia nella giustizia israeliana: «Faranno loro qualche domanda e poi li manderanno a casa, dovrebbero distruggere le case come fanno con i nostri». La rabbia della famiglia Khdeir si deve anche a quanto avvenuto a Tariq, 15enne cugino della vittima, picchiato con forza dagli agenti durante i disordini a Shuafat sollevando una richiesta di «chiarimenti» da Washington, in ragione del fatto che è cittadino americano. Il presidente dell'Anp, Abu Mazen, ha chiamato il Segretario generale dell'Onu Ban Ki moon chiedendo «un'inchiesta sui crimini commessi da Israele». La replica di Netanyahu è stata immediata: «Noi processiamo i killer, i palestinesi ne esaltano le gesta nelle scuole».
   Intanto a Hebron, l'esercito ha arrestato Hassam Dopash considerato un fiancheggiatore dei sequestratori dei tre ragazzi uccisi. Le indagini su rapimenti e delitti spingono Netanyahu a dare tempo ai mediatori egiziani affinché negozino una tregua con Hamas a Gaza: «Serve contenimento davanti agli attacchi».

(La Stampa, 7 luglio 2014)


Questo omicidio di vendetta contro un ragazzo palestinese innocente potrebbe essere l’elemento relativamente nuovo nella recente storia di Israele. Altri elementi però non sono nuovi. Non è nuovo il tipo di reazione di condanna del governo israeliano; non è nuovo il rapido sfruttamento delle autorità palestinesi, e l’ancor più rapido riallineamento dell’opinione pubblica alla consueta, per molti addirittura “doverosa”, riprovazione non dell’atto commesso in Israele, ma proprio del popolo e dello Stato di Israele. Non si sottolinea il fatto che si tratta di una reazione, sia pure indegna, a un fatto indegnissimo, ma anzi si direbbe che il gioco delle motivazioni sia invertito: non è che il palestinese Mohammad sia stato ucciso perché tre giovani israeliani sono stati prima immotivatamente uccisi, ma, al contrario, è l’omicidio di Mohammad che mette in luce chi è veramente Israele: il “carnefice a prescindere” dei palestinesi. E questo spiega il motivo per cui degli arabi palestinesi sono stati spinti ad ammazzare tre giovani ebrei. Quindi la colpa principale non è loro: la colpa originaria è di Israele, che continua la sua illegale occupazione. Occupazione della Palestina? No, occupazione di un posto in cui esistere su questa terra. La colpa di esistere: questo è da sempre il peccato originale del popolo ebraico e, negli ultimi decenni, dello Stato d’Israele. “Israele, per favore, te lo chiediamo con le buone maniere: sparisci! E tutto si risolverà”. Questo è l’educato appello della comunità internazionale “moderata” che dà voce alle Nazioni Unite, a cui speranzoso si rivolge Abu Mazen per avere “giustizia” contro il perfido Israele. M.C

alex

Israele - Sessantamila download dell'app Sos dopo il rapimento dei tre ragazzi

L'applicazione per smartphone, messa a punto da un'organizzazione no profit, permette di localizzare con il Gps chi lancia l'allarme.

di Angela Geraci

«Mi hanno rapito...»: sono le ultime parole registrate di Gilad Shaar, sequestrato poco prima insieme a Naftali Frenkel ed Eyal Yifrach vicino a Hebron, in Cisgiordania. Erano le 22.15 del 12 giugno e il 16enne israeliano, che sarebbe stato ucciso poco dopo con gli altri due ragazzi, aveva chiamato la polizia per chiedere aiuto. Quella telefonata confusa, in cui in sottofondo si sentono poi dei suoni che sembrano colpi di arma da fuoco, è stata però sottovalutata dagli agenti. In un primo momento si era addirittura pensato anche che potesse essere uno scherzo telefonico (lo ha scritto The Times of Israel). Il centralino della polizia aveva in seguito provato a richiamare il numero ma ormai il telefono era irraggiungibile. Adesso - 18 giorni dopo quella telefonata, dopo ore e ore di ricerche e raid nei territori palestinesi prima di trovare i corpi dei giovani - alcuni ufficiali sono stati sollevati dai loro incarichi e i tre ragazzi sepolti durante una cerimonia a cui hanno preso parte decine di migliaia di persone da tutta Israele. Il clima diventa sempre più incandescente (alcuni ebrei ultra ortodossi hanno ucciso un 17enne palestinese per rappresaglia) e fra gli israeliani la paura dei rapimenti è palpabile. Ma perché non capiti più che una telefonata di emergenza alle forze dell'ordine sia vana, come quella di Gilad, già 60 mila israeliani hanno scaricato la Sos app, un'applicazione che con il solo tocco di un dito permette di lanciare un allarme e di essere localizzati.

- Localizzazione con il Gps
L'app «salvavita», come spiega il Jerusalem Post, è stata ideata da un'organizzazione no profit di volontari, la United Hatzalah (UH). Il fondatore e presidente Eli Beer ha invitato tutti i genitori a scaricarla per la sicurezza dei loro figli. Perché se ci si trova in situazioni di pericolo basta far scorrere il dito sullo schermo per attivare un interruttore e lanciare l'allarme. Il centralino dell'UH, attivo 24 ore su 24, viene avvisato dell'emergenza e le forze di sicurezza hanno subito il permesso di rintracciare la posizione di chi è in difficoltà usando il Gps. Finora, invece, per poter tracciare il segnale di un cellulare la polizia doveva seguire un lungo iter legale: tempo perso preziosissimo in caso di rapimento. Quando Gilat ha telefonato al centralino, invece, gli agenti non solo non potevano essere in grado di localizzare la chiamata ma non erano neppure certi che non si trattasse di uno scherzo telefonico.

- Avvertiti anche famiglia e amici
Gli utenti dell'app, nel contratto di sottoscrizione, accettano anche che il sistema registri la chiamata. Questo serve per monitorare la situazione, dalla prima segnalazione fino all'intervento. La registrazione, spiega l'azienda che ha sviluppato l'applicazione, garantisce anche che non si faccia abuso di questo servizio gratuito d'emergenza. Tra l'altro, il servizio offerto dall'app comprende anche la chiamata a familiari o amici i cui numeri di telefono sono indicati dall'utente. «La nostra finestra temporale di intervento nelle emergenze - dice al Jerusalem Post Eli Beer - è di due minuti: spero che centinaia di migliaia di bambini israeliani abbiano la nostra app sul loro smartphone prima dell'inizio dell'anno scolastico, il 1o settembre».

(Corriere della Sera, 2 luglio 2014)

alex

Scrivi di provare pietà per Naftali, Gilad e Eyal e verrai sommerso dagli insulti. Un eccesso di violenza polemica ottenebra qualsiasi ragione. Israele viene descritta come una congrega di fanatici assetati di sangue.

di Pierluigi Battista

Scrivi su Twitter che Naftali, Gilad ed Eyal, i tre ragazzi ebrei rapiti e trucidati in terra palestinese, dobbiamo sentirli come i «nostri» ragazzi, soffrire con loro e con le loro famiglie, averne pietà, detestare i terroristi che li hanno martirizzati, scrivi soltanto questo e verrai sommerso da un diluvio di insulti e contumelie. II più benevolo tratta quei ragazzini di 16 anni come i numeri di un'equivalenza: non un briciolo di pietà che non contempli, simultaneamente, l'orrore per le gesta di padri descritti come orchi con le mani sporche di sangue. Il più accecato e inselvatichito dal fanatismo antisionista equipara tout court quei tre ragazzi agli aguzzini che non meritano compassione. E senti ancora una volta che una dismisura mostruosa colpisce gli ebrei, il sionismo, l'immagine di Israele. Come se un eccesso di violenza polemica ottenebrasse qualunque ragione, e anche qualunque sentimento semplicemente umano.
   La politica non c'entra. II giudizio politico si interroga sul perché i terroristi hanno voluto colpire in modo così infame tre adolescenti che amavano studiare i testi religiosi e cantare nelle feste che rinsaldano la coesione della comunità. II giudizio politico può anche criticare i vertici dello Stato di Israele se non sono capaci di fare una pace stabile con i palestinesi. Il giudizio politico spera che la reazione israeliana non porti altri lutti di innocenti. Il giudizio politico sa che la guerra è sempre una cosa atroce. Ma l'odio forsennato per Israele che non riesce a scolorirsi nemmeno di fronte allo spettacolo di tre ragazzi intenzionalmente annientati solo perché bollati con l'etichetta per gli assassini così repellente di «sionisti» eccede ogni giudizio politico. E' fanatismo duro. E' la disponibilità ad accogliere ancora la leggenda nera degli «ebrei» condannati a un destino cruento che non considera sfumature, giudizi equilibrati. Come se Israele e il sionismo fossero l'ultima materializzazione del Male assoluto per contrastare il quale non si deve escludere nessun mezzo, anche iI più ripugnante. Anche il Terrore. Non la guerra, che colpisce indiscriminatamente. Ma il Terrore che colpisce uno ad uno le sue vittime, tre ragazzi che non stavano facendo nulla di male se non, semplicemente, esistere in una delle terre più incandescenti dell'universo.
   Il mondo è pieno di tiranni sanguinari, ma nessuno attira una quantità smisurata di odio come Israele, che peraltro non è una tirannia ma una democrazia, eppure viene descritta, senza alcun rispetto per la verità storica, come una congrega di carnefici assetati di sangue palestinese. Quando sono stati rapiti i tre ragazzi (raffigurati come usurpatori violenti di una terra altrui, senza alcuna mediazione), a Roma pattuglie di imbrattatori si sono adoperati per coprire pubblicità israeliane con scritte che deploravano l'essenza «nazista» di Israele. Gruppi di fanatici europei (gli italiani in prima fila in questa classifica della vergogna) partecipavano alla danza macabra che consisteva nel far compiere ai bambini palestinesi gesti con le tre dita che inneggiavano al rapimento dei tre ragazzi, quasi coetanei ma «luridi sionisti»: un sabba di odio e di ignoranza che non è nemmeno giustificato dalla vita degli oppressi, perché è il frutto di uno schematismo ideologico folle e disumano nato qui, non nato nelle terre martoriate. Manipoli di oliatori che non dicono una sola parola sull'oppressione mostruosa che fa sprofondare nella dittatura molti Stati geograficamente contigui ad Israele ma nemici acerrimi del «sionismo» e da sempre nemici di una soluzione politica pacifica per gli israeliani e i palestinesi che contempli la convivenza di due Stati per due popoli.
   Jorge Semprun la chiamava «emiplegia ideologica»: un modo di vedere doppio che nasconde una parte della realtà per deformarne un'altra. Sono gli odiatori che non vogliono dire una parola di pietà per Naftali, Gilad ed EyaL. Che aggredivano anni fa le manifestazioni per chiedere la liberazione di un altro giovane israeliano, Gilad Shalit, tenuto in ostaggio da Hamas, e scambiato con un numero elevatissimo di prigionieri palestinesi. Un odio illimitato, aperto, dichiarato, rivendicato. Senza che faccia scandalo, nell'Occidente che piange per La vita è bella o per Schindler's List, l'orrore di ragazzi ebrei, uccisi perché ebrei, in nome dell'«antisionismo».

(Corriere della Sera, 2 luglio 2014)

alex

Checkpoint rimossi, terroristi liberati, muro sospeso. I tre studenti uccisi e il dilemma dello stato ebraico

di Giulio Meotti

ROMA - I servizi israeliani temono che i due terroristi palestinesi che hanno ucciso Gilad Shaer, Naftali Frenkel e Eyal Yifrach siano già a Gaza. Dopo aver abbandonato i cadaveri dei tre in un campo a Hebron, i terroristi avrebbero preso la via del sud. Per dodici anni quella strada era stata interrotta dal checkpoint di Harayiq. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu lo aveva rimosso un anno fa, per facilitare il movimento dei palestinesi che vivono nei villaggi di Dura, Sammou', Thahiriyeh e Yatta. Ma così facendo, Israele ha facilitato la fuga dei terroristi.
   E' il tragico dilemma dello stato ebraico. I gesti di "buona volontà" verso gli arabi incrementano il terrorismo. Netanyahu si è vantato di essere "il primo ministro che ha rimosso quattrocento checkpoint". Si ritiene che anche la sospensione, un anno fa, della costruzione del "muro" nella zona del sequestro nel Gush Etzion abbia favorito l'attacco. Se ci fosse stata la barriera, mai realizzata per le proteste umanitarie e palestinesi, gli attentatori non avrebbero potuto entrare e uscire così facilmente dal territorio israeliano. Israele ha migliorato le condizioni ai checkpoint e ne ha rimossi tanti, ma i terroristi ne hanno deliberatamente approfittato. Quando rimangono bloccati ai posti di blocco, i terroristi usano i cellulari. Così i servizi israeliani riescono a individuare la cellula. Senza i checkpoint, l'intelligence verrebbe a conoscenza di un attacco mentre è già in corso. Come durante la Seconda Intifada. Nel gennaio del 2010 anche l'uccisione dell'israeliano Meir Chai avvenne subito dopo la rimozione di un checkpoint come "confidence-building measure".
   L'assassinio dei tre studenti israeliani getta luce su un altro doloroso paradosso: il rilascio di terroristi. Israele ha appena arrestato di nuovo un quinto dei palestinesi liberati nel 2011 in cambio di Gilad Shalit e rientrati nelle loro case in Cisgiordania. Un mese fa, la notte di Seder, la Pasqua ebraica, terroristi uccisero l'israeliano Baruch Mizrahi, sempre a Hebron. Nei giorni scorsi Israele ha arrestato il suo assassino, Ziad Awad, rilasciato in cambio del caporale Shalit. Come ha spiegato l'editorialista Ben-Dror Yemini sul giornale Yedioth Ahronoth, 123 israeliani sono stati uccisi da terroristi rilasciati in scambi precedenti. Non coltivavano sogni di pace, ma di assassinio di ebrei. Tragica è questa perpetua scelta di Israele, perché promette a chiunque voglia intraprendere rapimenti di israeliani che essi saranno fruttuosi, che coaguleranno la umma islamica e che si può uccidere il rapito perché comunque si ottiene in cambio ciò che si desidera. 55 terroristi scarcerati in cambio di Shalit sono tornati in carcere, accusati di aver fornito assistenza all'uccisione di Shaer, Frenkel e Yifrach. Così, il premier Netanyahu, che nel 1997 in un libro aveva giurato che non avrebbe mai liberato terroristi, passerà alla storia come quello che ne ha scarcerati di più.
   Dal 2005, Israele è andato ritirandosi da zone strategiche per la sicurezza in nome del "disimpegno". La sicurezza è stata appaltata all'Autorità nazionale palestinese e gli assassini degli studenti sono partiti da un'area sotto controllo palestinese per tornare in un'area sotto controllo palestinese. E l'esercito israeliano deve adesso condurre pericolosi e infruttuosi raid notturni. Dal 1999, l'intelligence israeliana non può più usare gli "interrogatori duri", banditi dalla Corte suprema ma necessari per ottenere informazioni e salvare vite umane. A Israele l'interrogatorio non serve per incriminare un terrorista, ma per distruggere la cellula. Gli interrogatori dello Shin Bet funzionavano a tal punto che si dice che persino l'ex capo militare di Hamas, il feroce Saleh Shehada (in seguito ucciso da un missile), alla fine collaborasse mansueto durante gli interrogatori. Ecco il dramma dello stato ebraico: la grandezza d'Israele, la sua moralità, legalità e umanità, è un letto caldo per terroristi seriali e assassini di bambini e studenti.

(Il Foglio, 2 luglio 2014)

alex

Il vicepresidente della Comunità Ebraica di Torino, Emanuel Segre Amar, ci ha fatto pervenire il testo di quello che ha detto ieri sera in sinagoga. Lo ringraziamo e volentieri pubblichiamo le sue parole.

Negli ultimi giorni, quando non arrivavano quei segnali ai quali chi governa in Israele è purtroppo abituato, la speranza di un futuro rilascio, magari anche doloroso come altri, aveva iniziato a lasciare spazio al timore di questa tragica fine. Così è stato, infatti.
Itamar, Tolosa, Bruxelles e il Kibbutz Kfar Etzion non sono che alcune tragiche tappe di una serie lunghissima che sembra non avere fine. Anzi, serie alla quale, quanto avviene in Israele e in Europa, non può far prevedere una fine prossima. Dobbiamo essere coscienti che queste belve umane, perché, nei casi prima citati non trovo parole diverse, non sono nemmeno i primi colpevoli. I primi colpevoli sono quei dirigenti palestinesi che inculcano nei loro bambini, fin dalla primissima infanzia, l'odio verso gli ebrei. Sì, verso gli ebrei, non verso gli israeliani, perché così sta scritto in un certo senso. Il risultato è che è venuta su questa generazione di giovani che di umano ha solo le sembianze. Pensavo ieri a quel you tube che gira da alcuni giorni nel quale si vedono due ragazzini arabi, colpevoli di chissà che cosa, inginocchiati, con gli occhi bendati, che ascoltano il loro carnefice, in piedi dietro di loro, che legge le parole "del loro rito", rito? prima della carneficina pronta a scatenarsi. Uno di questi ragazzini cerca il compagno, vicino a lui, con la sua mano destra in un estremo bisogno di contatto umano, cosciente di cosa gli capiterà dopo pochi secondi. Non sappiamo come hanno ammazzato i tre giovani studenti, nostri fratelli, ma sappiamo che così si comportano queste belve dalle fattezze umane. Siamo qui in una sinagoga, e forse non è sbagliato ricordare alcuni versetti come in Devarim [Deuteronomio] 7, 1-2 "Il Signore caccerà molte nazioni di fronte a te. Quando il Signore il tuo Dio le metterà a tua disposizione e le sconfiggerai, devi distruggerle completamente, non fare alcun trattato con loro o dar loro alcuna considerazione". Noi dobbiamo capire bene chi abbiamo di fronte, ma quando si dichiarano pronti a trattare con noi, se parlano in una lingua, e poi, in arabo, tranquillizzano la loro popolazione dicendo l'esatto contrario, allora credo che non possiamo concedere nulla. Solo con la purtroppo necessaria fermezza possiamo sperare di arrivare a quella pace che oggi chi tra gli arabi davvero la desidera, sapendo chi siamo noi ebrei, come Mohammad Zoabi, il coraggioso nipote della deputata della Knesset Hanin Zoabi, deve poi vivere protetto in attesa di una fine tragica che, forse, lo aspetta. La stessa fine che è toccata a Elad e Gilad, assassinati a soli 16 anni, ed a Eyal, che di anni ne aveva 19. Tre giovani che il mondo ha chiamato "coloni", come se fossero israeliani indegni del diritto alla vita, indicandoli al pubblico ludibrio, quasi a giustificare il loro rapimento, e, tragicamente, la loro esecuzione. Ma si trattava di tre giovani LICEALI innocenti che stavano tornando a casa loro, e per di più solo uno di loro viveva in uno yishuv, Talmon, che si trova da 35 anni oltre quella linea di cessate il fuoco del 1949, divenuta ormai "sacra" - e lo dico con sarcasmo - per coloro che operano de facto per la sparizione d'Israele, sebbene si riempiano la bocca di parole altisonanti come "pace"; una linea che i mistificatori chiamano "confini del 1967", mentre non sono MAI stati dei confini; una linea che Abba Eban chiamò "I confini di Auschwitz".

(Notizie su Israele, 2 luglio 2014)

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