Mi sono chiesto spesse volte dove passi il confine tra la necessaria resistenza e l’altrettanto necessaria resa davanti al “destino”. Don Chisciotte è il simbolo della resistenza portata avanti fino al nonsenso, anzi alla follia – come Michael Kohlhaas, che diventa colpevole rivendicando il proprio diritto… Per l’uno e per l’altro la resistenza alla fine perde il suo significato reale e si dissolve in una sfera teorico-fantastica; Sancho Panza è il rappresentante di quanti si adattano, paghi e con furbizia, a ciò che è dato. Credo che dobbiamo effettivamente por mano a cose grandi e particolari, e fare però contemporaneamente ciò che è ovvio e necessario in generale; dobbiamo affrontare decisamente il “destino” – trovo rilevante che questo concetto sia neutro [nella lingua tedesca] – e sottometterci ad esso al momento opportuno. Possiamo parlare di “guida” solo al di là di questo duplice processo; Dio non ci incontra solo nel “tu”, ma si “maschera” anche nell’“esso”, ed il mio problema in sostanza è come in questo “esso” (“destino”) possiamo trovare il “tu” o, in altre parole, come dal “destino” nasca effettivamente la “guida”. I limiti tra resistenza e resa non si possono determinare dunque sul piano dei princìpi; l’una e l’altra devono essere presenti e assunte con decisione.
La fede esige questo agire mobile e vivo. Solo così possiamo affrontare e rendere feconda la situazione che di volta in volta ci si presenta. Forse qui emergono le differenze tra un’esistenza teologica e un’esistenza giuridica? Penso in proposito alla radicale contrapposizione tra Klaus e Rüdiger all’interno di un atteggiamento giuridico-“legale”… e dall’altra parte il nostro atteggiamento teologico, più mobile e vivo, perché alla fine più commisurato alla realtà.
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