L'amore è la caratteristica di Dio, infatti è scritto: Dio è amore (1° Giovanni 4.16) Ovviamente quando guardiamo  questo amore ci rendiamo subito conto di quanto sia diverso da quello che siamo abituati a vivere nella nostra dimensione umana. Spesso, infatti, releghiamo questo termine a: canzoni, sesso, do ut des, farfalline nello stomaco e molti altri etc. Però quando scopriamo cosa intende il Creatore per amore (Giovanni 3.16) restiamo disarmati e, se apriamo il cuore, innamorati di questo Dio, perdonati e guariti dal nostro egoismo.
 
L'amore descritto nella Bibbia, quindi, rappresenta poi una cartina tornasole per misurare la genuinità della nostra fede e della nostra professione,,,,, un elemento fondamentale, quindi, della teologia biblica. Scopriamolo insieme al nostro fratello Rinaldo.

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Un anno dopo l'inizio delle disastrose guerre d'indipendenza nei territori della ex-Jugoslavia, un croato fece questa dichiarazione: "ciò di cui i paesi Balcanici hanno bisogno è un battesimo d'amore; noi non sappiamo fare altro che odiare e fare vendetta". Le guerre di secessione degli stati membro dell'ex-jugoslavia, continuarono fino al 1995. Molti delle centinaia di migliaia di morti erano dovuti ad atti di "pulizia etnica", in parte a sfondo religioso. Ma erano anche tutti frutti dell'odio.
 
Qualche anno dopo ho potuto vedere di persona i segni della distruzione causata dalla guerra d'indipendenza della Croazia. Poi, nel 1999, ho visto in Kosovo i terribili effetti prodotti dalla vendetta dei Serbi per una sconfitta subita nella Guerra di Kosovo del 1389! La vendetta non produce altro che odio, distruzione e morte.

Ma l'odio si fa sentire con atti violenti e con azioni di vendetta anche in altri ambiti, per esempio quello domestico. Basta seguire i notiziari alla TV o sull'internet per un giorno! per rendersi conto della straordinaria importanza del comandamento di Gesù: "Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri" (Gv 13:34-35; cfr. Ro 5:5). Gesù non stava parlando di un amore sentimentale, bensì del tipo di amore (gr. agapē) che Dio Padre ha manifestato nei nostri confronti mandando suo Figlio nel mondo affinché noi, che eravamo suoi nemici, potessimo essere salvati dal peccato ed ereditare la vita eterna (Gv 3:16; Ro 5:8).
 
A proposito di questo amore, Paolo scrive: "Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge. Infatti il «non commettere adulterio», «non uccidere», «non rubare», «non concupire» e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso».
 
L'amore non fa nessun male al prossimo: l'amore quindi è l'adempimento della legge" (Ro 13:8-10). Un altro brano che definisce l'amore che Gesù esige e che lo Spirito Santo spande nei cuori dei suoi discepoli, è il brano in cui si legge che "Dio è amore" (1 Gv 4:8). Nella continuazione del brano Giovanni ci fa sapere di quale tipo di amore si tratta: "In questo è l'amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati" (v. 10). Da queste parole è evidente l'impossibilità di invertire le parole "Dio è amore" in "Amore è Dio" o di ridurre l'amore agapē a un mero sentimento. Si tratta, invece, di un amore pronto al sacrificio, pur di fare ciò che reca bene agli altri.
Sei tu sei un discepolo di Gesù, i tuoi rapporti umani dovrebbero essere caratterizzati dall'amore e se non è così o non sei un discepolo di Gesù oppure stai contristando lo Spirito Santo (Ga 5:16-25; Ef 4:30).
 
Dove manca questo amore ci vuole poco per scivolare in una guerra come quella etnico-religiosa che caratterizzava il conflitto Serbo-Kosovaro durante l'ultimo decennio del secolo scorso con il suo tragico epilogo nel 1999. Lo stesso dicasi del pericolo di una guerra dentro i muri domestici. D'altra parte laddove l'agire del capo famiglia è caratterizzato dall'amore, quella casa può assumere l'aspetto di anticamera del paradiso. Ecco perché si soffermiamo in questo capitolo sul comandamento di Gesù di amarci gli uni gli altri.
 

Il comandamento dell'amore nell'insegnamento di Gesù

Gesù e i suoi futuri apostoli si trovavano quasi in un'atmosfera famigliare quando Gesù fece un gesto del tutto eccezionale: lavò i piedi di questo gruppo di uomini che erano stati con lui durante il suo ministero pubblico. Dopo averlo fatto e aver ripreso il suo posto, Gesù disse: "Capite quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io. In verità, in verità vi dico che il servo non è maggiore del suo signore, né il messaggero è maggiore di colui che lo ha mandato. Se sapete queste cose, siete beati se le fate" (Gv 13:12-17). "Lavare i piedi gli uni agli altri" esemplifica bene il senso del comandamento che segue: "Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri", e aggiunse: "Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (vv. 34-35).

Se a qualcuno sembrasse esagerato includere il comandamento di amare fra gli elementi fondamentali della teologia biblica, gli suggerirei di riflettere sul comando che i discepoli di Gesù sono tenuti a osservare (cfr. Mt 28:20). Innanzitutto dovrebbe rileggere le conversazioni del Cenacolo con cui Gesù preparò gli apostoli al suo imminente esodo dal mondo e al loro ruolo dopo la Pentecoste (Gv capp. 13-16); il comandamento: "amatevi gli uni gli altri" ricorre tre volte in queste conversazioni (13:34; 15:12,17). A ciò si aggiunge la frase ripetuta: "Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti" (14:15; cfr. 14:23-24; 15:10). Inoltre Gesù indica nell'ubbidienza al comandamento di amare l'unico modo di essere riconosciuti come suoi discepoli (13:35) e indica nell'unità dei suoi discepoli, che è il prodotto dell'esercizio dell'amore reciproco, l'unico modo per convincere il mondo che Egli è stato mandato nel mondo dal Padre (17:20-23).

Gesù riprende questo tema nella lettera alla chiesa di Efeso riportata in Apocalisse 2:1-8. Chi concepisce l'ortodossia soltanto in termini di adesione alle verità proposizionali contenute nella rivelazione speciale, dovrebbe prendere in seria considerazione il modo in cui Gesù valuta questa chiesa. Egli riconosce tanto la sua ortodossia dottrinale quanto la sua costanza, eppure avverte: "Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore.

Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti, e compi le opere di prima; altrimenti verrò presto da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi" (Ap 1:4-5). Qui abbiamo la valutazione del Capo della chiesa. Il suo criterio di valutazione è: dove mancano le opere che esprimono amore per lui e per il prossimo, quella chiesa è un ostacolo alla testimonianza e quindi non merita di rimanere come parte del suo progetto dell'edificazione della Sua chiesa (cfr. Mt 16:18).

Se non bastasse la valutazione del Capo della chiesa - una chiesa che non manifesta amore è caduta e deve ravvedersene subito pena la sua squalificazione - anche l'apostolo dei Gentili, sebbene molto interessato al mantenimento della sana dottrina, usa lo stesso criterio di valutazione. Nella prima delle sue lettere, dopo aver confermato la propria attenzione per i poveri (Ga 2:10), scrive la frase memorabile: "quello che vale è la fede che opera per mezzo dell'amore" (5:6). Ancora nella sua prima lettera canonica alla chiesa di Corinto ritorna sull'importanza fondamentale dell'amore quando afferma che in assenza di esso ogni dono e ogni sacrificio, anche il più estremo, non ha alcun valore! (1 Co 13:1-3).

Quindi è evidente che, dopo la salvezza, la cosa più fondamentale per ogni discepolo di Cristo è l'ubbidienza al comandamento di Gesù di manifestare l'amore di Dio ai propri fratelli e al mondo esterno.

Ciò che ci mette in grado di amare

Non dimenticherò mai la bella ragazza di Valona, in Albania, che non riusciva a sorridere. Era poco dopo la caduta del regime comunista e mi raccontò la storia di come suo zio era stato trattato dal regime. Era una storia molto triste, anche perché la ragazza era stata particolarmente legata a questo zio e il ricordo di come era morto era rimasto inciso nella sua memoria. Lei mi disse: "Non riesco a non odiare, è più forte di me!"
C'è soltanto un modo per superare un blocco emotivo di questo genere. Questa ragazza doveva non soltanto rinunciare all'odio ma anche lasciare operare in lei lo Spirito Santo, spandendo nel suo cuore l'amore di Dio. A questo proposito, Paolo scrive: "l'afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza, e l'esperienza speranza. Or la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato" (Ro 5:3-5).

Lo Spirito Santo fornisce la capacità soprannaturale di amare là dove, senza il suo aiuto, afflizioni e ingiustizia produrrebbero soltanto odio. La necessità dell'assistenza dello Spirito Santo viene ribadita nel brano che descrive il frutto dello Spirito, in contrapposizione alle opere della carne: "Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo" (Ga 5:22; cfr. vv. 16-21). È possibile per i figli di Dio amare in ogni circostanza, anche i nemici, soltanto quando si lasciano controllare dallo Spirito Santo e quindi amano con l'amore di Dio. Chi si lascia controllare dallo Spirito diventa una fonte di amore; chi invece contrista lo Spirito Santo per il quale è stato suggellato per il giorno della redenzione (Ef 4:30), rischia di trovarsi sopraffatto dall'odio e dal desiderio di fare vendetta.

Come l'amore si esprime nella chiesa locale

Nell'ambito della chiesa locale, l'ubbidienza al comandamento di amare produce l'amore reciproco perché tutti i veri discepoli di Gesù hanno ricevuto dallo Spirito Santo, senza eccezione, un battesimo di amore. Tale amore reciproco si manifesta in particolare in due cose: la solidarietà nelle cose pratiche e in una cultura di perdono. È noto che la solidarietà negli aspetti pratici, quotidiani, della vita costituiva un aspetto importante della testimonianza della prima chiesa (si veda At 2:42-47; 4:32-37; 6:1-7). Ma lo è ancora oggi, anche a livello della fratellanza internazionale, come accadde già fra i discepoli siriani e giudei nei tempi apostolici (At 11:27-30). Ricordo con riconoscenza la solidarietà della giovane assemblea di Fuorigrotta, a Napoli, quando ero stato derubato di praticamente tutti i soldi che avevamo a disposizione come famiglia per l'affitto e altro. Saputo del fatto, i fratelli ci chiesero la cifra dei soldi rubati e fecero subito una colletta che ammontò alla stessa somma! I cosiddetti "ladri onesti" restituirono i miei documenti mentre il Signore, per mezzo del suo popolo, restituì il denaro. In un altro contesto, nel vedere come la fratellanza si era presa cura dei nostri bisogni pratici, alcuni miei colleghi di studio credettero che avessimo dei parenti nei paraggi! Effettivamente avevamo i nostri fratelli e sorelle in Cristo!

Per fare come Paolo, "ricordarsi dei poveri", ogni chiesa locale farebbe bene di avere un fondo d'emergenza pronto per ogni bisogno di questo tipo. Dobbiamo ubbidire in modo pratico a Gesù quando dice: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi" (Gv 15:12).
L'altro modo in cui l'amore agapē si esprime all'interno della chiesa locale è in una cultura di perdono. Dal momento che il processo della santificazione progressiva rimane incompiuto fino al termine del nostro cammino terreno (si veda Fl 1:6; 1 Te 5:23-24), immancabilmente ci saranno delle occasioni in cui i nostri difetti disturbano la comunione fraterna. Gesù prevedeva questo e quindi provvide anche una procedura da seguire quando i peccati di un fratello creano danni a un altro (Mt 18:15-20).

Seguendo il discorso di Gesù, Pietro capì che, il più delle volte, il caso si sarebbe risolto al primo stadio, che prevede un contatto diretto fra chi ritiene di aver subito un'azione peccaminosa e chi è ritenuto esserne la causa. Quindi Pietro fa la seguente domanda a Gesù: "Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?" (v. 21).
La risposta di Gesù mette in chiaro la natura radicale del perdono secondo il pensiero di Dio: "Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette" (v. 22). Segue una parabola con cui Gesù mette in evidenza che qualsiasi cosa siamo chiamati a perdonare è poca cosa rispetto a quanto Dio ci ha perdonati in Cristo (vv. 23-34). L'aspetto più importante di questa parabola è la lezione che Gesù ne trae. Con riferimento alla reazione del re verso il servo che rifiutò di condonare il piccolo debito del suo conservo, Gesù disse: "E il suo signore, adirato, lo diede in mano degli aguzzini fino a quando non avesse pagato tutto quello che gli doveva.

Così vi farà anche il Padre mio celeste, se ognuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello" (vv. 34-35). Le parole "di cuore" fanno comprendere che ciò che Gesù richiede dalla sua chiesa è una cultura di perdono. Questo vuol dire, fra le altre cose, non calcolare il numero di volte che hai dovuto perdonare qualche fratello ("Fino a sette volte?" V. 21). La risposta di Gesù a Pietro: "Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette" (v. 22), in effetti significa: "perdona e dimentica; ogni volta che lo fai è come se fosse la prima volta!"
Troviamo lo stesso insegnamento in Efesini 4:32, dove la formula "perdonandovi [charizomenoi] a vicenda come anche Dio vi ha perdonati [echarisato] in Cristo" fa riferimento alla grazia di Dio, prima sperimentata personalmente nel perdono concesso da Dio e poi operante nella prontezza a perdonarsi a vicenda fra coloro che sono stati perdonati. Non è un caso che Paolo abbia scelto di usare il participio presente di un verbo derivato dalla parola "grazia" (charis) nell'insistere sulla pratica continua del perdono reciproco.

Come l'amore agapē è sempre pronto a donare, è anche sempre pronto a perdonare, senza fare un calcolo delle volte che è stato fatto nel passato.

Conclusione

L'amore che lo Spirito Santo infonde nel cuore delle persone rigenerate non aspetta che l'altro faccia qualcosa o sia meritevole, prima di agire; inoltre, dopo aver agito, non pretende gesti di gratitudine. Esso pensa al bene dell'altro e agisce in modo disinteressato, come Cristo ci ha amati.

Per la riflessione personale o lo studio di gruppo
1. Perché il comandamento di Gesù di amare è la cosa più importante dopo aver sperimentato il perdono dei peccati mediante la fede in Cristo?

2. Perché Gesù può aspettare dai suoi discepoli che si amino come Egli ha amato loro?

3. Con quali criteri Gesù valuterà il nostro operato?

4. Provi qualche rancore contro qualcuno che l'amore di Dio non ti permetterebbe di superare con la pratica del perdono?

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Dal libro di Rinaldo DIprose:
Elementi fondamentali della teologia biblica

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Inviato da alex il

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