Pornografia, traumi, squilibri chimici: tante le cause dell’ossessione per il sesso. La scienza è divisa, anche sulle cure. Solo due le certezze: è un disturbo che sconvolge la vita, e in pochi chiedono aiuto.
Si riporta interessante articolo tratto da: La Repubblica, a conferma che anche la società (e ancora troppo poco spesso la chiesa locale), pare e sembra, a tratti, rendersi conto di questo dramma che distrugge vite, relazioni, amicizie, ministeri, doni.
Riportiamo articolo, ma anche questo link, dove si affronta la questione sotto un aspetto spirituale, per capirne cause e cure.
Di dipendenza sessuale si parla ancora troppo poco, e la scienza stessa, per dirla tutta, non ha risposte univoche sul tema. Soffrire di questo disturbo ha però delle conseguenze molto impattanti: chi convive con la dipendenza sessuale ha come priorità assoluta il sesso e l’orgasmo, a scapito di tutti gli altri aspetti della propria vita. Può così arrivare a spendere molto denaro in app di incontri o prostituzione, rovinare i propri rapporti familiari, perdere il lavoro o contrarre infezioni sessualmente trasmesse.Il discorso è diventato più attuale quest’anno con l’uscita della serie Supersex, ispirata alla vita di Rocco Siffredi: la pornostar ha infatti dichiarato a più riprese di soffrire di dipendenza sessuale. Così si spiega una delle scene più “forti”, quando, alla fine del funerale della madre, al cimitero si lascia fare del sesso orale da un’anziana.
«Chi ha dipendenza dal sesso può arrivare a non riconoscere più il dolore originario. Di fronte a un evento doloroso, prova solo un innalzamento del desiderio», spiega Emiliano Lambiase, psicoterapeuta collaboratore della Comunità terapeutica Sisifo per le dipendenze comportamentali. Le cause di questa condizione sono molte e diverse. In primis il contesto socioculturale, in cui il sesso è ancora tabù, ma la pornografia è accessibile, gratuita e la sua fruizione anonima: questa tentazione costante può contribuire a causare assuefazione. Ci sono poi dei fattori biologici, come la predisposizione genetica o gli squilibri nei livelli di sostanze chimiche che regolano l’umore, come la serotonina e la dopamina, legate a meccanismi di rinforzo e ricompensa. Infine c’è la storia personale: il primo approccio alla sessualità, eventuali abusi e traumi subìti, il contesto sociale di riferimento e la propria rete di supporto.
Fatto sta che la dipendenza sessuale è ancora oggetto di dibattito all’interno della comunità scientifica internazionale. Basti pensare che nel 2013, la quinta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (Dsm), redatto dall’American Psychiatric Association, non l’ha riconosciuta come disturbo mentale. Alcuni anni dopo, nel 2022, l’International Classification of Diseases (ICD-11), dell’Organizzazione mondiale della Sanità, ha invece individuato l’esistenza del Disordine sessuale compulsivo.
«La dipendenza sessuale è patologica nella misura in cui la persona perde la capacità di controllare i desideri e i comportamenti sessuali, nonostante le conseguenze negative sulla sua vita» dice il dottor Lambiase. In questo senso si può assimilare ad altre dipendenze già conosciute e trattate.
«Un fattore come l’astinenza è utile per diagnosticare questo tipo di comportamento» dice Marco Bozzi, psicoterapeuta responsabile del gruppo Sex Addiction presso il Servizio dipendenze da comportamenti dell’Asl Città di Torino.
«Toccando gli stessi meccanismi neuronali delle dipendenze da sostanze, l’uso del sesso determina un’eccitazione del sistema di gratificazione»: quello responsabile di farci sentire bene.Una parte della comunità scientifica pensa invece che non si dovrebbe parlare di dipendenza, ma di difficoltà nel controllo di impulsi dovuti a stati d’animo sfavorevoli. A differenza delle dipendenze da gioco d’azzardo o da sostanze, «il disturbo da comportamento sessuale compulsivo prevede che i comportamenti sessuali siano ripetuti per controllare stati emotivi negativi» afferma Vittoria Bottelli, psicoterapeuta e sessuologa clinica, rifacendosi agli studi della psicoterapeuta Silvia Neves. L’obiettivo non è, dunque, il piacere in sé, ma placare questa persistente sofferenza. Inoltre, aggiunge Bottelli, «mentre per altre dipendenze l’astinenza è funzionale alla cura, in questo caso l’obiettivo non è astenersi ma creare un rapporto sano con il sesso».
Non chiamatelo “vizio”
Di fatto chi si trova in questa condizione convive con una vergogna interiorizzata per cui fatica a riconoscere anche a se stesso di avere un problema. «È in corso una liberalizzazione del sesso, con sempre meno vincoli dal punto di vista culturale, religioso e sociale. Ma lo stigma permane per quei comportamenti sessuali socialmente non ancora codificati, come appunto la dipendenza» afferma Enrico Teta, psichiatra responsabile del dipartimento Dipendenze da comportamenti dell’Asl Città di Torino. «Sul piano sociale, infatti, la dipendenza non è vista come una vera patologia» continua Teta «ma viene collegata al vizio e alla responsabilità della persona, considerata priva di morale. Ecco perché sono ancora in pochi a rivolgersi ai servizi».Anche il modo in cui i media raccontano la dipendenza sessuale può essere fuorviante: si assiste alla rappresentazione della sofferenza come intrattenimento, creando una sorta di “pornografia del dolore”. Le storie delle persone che soffrono di questo problema vengono consumate dal pubblico come sensazionalismo, senza tener conto del loro reale disagio. Prevale la curiosità morbosa, anziché l’attenzione per un problema da affrontare e comprendere con empatia.Chi soffre di dipendenza sessuale, tra l’altro, ha una vita molto diversa da quella di Siffredi, che intorno ci ha costruito un personaggio e una carriera. «Questa condizione si colloca in una dimensione di povertà emotiva-relazionale. La mancanza di educazione affettiva, soprattutto negli uomini, può produrre l’idea che la sessualità abbia un fine di tipo predatorio-dominante», dice il dottor Bozzi. «Una sana educazione affettiva permetterebbe invece alle fragilità personali di trovare ascolto prima di diventare patologiche» aggiunge. La dipendenza sessuale rischia di essere romanticizzata, perché legata a una vita sessuale attiva. Ma, continua Bozzi, «i pazienti che vengono in ambulatorio non ci parlano di quanto sia bello fare sempre sesso, ma ci dicono: ho un problema perché non riesco a sganciarmi da questo comportamento». Così, mentre il sesso dovrebbe provocare solo piacere, in queste persone genera una grande sofferenza.Se la definizione di dipendenza sessuale non è univoca, non lo è neanche la cura. «Occorre ancora fare ricerca: il concetto di dipendenza sessuale si è sviluppato negli ultimi 20 anni, e continua a cambiare grazie anche ai progressi delle neuroscienze», dice Teta. Per quanto riguarda l’uso di farmaci «non ne esiste uno specifico, ma ci sono ansiolitici, antidepressivi, stabilizzatori dell’umore o neurolettici, che si usano per curare i disturbi psichici e che possono essere impiegati anche in questo ambito» continua. È chiaro però che oltre ai farmaci è fondamentale portare avanti un lavoro di tipo psicologico sulla vita del paziente e sulla sua sessualità, in modo che possa arrivare, come dice Lambiase, «ad assaporarla invece di ingurgitarla».
Sul Venerdì del 5 luglio
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