Spesso accade che dei figli o delle figlie di Dio rimangano inoperosi nel loro cammino all'interno della chiesa locale perché si ritengono incapaci e perché, soprattutto, non conoscono le risorse che Dio ha messo a loro disposizione per renderli capaci di servire lui e di servire gli altri. Nella Bibbia troviamo tre personaggi che si erano definiti incapaci, ma che, lasciandosi guidare dal Signore, espressero risorse impensabili.

Introduzione

 

Vi è mai capitato di trovarvi in una situazione in cui la vostra prima reazione sia stata: “No, non fa per me... Io non sono capace”?

Credo che, prima o poi, possa capitare a tutti di trovarsi in una situazione simile. A volte potrebbero esserci ragioni oggettive per avere un atteggiamento rinunciatario. Ad esempio, se qualcuno mi dicesse che domani mattina io sarò in grado di correre i cento metri in dieci secondi netti, nonostante la mia mancanza di allenamento, la mia età e il mio fisico non proprio adatto, credo che sarebbe difficile darmi torto se affermassi:“No, lasciamo perdere! Io non sono capace!”.

 

A volte, però, ho incontrato persone che si bloccano anche di fronte a cose che, oggettivamente, sarebbero alla loro portata.

C’è chi rinuncia perché è convinto di non essere adatto o perché crede che altri potrebbero riuscire meglio. Altri rinunciano perché preferiscono il loro stato attuale ad una sfida nuova che appare incerta.

Questo atteggiamento può accompagnare anche il credente quando si trova davanti alla possibilità di servire Dio in un ambito specifico. Non sempre infatti Dio ci chiama a servirlo nel modo che noi pensiamo essere il più adatto alle nostre caratteristiche e a volte potremmo essere titubanti di fronte a ciò che ci mette davanti.

Anche leggendo la Bibbia, scopriamo che ci sono diversi esempi di persone che Dio ha chiamato a fare qualcosa che essi non reputavano alla loro portata.

Dalla loro storia abbiamo molto da imparare.

 

 

Sono troppo giovane

 

“La parola del SIGNORE mi fu rivolta in questi termini: «Prima che io ti avessi formato nel grembo di tua madre, io ti ho conosciuto; prima che tu uscissi dal suo grembo, io ti ho consacrato e ti ho costituito profeta delle nazioni». Io risposi: «Ahimè, Signore, DIO, io non so parlare, perché non sono che un ragazzo». Ma il SIGNORE mi disse: «Non dire: ‘Sono un ragazzo’, perché tu andrai da tutti quelli ai quali ti manderò, e dirai tutto quello che io ti comanderò. Non li temere, perché io sono con te per liberarti», dice il SIGNORE. Poi il SIGNORE stese la mano e mi toccò la bocca; e il SIGNORE mi disse: «Ecco, io ho messo le mie parole nella tua bocca. Vedi, io ti stabilisco oggi sulle nazioni e sopra i regni, per sradicare, per demolire, per abbattere, per distruggere, per costruire e per piantare»” (Gr 1:4-10).

 

Considerando la lunghezza del suo ministero, Geremia doveva essere davvero poco più che adolescentequando Dio lo chiamò a servirlo. La sua reazione può quindi essere considerata legittima. Quanti di noi non si sarebbero spaventati di fronte ad un compito che appariva così arduo?

Ma il Signore rassicurò Geremia confermandogli che, nel suo meraviglioso piano, egli lo aveva stabilito per quel compito addirittura prima della sua nascita e, nonostante la sua giovane età, egli avrebbe avuto le parole adatte perché Dio stesso avrebbe messo le parole nella sua bocca. Egli non avrebbe dovuto temere i suoi avversari, che per altro sarebbero stati davvero numerosi negli anni successivi, perché Dio sarebbe stato con lui e lo avrebbe liberato.

Il compito che attendeva Geremia era davvero difficile perché nella corrotta società di Gerusalemme egli non avrebbe trovato molti alleati e avrebbe portato un messaggio che non sarebbe stato accettato dai suoi concittadini, un messaggio che prevedeva appunto lo sradicamento e la distruzione prima che si potesse costruire e piantare ancora dopo il ritorno dalla cattività in Babilonia.

 

Chiunque legga il libro di Geremia si rende conto che la vita del profeta è stata davvero difficile, al punto che egli arrivò addirittura a maledire il giorno della sua nascita (Gr 20:14). Fu tutt’altro che una passeggiata, tuttavia possiamo dire che Dio mantenne le sue promesse e diede a Geremia il coraggio, la giusta determinazione e le parole necessarie per svolgere il suo ministero; inoltre lo protesse costantemente da coloro che volevano togliergli la vita. Non fu risparmiata la sofferenza a Geremia ma in quella sofferenza il Signore fu sempre con lui.

Aveva ragione Geremia quando si considerava troppo giovane per quel compito? Non credo che possiamo biasimarlo. Probabilmente al suo posto molti di noi avrebbero avuto la medesima incertezza. Tuttavia, alla luce di come andarono le cose, possiamo dire che Geremia fu lo strumento giusto nelle mani del Signore e la sua giovane età non fu certamente un impedimento. Egli resistette più di quarant’anni e, leggendo l’omonimo libro, ci accorgiamo che affrontò diversi momenti di scoraggiamento profondo, ma con l’aiuto di Dio riuscì a portare avanti il compito che gli era stato affidato, nonostante la forte opposizione.

 

Vi invito anche a considerare un particolare che apprendiamo fin dalle prime righe del libro di Geremia. Egli infatti cominciò il suo ministero sotto il regno di Giosia (Gr 1:2), l’unico re di quel periodo che davvero temeva il Signore. Geremia fu chiamato nel tredicesimo anno del regno di Giosia e sappiamo che Giosia regnò trentuno anni (2Re 22:1), quindi Geremia, sebbene fosse molto giovane quando fu chiamato, esercitò il suo ministero per almeno diciotto anni in una condizione favorevole. Ebbe quindi tutto il tempo di crescere e prepararsi ad affrontare le prove più difficili sotto il regno di Eliachim e dei re successivi.

Dio fu quindi molto buono con il giovane Germia, guidando ogni circostanza nelle varie fasi della sua vita in modo che egli affrontasse le prove più difficili quando sarebbe stato abbastanza forte da poterle affrontare.

 

 

Sono troppo piccolo

 

“Poi venne l’angelo del SIGNORE e si sedette sotto il terebinto d’Ofra, che apparteneva a Ioas, abiezerita; e Gedeone, figlio di Ioas, trebbiava il grano con il torchio, per nasconderlo ai Madianiti. L’angelo del SIGNORE gli apparve e gli disse: «Il SIGNORE è con te, o uomo forte e valoroso!» Gedeone gli rispose: «Ahimé, mio signore, se il SIGNORE è con noi, perché ci è accaduto tutto questo? Dove sono tutte quelle sue meraviglie che i nostri padri ci hanno narrate dicendo: ‘Il SIGNO-RE non ci ha forse fatti uscire dall’Egitto?’ Ma ora il SIGNORE ci ha abbandonati e ci ha dati nelle mani di Madian»” (Gc 6:11-13)

 

La prima reazione di Gedeone al saluto dell’angelo del Signore fu quella di chi è pieno di dubbi per la situazione in cui si trova.

Gedeone conosceva la storia di Israele ed era affascinato dalle meraviglie che aveva sentito, ma la sua risposta tradisce una certa delusione verso Dio. Come mai il Signore, il Dio potente che ha liberato Israele dall’Egitto, sembrava non muovere un dito per cambiare la situazione difficile in cui ora essi si trovavano a causa dei Madianiti? Gedeone era convinto che il Signore avesse abbandonato il suo popolo.

Gedeone è un personaggio in cui molti di noi potrebbero rispecchiarsi. Come Gedeone siamo spesso piuttosto bravi a vedere i problemi, aspettandoci che Dio faccia qualcosa per risolverli. Ma, come accadde a Gedeone, non sempre la risposta di Dio incontra il nostro gradimento.

Infatti la risposta di Dio non fu quella che Gedeone si sarebbe atteso:

 

“Allora il SIGNORE si rivolse a lui e gli disse: «Va’ con questa tua forza e salva Israele dalla mano di Madian; non sono io che ti mando?»” (Gc 6:14).

 

Gedeone avrebbe voluto che Dio liberasse Israele dalla mano di Madian, ma non si sarebbe mai aspettato di essere lui lo strumento che Dio aveva scelto per farlo!

L’angelo del Signore si era rivolto fin dal principio a Gedeone con l’epiteto di uomo forte e valoroso.

Le parole dell’angelo del Signore “Va’ con questa tua forza...” dimostrano che Dio vedeva già chiaramente ciò che Gedeone non riusciva a vedere. Gedeone era davvero forte e valoroso e lo avrebbe presto dimostrato sul campo, ma non se ne rendeva ancora conto. Infatti, egli non si sentiva all’altezza del difficile compito:

 

“Egli rispose:«Ah, signore mio, con che salverò Israele? Ecco, la mia famiglia è la più povera di Manasse, e io sono il più piccolo nella casa di mio padre» ” (Gc 6:15).

 

La sua famiglia non era certo una delle più nobili ed all’interno della sua famiglia egli non pensava certo di essere l’individuo più rappresentativo.

Egli si sentiva povero e piccolo per quel compito. Chi lo avrebbe mai seguito?

 Notiamo che c’è una grande discordanza tra il modo in cui Dio vede Gedeone (forte e valoroso) e il modo in cui Gedeone vede sé stesso (povero e piccolo).

Non dobbiamo credere però che Dio si diverta a prendere degli individui inadatti per un compito quando ce ne sarebbero altri più adatti. Egli si compiace di prendere degli individui adatti che, però, potrebbero non sapere ancora di esserlo. In questo modo essi non avendo fiducia nelle proprie possibilità possono dipendere totalmente da lui.

Gedeone fu un personaggio piuttosto recalcitrante ad accettare l’incarico che Dio volle affidargli, infatti leggendo il prosieguo della storia vediamo che egli richiese in seguito ancora delle conferme a Dio per essere sicuro che Dio volesse salvare Israele proprio per mano sua (Gc 6:36-40).

Alla fine però Gedeone dovette arrendersi a fare ciò che Dio gli stava chiedendo.

Che Gedeone fosse davvero un uomo forte e valoroso, l’uomo giusto per quell’incarico, nonostante il suo atteggiamento rinunciatario, è evidente dal fatto che fu in grado di sconfiggere i Madianiti proprio come Dio aveva previsto.

Come nel caso di Geremia, Dio ha scelto bene.

Il successo di Gedeone, come il successo di qualunque altro uomo che Dio ha usato è dipeso da un ingrediente fondamentale. Dio lo rassicurò come fece con Geremia:

 

“Il SIGNORE gli disse: «Io sarò con te e tu sconfiggerai i Madianiti come se fossero un uomo solo»” (Gc 6:16).

 

“Io sarò con te”.

Quando Dio garantisce la sua presenza, non abbiamo nulla da temere.

 

 

Sono incapace di parlare

 

Mosè è stato uno dei più grandi uomini di Dio della storia. Dio si è servito di lui per fare cose che non sarebbero mai più state eguagliate da nessuno:

 

“Non c’è mai più stato in Israele un profeta simile a Mosè, con il quale il SIGNORE abbia trattato faccia a faccia. Nessuno è stato simile a lui in tutti quei segni e miracoli che Dio lo mandò a fare nel paese d’Egitto contro il faraone, contro tutti i suoi servi e contro tutto il suo paese; né simile a lui in quegli atti potenti e in tutte quelle grandi cose tremende che Mosè fece davanti agli occhi di tutto Israele” (De 34:10-12)

 

Eppure, soprattutto all’inizio, egli mostrò grande titubanza prima di accettare l’incarico che Dio voleva affidargli:

 

“Mosè rispose e disse: «Ma ecco, essi non mi crederanno e non ubbidiranno alla mia voce, perché diranno: ‘Il SIGNORE non ti è apparso’»” (Es 4:1).

 

La prima preoccupazione di Mosè, quando Dio gli indicò di averlo scelto per guidare il popolo d’Israele fuori dall’Egitto, fu piuttosto legittima se ci pensiamo. Cosa avrebbero pensato gli altri? Gli avrebbero mai creduto? Come avrebbe fatto a persuaderli?

Spesso, anche quando siamo convinti che il Signore ci stia guidando, potremmo in effetti essere titubanti perché non siamo sicuri del fatto che gli altri ci seguiranno. Mosè aveva quindi timore di essere rifiutato dagli altri.

Il Signore non fu però colto di sorpresa e gli mostrò una serie di segni che egli avrebbe potuto compiere per scardinare la loro incredulità (Es 4:2-9).

Quando Dio sceglie un uomo, gli mette anche a sua disposizione tutto ciò che occorre affinché anche i suoi fratelli condividano la sua visione. Questo è purtroppo un punto sul quale a volte non riflettiamo.

Nonostante i segni che Dio gli aveva messo a disposizione, Mosé non era ancora convinto:

 

“Mosè disse al SIGNORE:«Ahimé, Signore, io non sono un oratore; non lo ero in passato e non lo sono da quando tu hai parlato al tuo servo; poiché io sono lento di parola e di lingua». Il SIGNORE gli disse: «Chi ha fatto la bocca dell’uomo? Chi rende muto o sordo o veggente o cieco? Non sono io, il SIGNORE? Ora dunque va’, io sarò con la tua bocca e t’insegnerò quello che dovrai dire»” (Es 4:10-12).

 

Mosé sapeva che un condottiero doveva saper utilizzare la lingua per argomentare e convincere ma egli non si sentiva un oratore. Dio rassicurò Mosé anche su questo punto, in maniera simile a quanto aveva fatto con Geremia.

D’altra parte il Signore non era abbastanza grande da far parlare anche un muto? Avrebbe forse avuto dei problemi a rendere la lingua di Mosé più sciolta?

 

Questo è un punto interessante.

Come Mosé, a volte potremmo vedere in noi dei difetti che in qualche modo ci sembrano insormontabili.

Come dicevo al’inizio, ci sono cose che potrebbero essere oggettivamente degli ostacoli per svolgere un servizio, ma in questo caso, la lingua di Mosé era davvero un problema così grande come poteva sembrare? Chiunque abbia letto il Pentateuco, si sarà reso conto che Mosé, nonostante fosse stato così recalcitrante, fu davvero un grande condottiero e fu anche capace di parlare in maniera eloquente al popolo.

Come Gedeone non vedeva la sua forza, probabilmente Mosé non era in grado di vedere le sue qualità di oratore come in seguito avrebbe dimostrato di avere.

Comunque, neanche questa ulteriore rassicurazione di Dio bastò a convincere Mosé il quale replicò ancora:

 

“Mosè disse: «Ti prego, Signore, manda il tuo messaggio per mezzo di chi vorrai!»” (Es 4:13).

 

Questo è davvero il colmo!

Dio gli aveva già mostrato che avrebbe voluto portare il suo messaggio attraverso di lui, eppure Mosé continuò ad insistere perché il Signore mandasse qualcun’altro! Non ci stupisce quindi ciò che leggiamo nel verso seguente:

 

“Allora l’ira del SIGNORE si accese contro Mosè...” (Es 4:14a).

 

Quando l’ira di Dio si accende, ci aspettiamo che possa accadere davvero qual-cosa di terribile. Forse Dio farà scendere fuoco dal cielo per consumarlo? O gli farà venire una dolorosa malattia?

No, niente di tutto questo. Dio nella sua grazia, seppure adirato, diede a Mosé ancora una stampella per rassicurarlo.

 

“... ed egli disse: «Non c’è Aaronne tuo fratello, il Levita? Io so che parla bene. E, per l’appunto, egli esce a incontrarti; e, quando ti vedrà, si rallegrerà in cuor suo. Tu gli parlerai e gli metterai le parole in bocca. Io sarò con la tua bocca e con la sua bocca e vi insegnerò quello che dovrete fare. Egli parlerà per te al popolo; così ti servirà da bocca e tu sarai per lui come Dio. Ora prendi in mano questo bastone con il quale farai i prodigi»”(Es 4:14b-17).

 

Leggendo il resto del Pentateuco ci rendiamo conto che la presenza di Aronne servì più che altro a rassicurare Mosé soprattutto al’inizio del suo ministero, rendendolo più confidente. Come nel caso di Geremia e di Gedeone, Dio aveva visto in Mosé delle potenzialità che nemmeno quest’ultimo riusciva a vedere in sé.

Tuttavia, man mano che il tempo passò, Mosé sviluppò tutto il suo potenziale secondo le caratteristiche che Dio gli aveva dato ed egli fu trasformato nell’uomo straordinario che guidò Israele fuori dall’Egitto e lo condusse per diverse decine di anni nel deserto, mostrandosi all’altezza della situazione anche nei momenti più critici. Pensate a quale disastro sarebbe stato se Dio avesse assecondato Mosé, lasciando che un uomo così dotato rinunciasse al compito affidatogli.

Anche nel caso di Mosé, Dio aveva scelto bene.

E se Dio chiama proprio te?

 

Geremia, Gedeone e Mosé: nessuno di loro si sentiva adatto per il compito che Dio voleva affidargli.

Ogni persona ha le sue caratteristiche naturali, le sue inclinazioni, il suo carattere. A volte tendiamo a pensare che una persona con certe caratteristiche naturali evidenti sia necessariamente adatto per un certo compito, mentre altri li consideriamo inadatti a priori.

Alcuni credono che il modo migliore con cui possiamo servire il Signore sia quello per cui ci sentiamo più portati in maniera naturale o per il quale ci siamo preparati. Se fosse così, allora tutti coloro che hanno studiato omiletica sarebbero dei buoni predicatori e tutti coloro che hanno studiato musica dovrebbero servire il Signore come musicisti. Semplice, no?

Questo però ci porterebbe a ridurre il nostro servizio ad una mera questione tecnica e correremmo il rischio di essere pieni di noi stessi piuttosto che riconoscere ed esercitare i doni che Dio ci ha dato.

 

Tuttavia, ciò che impariamo dalla storia di questi personaggi è che a volte nemmeno i diretti interessati sono in grado di vedere con chiarezza quali sono le loro reali potenzialità! Dio si compiace nel fare qualcosa di speciale anche lì dove, a prima vista, l’uomo non vede nessuna possibilità. Qualunque sia il nostro carattere, possiamo essere certi che Dio è in grado di realizzare attraverso di noi cose che noi non potremmo neanche immaginare, purché ci lasciamo usare da lui.

 Ciò che conta non è tanto se noi ci riteniamo all’altezza o meno di un compito, ma se Dio ci ha chiamati a svolgere quel determinato compito.

Se Dio ci ha chiamati, allora possiamo essere certi che ci ha anche equipaggiato con tutto ciò di cui abbiamo bisogno, che guiderà le circostanze, che appianerà i problemi e che ci darà la serenità per portare avanti il nostro compito nel modo migliore.

 

Molte volte ci facciamo un’idea precisa di cosa pensiamo di essere in grado di fare e ci dimentichiamo che è Dio a dare ad ognuno secondo il suo beneplacito. In pratica cerchiamo di piegare la chiamata di Dio ai nostri desideri piuttosto che piegare noi stessi ai desideri del divino Pastore.

Non è infrequente che ci si trovi a servire il Signore in ambiti totalmente diversi da quelli che avremmo voluto. Ci sono persone che si sono trovate ad essere missionari all’estero quando, se fosse dipeso da loro, non avrebbero mai neanche messo il naso fuori dalla loro città. Altri non avrebbero mai pensato di parlare in pubblico, eppure si sono ritrovati a servire il Signore come insegnanti!

 

Io ad esempio, appena convertito, più di venti anni fa, pensavo che avrei servito il Signore come musicista e attraverso la recitazione, cose che amavo molto. Invece, ad un certo punto, il Signore mi fece capire, anche attraverso i fratelli e le sorelle che mi erano vicini, che avrei dovuto fare cose che fino a quel momento non avevano mai attirato la mia attenzione.

Vista la mia timidezza, non avrei mai pensato di salire su un pulpito per dare una testimonianza, figuriamoci se avessi mai pensato di poter predicare!

Negli ultimi anni, come ben sanno i fratelli e le sorelle della mia assemblea, ho accettato con riluttanza il mio attuale incarico come uno degli anziani dell’assemblea di cui faccio parte.

 

Caratterialmente, ancora ora mi sento molto più a mio agio quando posso servire la chiesa seduto dietro al pianoforte.

Capisco quindi molto bene coloro che sono titubanti di fronte a sfide che sembrano oltre la loro portata. Però, in tutti questi anni, ho imparato a fidarmi di Dio e a fidarmi anche dei fratelli e delle sorelle che ho intorno.

 

A volte Dio ci incoraggia a percorrere strade che a noi non sembrano praticabili proprio attraverso coloro che ci circondano. Teniamo presente che, quando abbiamo un dono da parte di Dio, anche gli altri credenti se ne accorgono! Non dovremmo quindi ignorare la testimonianza dello Spirito Santo in noi, ma neanche le indicazioni che egli ci dà attraverso i nostri fratelli e sorelle.

Impariamo a fidarci di Dio e lasciamo che egli ci stupisca con ciò che può fare anche attraverso di noi. Anche se pensiamo di essere strumenti inadeguati, lasciamo che il Signore mostri la sua potenza proprio attraverso la nostra debolezza.

 

Quando Dio ci apre una porta, non dobbiamo essere rinunciatari pensando solo alle capacità che pensiamo di avere, infatti lui sa già ciò che troveremo dall’altra parte, una volta che avremo trovato il coraggio di attraversare la soglia.


Omar Stroppiana
Fonte: ilcristiano

Inviato da alex il

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