Certe persone, sin dai primi tempi della loro vita, hanno subìto tali scosse e turbamenti che non possono più permettersi, per così dire, di provare una grande nostalgia; si sono disabituati a tenere teso a lungo l’arco interiore, e per compensazione si creano gioie di breve durata, facili da soddisfare. Questa è la sorte dei ceti proletari ed è la rovina di ogni fecondità intellettuale.
In realtà non è lecito affermare che è un bene per l’uomo se nella sua vita ha cominciato presto a prendere delle bastonate. Nella maggioranza dei casi l’uomo ne esce distrutto. Certo, essi ne escono molto più induriti e resistenti per tempi come i nostri, ma anche infinitamente più sordi.
Se veniamo divisi con la forza per lungo tempo, dalle persone che amiamo, non siamo capaci, come in genere fanno gli altri, di crearci una compensazione a buon mercato mediante altre persone: non per ragioni d’ordine morale, io ritengo, ma semplicemente a causa del nostro essere.
Siamo ostici alla compensazione. Dobbiamo allora semplicemente aspettare e aspettare ancora, soffrire indicibilmente per la separazione, dobbiamo alimentare la nostalgia quasi sino a star male; solo così conserveremo intatta la comunione con le persone che amiamo, anche se in maniera molto dolorosa.
Ho conosciuto un paio di volte nella mia vita la nostalgia. Non esiste dolore più terribile; nei mesi che ho trascorso qui in prigione mi è capitato qualche volta di soffrirne spaventosamente. Poichè penso che nei prossimi mesi ti accadrà qualcosa di analogo, volevo scriverti le mie esperienze in proposito; forse ti potranno servire.
La prima conseguenza di tali periodi di nostalgia è sempre il desiderio di trascurare in qualche maniera il corso normale della giornata, e così entra nella nostra esistenza un certo
disordine. Talvolta ero tentato di non alzarmi, come di consueto, alle sei del mattino - il che sarebbe stato assolutamente lecito - ma di dormire più a lungo. Finora sono sempre riuscito a impormi di non farlo; mi era chiaro che ciò sarebbe stato l’inizio della capitolazione, cui presumibilmente sarebbe succeduto di peggio.
L’ordine esterno, meramente corporale (ginnastica mattutina, acqua fredda per lavarsi) offre già un qualche sostegno all’ordine interno. Inoltre: nulla è più deviante che tentare di crearsi, in periodi come questi, un qualche succedaneo di ciò che è insostituibile. Non funziona e inizia un disordine interno ancor più grande; ma la forza per superare la tensione, che può scaturire soltanto dal concentrarsi completamente sull’oggetto della nostalgia, viene fiaccata, e tener duro diventa ancora più insopportabile... Inoltre, ritengo che sia bene non parlare con estranei del proprio stato - produrrebbe un turbamento maggiore -, ma per quanto è possibile bisogna tenersi disponibili per le pene altrui.
Soprattutto non bisogna cadere nella “self-pity”, nell’autocompassione. Per quanto riguarda infine il lato cristiano della cosa, la strofa che dice: ́... dass nicht vergessen
werde, / was man so gern vergisst, / dass diese arme Erde / nicht unsre Heimat ist (59), contiene qualcosa di essenziale, ma soltanto come caso limite. Penso che dobbiamo amare tanto Dio, nella nostra vita e in ciò che egli ci concede di bene, e dobbiamo avere una tale fiducia in lui, che quando giunge il momento - ma solo allora! - si possa andare a lui con amore, fiducia e gioia.
Ma - per dirla franca - che un uomo tra le braccia di sua moglie debba bramare l’aldilà, è, a essere indulgenti, mancanza di gusto e comunque non la volontà di Dio. Bisogna trovare e amare Dio in ciò che egli appunto ci dà; se a Dio piace farci godere una travolgente fortuna terrena, non bisogna essere più pii di Dio stesso e lasciare che questa fortuna si guasti con pensieri tracotanti, con atteggiamenti di sfida e con una fantasia religiosa scatenata, sempre insoddisfatta di quanto Dio concede.
A colui che lo trova nella sua felicità terrena e lo ringrazia, Dio non farà mai mancare delle ore in cui gli verrà ricordato che le cose terrene sono transitorie e che è opportuno abituare il proprio cuore all’eternità; nè gli farà mancare infine le ore in cui noi possiamo giustamente dire: ́vorrei essere a casa....
Ma tutto ciò vuole il suo tempo; la cosa principale è che si tenga il passo di Dio, che non si continui a precederlo di qualche passo, ma nemmeno che si rimanga indietro rispetto a lui di qualche passo. E’ presunzione voler tutto in una volta sola: la felicità del matrimonio e la croce e la Gerusalemme celeste, dove non c’è moglie nè marito. ́A tempo debito egli fa tutto bene (Eccl. 3, 11). Tutto ha ́il suo tempo: un tempo per piangere e un tempo per ridere ... un tempo per abbracciare e un tempo per essere lontano dall’amplesso... un tempo per lacerare e un tempo per cucire... e Dio va alla ricerca di ciò che è passato.
Queste ultime parole significano che nessuna cosa passata è perduta, che Dio assieme a noi recupera nel passato ciò che ci appartiene. Se dunque siamo sopraffatti dalla nostalgia di una cosa passata - e ciò avviene in periodi assolutamente imprevedibili - allora possiamo sapere che questa è soltanto una delle molte ́ore che Dio tiene sempre in serbo per noi, e perciò dobbiamo recuperare il passato non con le nostre forze ma in compagnia di Dio.
Ora basta con queste cose: vedo di aver sopravvalutato le mie capacità; in verità su questo argomento non ti posso dir nulla che tu già non sappia.
Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere
Lettere e altri testi scritti da Dietrich Bonhoeffer dal 1943 al 1945 nel carcere berlinese di Tegel
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