Probabilmente il verbo “credere” è uno dei più fraintesi nel suo significato, a tal punto che oggi, quando dichiariamo di essere “credenti”, siamo costretti a spiegare bene che cosa intendiamo dire e quale è la realtà che la nostra vita vive nella sua relazione personale con il Signore. Sgombrare il campo da ogni equivoco, e farlo guidati ed illuminati dalla Parola di Dio, è quanto mai necessario non solo per la nostra testimonianza, ma anche per il nostro cammino personale con il Signore.
Credere: un significato frainteso
A un sondaggio Censis del 2002, il 65% degli italiani ha detto di credere in Gesù. Se fosse vero non ci sarebbe un disperato bisogno di evangelizzare, la via non sarebbe così stretta e quelli che la trovano non sarebbero così pochi. Il problema è che appunto il mondo non sa cosa significhi veramente credere in Cristo e molti pensano di credere, perché fraintendono il significato di credere.
Mi sono chiesto allora cosa vuol dire avere fede secondo la Scrittura; mi rendo conto che l’argomento non è certo originale, molti di voi si annoieranno a sentirne parlare per l’ennesima volta. Ma l’argomento è cruciale, basti pensare che il vangelo di Giovanni è stato dichiaratamente scritto perché “crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome” (Gv 20:31).
Basta leggere alcuni versetti che conosciamo a memoria, come Giovanni 1:13; 3:16 e 7:38-39 e Galati 3:26 per sapere che credere in Cristo è sufficiente:
• per essere salvati,
• per ricevere lo Spirito Santo,
• per diventare figli di Dio,
• per avere la vita;
credere in Cristo è sufficiente in altre parole:
• per nascere di nuovo,
• per partecipare della natura divina,
• per avere comunione con il Padre e con il Figlio.
Nello straordinario piano della redenzione, l’unica cosa richiesta all’uomo è avere fede.
In Giacomo 2:14-26 però leggiamo due affermazioni che sembrano contraddire il resto del Nuovo Testamento:
1. anche i demoni credono e tremano (Gm 2:19).
2. l’uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto (Gm 2:24). Abraamo e Raab furono giustificati per le opere.
Questi versetti potrebbero farci pensare che credere non sia sufficiente. Ma questa è una conclusione errata nata appunto dal fraintendimento del significato della espressione credere in lui o avere fede in lui, che è la stessa cosa visto che le parole greche usate hanno la stessa radice.
Tutto quello che non basta... per credere!
Innanzitutto vediamo cosa credere non vuol dire:
1. Non basta sapere che esiste un solo Dio e non basta avere rispetto e timore di questo Dio, perché anche i demoni credono e tremano (Gm 2:19)
2. Non basta sapere che 2000 anni fa ha vissuto in Palestina un uomo di nome Gesù, che ha detto cose straordinarie e ha dato il via a un movimento religioso che nel corso dei secoli si è imposto in tutto il mondo.
Tanti suoi contemporanei che lo hanno visto e hanno visto le sue opere non credevano in Lui: “Voi mi avete visto, eppure non credete!” (Gv 6:36); persino i fratelli di Gesù, che hanno vissuto con Lui, non credevano in Lui (Gv 7:5).
3. Non basta conoscere il piano di salvezza che egli ha attuato, conoscere il valore del Sacrificio della croce, sapere che il suo sangue è stato versato per i nostri peccati. Lo spirito di divinazione che possiede l’indovina di Atti 16:17 sa che Gesù è la via della salvezza
4. Non è sufficiente sapere che Gesù è il Figlio di Dio, che Gesù è il Cristo perchè anche i demoni lo sanno; in Luca 4:41 leggiamo che “anche i demòni uscivano da molti, gridando e dicendo: «Tu sei il Figlio di Dio!» Ma egli li sgridava e non permetteva loro di parlare, perché sapevano che egli era il Cristo.”
5. Non basta conoscere la Bibbia né riconoscerla come Parola di Dio; Satana conosce la Scrittura e l’ha usata per tentare Gesù nel deserto. Satana non è ateo e probabilmente farebbe una bellissima figura in un congresso di teologia, perché sa tante cose su Dio e sulla sua Parola, ma non è certo un figlio di Dio
6. Non basta credere alle profezie cioè credere che quello che egli ha detto si avvererà: lo spirito immondo di Marco 1:23-24 sa che Cristo manderà in perdizione i demoni.
7. Non basta professare di credere in lui, frequentare o servire in una chiesa, pregare, spezzare il pane, leggere la Bibbia, addirittura insegnarla; non basta invocare il suo nome e fare opere potenti nel suo nome (Mt 7:21-22)
Credere CHE e credere IN: due espressioni assai diverse...
Credere comprende sicuramente tutte quello che abbiamo detto sinora, ma ha un significato molto più profondo; per capirlo dobbiamo considerare che la parola greca pistis significa sia fede che fiducia che fedeltà.
Inoltre dobbiamo notare che in versetti cardine come Giovanni 3:16 o 6:47 la parola credere o la parola fede sono seguiti dalla preposizione “in”; credere in è la traduzione dal greco di espressioni che in italiano si possono tradurre con:
• “presto fede in qualcuno”,
• “confido in qualcuno”,
• “mi fido di qualcuno”.
Il “credere in” di, ad esempio, Gv 6:47 è dunque cosa ben diversa dal “credere che” di Giacomo 2:19. Il verbo greco e la sua traduzione italiana “credere” sono le stesse nei due versetti ma la diversa costruzione verbale ci aiuta a capire che si tratta di due diversi modi di credere: i demoni di Giacomo 2:19 credono che ci sia un solo Dio, i discepoli in Giovanni 3:16 sono invitati a credere in lui nel senso di confidare in lui.
Il “credere che” può limitarsi a un puro riconoscimento di un dato di fatto, alla mera constatazione dell’esistenza, delle capacità, persino della sovranità di qualcuno, come è nel caso dei demoni, che sanno chi è Gesù, sanno che il Salvatore, sanno che li manderà in perdizione.
Il “credere in” è cosa ben diversa, perché comporta l’affidarsi a questo qualcuno, il fidarsi di quello che dice, il pensare che lui vuole il nostro bene, che, se lui ci dice di fare qualcosa, quel qualcosa è la cosa giusta da fare. La fede che ci è richiesta non è dunque solo accettare come verità certi dati, e cioè che Gesù è Dio, è stato crocifisso per salvarci, tornerà a giudicare l’umanità… ma implica avere fiducia nell’oggetto della nostra fede, Gesù appunto, e essere fedeli a questo Gesù. Fede coincide con fiducia e con fedeltà, come abbiamo detto prima.
Un esempio pratico
Un esempio ci può aiutare a capire la differenza tra il credere che dei demoni e il credere in che è richiesto all’uomo: immaginate di tenere tutti i risparmi di una vita in una banca il cui direttore si chiama Mario.
Essendo clienti da tanto tempo, avete avuto l’occasione più volte di parlare con Mario e lui vi ha raccontato che ha una moglie e due figli, che ha vissuto dieci anni a Roma prima di trasferirsi in Emilia, che ha studiato economia e commercio in una prestigiosa università; non penso che abbiate difficoltà a credere tutto ciò. Mario vi racconta anche che ha fatto tanti studi di alta finanza, è molto apprezzato dai colleghi ed è un mago degli investimenti: l’anno scorso è riuscito a far guadagnare a un cliente il 30% in un anno.
Mario è molto convincente, sembra sincero e allora voi credete a tutto questo e lo raccontate anche ad altri clienti che a loro volta ci credono.
Mario sa anche che avete bisogno di una casa più grande e che i vostri risparmi non vi bastano e allora vi dice:
“Ho trovato un modo ingegnoso per far fruttare i tuoi risparmi, è un po’ complicato da spiegare, ma non preoccuparti, penso a tutto io, tu firmami la piena delega in modo che io possa disporre liberamente di tutti i tuoi soldi e io li utilizzerò nel modo più conveniente per te: tu, fidati di me. Nel giro di qualche anno vedrai che farò raddoppiare i tuoi risparmi”.
Magari voi obiettate:
“Io avevo pensato di fare diversamente, vorrei investire in titoli di Stato, al massimo potrò affidarti il 10-20% dei miei risparmi ma non posso rischiare tutto...”.
Lui ribatte di fidarvi, che è meglio fare come dice lui, dargli tutto il 100% altrimenti non riesce a fare quello che aveva in mente.
Come vi comportate davanti a una richiesta di fiducia totale? C’è o no differenza tra credere che Mario sia un bravo direttore di banca esperto in investimenti finanziari e credere in lui al punto di affidargli tutti i nostri risparmi alla cieca?
Se veramente crediamo in Mario, se veramente abbiamo fiducia in lui, gli apriremo il nostro portafoglio, faremo quello che lui ci ha detto di fare e cioè affidargli tutti i nostri soldi; se non facciamo così, stiamo dimostrando coi fatti che non ci fidiamo veramente di lui.
Allo stesso modo, se veramente crediamo in Gesù, gli apriremo il nostro cuore, faremo quello che egli ci ha detto di fare e cioè affidargli tutta la nostra vita, tutto noi stessi. Se non facciamo così, stiamo dimostrando coi fatti che non ci fidiamo veramente di lui.
Mostrare di fidarsi veramente!
Se io ho fiducia in qualcuno, infatti, ascolterò questo qualcuno, crederò a quello che lui dice e a quello che lui dice di sé e se questo qualcuno mi suggerisce di fare una certa cosa, di comportarmi in una certa maniera, farò il possibile per fare quella cosa, per comportarmi in quella maniera; se non faccio così vuol dire che in realtà non mi fido veramente, non ho fiducia nelle sue capacità, nella sua saggezza o nella sua lealtà nei miei confronti.
Torniamo al caso del direttore di banca, perché non gli affido i miei soldi alla cieca? O perché non mi fido delle sue capacità e ho paura che butti via i miei soldi in investimenti sbagliati oppure perché non mi fido della sua lealtà e ho paura che rubi i miei soldi
Ma il Signore è infinitamente saggio, infinitamente potente, infinitamente giusto, non possiamo dubitare delle sue capacità e della sua fedeltà nei nostri confronti: perché non fidarsi di lui? Perché non fare quello che lui ci ha detto di fare?
La fede cresce con la conoscenza
La vera fede in Cristo dunque consiste non solo nell’ascoltare la sua Parola e nel credere a quello che lui dice, ma è soprattutto mettere in pratica la Sua Parola.
In Giacomo 1:22 leggiamo:
“Siate facitori della parola e non uditori soltanto, ingannando voi stessi”.
Se ci limitiamo ad ascoltare la Parola senza metterla in pratica, non stiamo ingannando Dio perché lui tanto vede i cuori, ma stiamo ingannando noi stessi perché ci illudiamo di credere e invece non crediamo veramente.
La vera fede in Cristo è fiducia e fedeltà perseverante (in Giovanni 3:16 e 6:47 il tempo è presente continuo) e incondizionata, vale a dire che non si lascia condizionare da circostanze esterne e risalta nelle prove.
Le parole di1 Pietro 1:6-7 ci dicono proprio che le prove servono per mostrare il valore della nostra fede affinché essa “torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo”.
È facile dire che abbiamo fede quando tutto va bene, è molto più difficile dimostrare questa fede quando le cose vanno male, quando il Signore permette delle prove proprio per dare a noi stessi la possibilità di verificare quanta fede abbiamo.
Dicevo prima che la parola greca pistis significa sia fede che fiducia che fedeltà: dobbiamo essere fedeli a lui indipendentemente dalle circostanze avverse, dobbiamo imparare a confidare in lui anche nei momenti più tristi e di sconforto, dobbiamo fidarci e seguire le sue vie anche se a noi sembrerebbe giusto fare diversamente
Credere è sperare contro speranza (Ro 4:18), avere fiducia in lui anche quando le circostanze dicono il contrario. E per far questo dobbiamo imparare a conoscerLo sempre più, perché più conosciamo Gesù, il suo amore, la sua potenza, la sua saggezza e più ci fidiamo di lui.
Ma è vero anche che solo chi ha fede può conoscerlo, perché il Signore apre gli occhi spirituali a chi si abbandona a lui, per cui si instaura un circolo virtuoso: più lo conosciamo, più aumenta la nostra fede...
Non esiste vera fede senza ravvedimento e obbedienza
La vera fede in Cristo non può prescindere, anzi potremmo dire che coincide con il ravvedimento e l’obbedienza.
Il ravvedimento è un punto centrale della predicazione dei profeti dell’Antico Testamento, di Giovanni Battista ma anche di Gesù e degli apostoli (basti leggere Mt 4:17; 9:13; Lu 13:3, At 20:21 e 26:18-20).
È interessante notare che le parole ravvedimento e conversione sono molto diffuse nella predicazione di Gesù e degli apostoli (e quindi nei Vangeli sinottici e negli Atti), mentre sono praticamente assenti negli scritti di Giovanni e di Paolo, probabilmente perché per Giovanni e Paolo il ravvedimento è implicito nella fede.
Il ravvedimento è diverso dal pentimento, che può essere solo rimpianto (per danni provocati a sé stesso) o rimorso (per danni provocati ad altri): Caino (Genesi 4) o Giuda (Mt 27:3) si sono pentiti per il male che hanno fatto ma non si sono ravveduti e soprattutto non si sono rivolti all’Unico che poteva cambiare le loro vite.
Il ravvedimento (in greco metanoia, letteralmente trasformazione della mente) è il cambiamento del nostro modo di pensare e di agire, in pratica dell’intero modo di vivere; è una completa inversione di rotta, come quella necessaria a una nave che sta andando contro gli scogli.deve pertanto essere concreto e visibile, Deve partire dalla nostra mente con la volontà di abbandonare la strada che stavamo percorrendo, deve proseguire con le nostre parole confessando le iniquità che abbiamo commesso, deve completarsi con i fatti evitando per quanto possibile di commettere ancora quelle iniquità (Zaccheo, Lu 18:1-10, è un bell’esempio di ravvedimento convinto e concreto in quanto il prendere coscienza dei suoi peccati lo ha portato a restituire il quadruplo del frodato).
E poiché, anche da credenti continuiamo a peccare il ravvedimento del vero credente non deve essere una tantum, all’inizio della conversione ma deve essere un esercizio quotidiano, come quotidiano è il nostro peccare e il nostro scoprire lati del nostro carattere e della nostra condotta che non onorano il Signore.
“Si ritragga dall’iniquità chiunque pronunzia il nome del Signore” (2 Ti 2:19): non si può avere vera fede senza orrore del peccato; non si può invocare il Signore e continuare a vivere alla maniera dell’uomo vecchio.
La vera fede è anche obbedienza. In alcuni passi Paolo usa la parola obbedienza come sinonimo di fede. Ad esempio in Romani 15:18 egli ricorda che Cristo ha operato in lui “per condurre i pagani all’obbedienza” e in Romani 1:5 scrive di aver “ricevuto la grazia dell’apostolato per ottenere l’obbedienza alla fede da parte di tutte le genti”.
Obbedienza significa accettare Gesù non solo come Salvatore ma anche come Signore della nostra vita, come padrone, come “despota” (Giuda 4); è accettare la sua autorità e la sua legittimità come sovrano assoluto e di conseguenza sottomettersi completamente a questa autorità; è accogliere continuamente, al 100%, senza condizioni l’invito di Gesù: “Tu, seguimi” (Gv 21:22).
La vera fede dunque si manifesta nella obbedienza, è una fede che opera.
Abramo è stato giustificato per fede perché ha creduto nelle promesse dell’Eterno e ha dimostrato questa fede, a sé stesso e al mondo, con le opere, ubbidendo. Da notare che, accanto ad Abramo, al padre della fede, a colui al quale furono rivolte le promesse, a colui del quale per fede diventiamo figli (Ro 4:11), a colui che è il prototipo del credente, il testo di Giacomo 2:14-26 pone Raab, una donna pagana, una prostituta, che non conosceva la legge, ma che aveva creduto in quel Dio che aveva salvato Israele; una donna che, soprattutto, aveva obbedito a quel Dio.
Se comprendiamo che fede e obbedienza sono necessariamente legate, possiamo capire che Giacomo non contraddice le altre Scritture affermando che l’uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto (Gm 2:24) in quanto le opere sono una logica conseguenza, una dimostrazione della fede (“io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”, Gm 2:18), o meglio sono il frutto della nuova vita che è stata impiantata in noi quando abbiamo deciso di sottometterci al Signore.
Fede e opere: è necessario comprendere bene quale è la causa e quale l’effetto!
Non esiste vera fede senza opere:
“A che giova, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo?” (Gm 2:14).
Una fede senza opere non salva, perché non è vera fede, è il “credere che” di chi accetta una verità non il “credere in” una persona. È interessante notare che Giacomo non dice: “Che giova, fratelli miei, se uno ha fede ma non ha opere?” bensì dice: “Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere fede ma non ha opere?”
La fede senza opere non esiste, non ha valore, è morta dice Giacomo per ben tre volte in pochi versetti
Al massimo possiamo pensare, possiamo ingannarci di avere fede e non avere opere, ma è impossibile avere fede e non avere opere perché la grazia che è stata riversata su di noi non può restare inoperosa, la vita di Cristo non può non produrre frutti; nella illustrazione della vite di Giovanni 15, esistono solo due tipi di tralci, quelli che non portano frutto che pertanto vengono recisi e quelli che portano frutto, che vengono potati affinché ne portino di più; non esiste un terzo tipo di tralci, che dimora in Cristo pur non portando frutto.
Le opere di cui parla Giacomo non sono dunque azioni che ci sforziamo di fare per cercare di riconciliarci con Dio, ma sono il frutto dell’ essere stati riconciliati con Dio, sono il prodotto della nuova nascita, sono la conseguenza del lasciarsi usare da Lui come strumenti a sua gloria.
Sono le opere dell’amore di Galati 5:6.
Un esempio pratico
Facciamo un altro esempio per capire meglio la stretta relazione tra fiducia in una persona e obbedienza alle prescrizioni di quella persona.
Immaginate che io abbia una grave malattia e vada da un medico, un luminare che ha scritto libri sull’argomento e tiene congressi in tutto il mondo. Questo medico mi dice:
“Sei malato ma io ho la cura, funziona al 100% e non c’è nessun rischio”.
Se io non faccio quella cura, posso dire di credere in quel medico?
Se credo in lui, se ho fiducia in lui e credo che quello che mi dice lo dica per il mio bene, farò quella cura se voglio guarire veramente.
Posso stare ad ascoltarlo per ore, posso leggere i libri che ha pubblicato, partecipare alle sue conferenze, farmi dettagliare le sue referenze dai colleghi o da altri pazienti, ma se non faccio quella cura vuol dire in definitiva che non mi fido di lui, che non credo che quello che mi stia dicendo è vero.
O ancora: se prendo quella medicina, ma non faccio anche il resto che mi viene richiesto, non mi “ravvedo” e non smetto di mangiare cibi grassi o di fumare o di bere troppi alcolici ..., posso dire di credere al medico?
Noi siamo malati, completamente malati, ma il Medico delle nostre anime ha la cura ed è quella di sottometterci a lui e di affidarci completamente a Lui per ogni cosa.
Il Medico ci ha dato anche “il foglietto illustrativo”, per spiegarci la cura e vedere se stiamo seguendo bene la cura o se invece stiamo facendo di testa nostra e questo foglietto è la Bibbia.
Se noi rifiutiamo di prendere la medicina o non leggiamo il foglietto illustrativo o lo leggiamo ma lo interpretiamo come vogliamo o addirittura lo ignoriamo e non facciamo come dice, possiamo veramente dire di credere nel Medico?
Il nostro Medico celeste ci dice che parte integrante, e al tempo stesso effetto della cura, sono rinunciare a noi stessi per far vivere lui al posto nostro, amare il nostro prossimo, portare i pesi gli uni degli altri, osservare i suoi comandamenti, essere uno per testimoniare di Cristo, diventare santi, essere suoi discepoli e andare a fare suoi discepoli ...
Se noi continuiamo a vivere nel peccato, in aperta disubbidienza a Dio,
se non desideriamo santificarci,
se non mettiamo i nostri doni, i nostri talenti, il nostro tempo a disposizione della sua chiesa per l’avanzamento del Regno,
se la sua parola, il suo spirito, la nostra coscienza ci dicono di fare una certa cosa e noi facciamo finta di niente,
se siamo insensibili verso il bisogno del nostro prossimo,
se non ci interessa se scandalizziamo il nostro fratello con un comportamento che a noi sembra lecito ma che a lui crea disagio e diciamo che il problema è la sua immaturità,
se addirittura accettiamo il fatto di non essere in buoni rapporti con un fratello pur frequentando la stessa assemblea... possiamo dire di credere veramente?
Conclusion
Riassumendo, avere fede in Cristo non vuol dire riconoscere come verità quello che c’è scritto nella Bibbia, perché anche Satana e i demoni fanno ciò.
Credere in Cristo vuol dire confidare in lui, affidarsi completamente a lui per ogni cosa, avere fiducia anche quando le circostanze sono avverse.
La fede, inoltre, coincide con il ravvedimento e l’obbedienza, avere fede vuol dire ascoltare e mettere in pratica la Parola, osservare tutte le cose che egli ci ha comandato (Mt 28:20), non la maggior parte delle cose, ma tutte le cose che Lui ci ha comandato.
La Scrittura ci dice anche che esiste una crescita della fede (2Co 10:15; 2Te 1:3), che ci sono diversi “livelli” di fede, che si può essere deboli nella fede (Romani 14:1) o avere tutta la fede in modo da spostare i monti (1 Co 13:2).
Le benedizioni spirituali di Dio sono tutte a nostra disposizione ma ci vengono riversate in misura della nostra fede; è come un oceano infinito da cui possiamo attingere e sta a noi decidere se farlo con una autocisterna o con un bicchiere.
Preghiamo che il Signore ci faccia passare dal bicchiere all’autocisterna:
“Signore, aumenta la nostra fede!” (Lu 7:6).
Massimo Medda
(Assemblea di Modena, via Di Vittorio)
Fonte: http://www.ilcristiano.it/
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