Tema affascinante che interessa tutti, perché le domande che vi sono implicate coinvolgono ogni persona. Ovviamente le risposte sono varie e complesse e mai si potrà essere esaustivi.
Senza andare troppo indietro nel tempo, durante il Settecento, il secolo dei lumi, si diffuse la convinzione che la storia dell'uomo fosse tesa verso una continua evoluzione.
Già il pessimismo cosmico leopardiano, almeno in Italia, bocciò le convinzioni illuministiche, affermando che l’infelicità degli uomini ha cause naturali e non sociali, cause sostanzialmente non modificabili.
Le tragedie della prima metà del Novecento hanno dato poi ancora maggiore consapevolezza alle nuove generazioni d’essere creature imperfette e finite.
I modelli di perfezione sbandierati dai mass-media si scontrano sempre più con la sofferenza del singolo che, condizionato, si affanna a conquistarli, anche a costo di trascurare i valori umani. È una scalata inarrestabile perché alla meta non si arriva mai, poiché il fine non è da ricercare nella materia ma altrove.
Sorge il bisogno di Dio!
Si delinea subito l'idea che non si tratta di un bisogno culturale, infatti, prescinde dalle singole culture, poiché in tutto il pianeta l’uomo guarda in alto. In modi diversi, al di là di qualsiasi condizionamento sociale e religioso, in momenti di particolare difficoltà, l'uomo guarda in alto. Egli è stimolato a ricercare quella spiegazione superiore che, con tutta probabilità, è l'unica che abbia senso ricercare. Proprio la meraviglia, proprio l'inadeguatezza rispetto alla grandezza e alla varietà delle esperienze umane sono alla base del nostro bisogno.
L'uomo, immerso nell'universo, non ne scorge la fine né il fine, e allora ... sono legittimi e immediati i noti interrogativi: "Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?", rispetto ai quali il pensiero filosofico e il progresso scientifico, naturali depositari di queste domande, non hanno dato risposte soddisfacenti.
Vale la pena, allora, di prendere in considerazione il terzo aspetto della questione: dopo la teoria culturale legata al condizionamento sociale, dopo la teoria naturale legata al pensiero materialista, per cercare di comprendere il bisogno d'infinito è necessario ammettere che si tratta di un bisogno spirituale. Nel senso che la domanda è generata non dalla capacità speculativa o dal nostro sapere, ma da qualche zona profonda del proprio essere.
Neanche la moderna psicanalisi, con le sue ipotesi inquietanti, riesce ad andare aldilà
delle mere teorizzazioni.
IL BISOGNO DI DIO
Con l'accettazione dell'ipotesi spirituale, se così si vuole definirla per meglio essere
compresi, il bisogno d'infinito si trasforma fatalmente in bisogno di Dio.
In quest'ultimo periodo si è notato un crescente interesse del "bisogno di Dio". Si è osservato un certo orientamento verso il sacro o, per meglio dire, un ritorno al sacro.
L'aumento di domanda è evidenziato anche dalla forte diffusione delle religioni orientali, dal boom della chiromanzia, dell'astrologia, dell'occultismo e dello spiritismo. Tutto questo è bisogno di Dio!
L'uomo desidera Dio, particolarmente le nuove generazioni sono alla ricerca di quell'immenso che per troppi decenni è stato frainteso, manipolato e, di conseguenza, deriso e poi negato.
Oggi si capisce meglio che è impensabile "uccidere Dio nell'uomo" e chi L'ha voluto uccidere ha ucciso l'uomo stesso: basti pensare a quei popoli vissuti per generazioni senza Dio, in un ristrettissimo materialismo che li ha spinti verso la povertà spirituale, morale ed economica.
L'uomo post-moderno sta cogitando: ripiegato su se stesso cerca Dio, si apre a quest'avventura. L'incontro con Dio lascia sbigottiti ma riempie di dolcezza: proprio quando l'occhio fisico non vede, ecco che lo spirito avverte suoni che arrivano da lontano. Fremiti, vibrazioni che stimolano in noi questo bisogno.
Il ritmo perenne del vivere e del morire, dello scorrere e del mutare, ci lancia verso l'infinito ma subito ci riporta nel finito, come su un'altalena ben descritta nel libro biblico dell’Ecclesiaste: “Per tutto c'è il suo tempo, c'è il suo momento per ogni cosa sotto il cielo: un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare ciò che è piantato, un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire; un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per far cordoglio e un tempo per ballare, un tempo per gettar via pietre e un tempo per raccoglierle, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci; un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per conservare e un tempo per buttar via, un tempo per strappare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare; un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace” (Ecclesiaste 3:1-8).
Questo strano cullarsi tra finito e infinito non approda a nulla, dà la percezione dell'infinito ma non la conoscenza.
L'uomo avverte il "bisogno di Dio", intuisce la "tensione", che lo spinge verso questa dimensione. Desidera conoscere, si sforza di conoscere ... mattone su mattone costruisce le sue torri di Babele, ma queste non guadagnano mai il "cielo".
Ecco, si avvicina al confine del visibile, ma poi vede il baratro dimensionale e ha paura
di volare, eppure il cielo è là, azzurro più che mai, ma non riesce a raggiungerlo. Ha paura di perdersi e si ferma.
L'uomo ha fame, è cosciente di non poter vivere di solo pane, anzi è stanco di spendere "il suo denaro", "le sue risorse" per ciò che non lo nutre realmente (Isaia 55:2).
Vive nel finito, nello spazio, nel tempo. Sa che termina, che si consuma, che muore, vive inquieto, in dissidio, ma non ne sa uscire. La distanza fra "ciò che si vede" e "ciò che non si vede" aumenta ad ogni tentativo di valico.
Un teologo assurdamente disse: "Sembra che Dio si nasconda tra le nuvole".
Vano è ogni impegno, inutile ogni sforzo, si trasferisce nell'uomo l'idea che la sua esistenza sia segnata da un terribile destino di segregazione, che il suo vissuto debba essere caratterizzato da quest'orrida solitudine, da quest'implacabile inquietudine.
Eduardo De Filippo, alla fine della sua vita, scrisse: "Vorrei un po' di pace, quella pace vera, quella pace senza il sapore della morte".
Veramente un dramma, una tragedia d'immane dimensioni.
Blaise Pascal (1632-1662) disse: "L'abisso infinito che c'è nel cuore dell'uomo non può essere riempito che da qualcuno infinito e immutabile, Dio stesso!".
COME CONOSCERE QUESTO "DIO CHE RIEMPIE, CHE ARRICCHISCE?"
La Bibbia suggerisce: "Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il Suo Unigenito Figliuolo, affinchè chiunque crede in Lui non perisca ma abbia vita eterna" (Giovanni 3:16).
Secondo la Parola di Dio, mentre l'uomo viveva la sua catastrofe, mentre l'uomo si consumava nel suo "destino di morte", Dio provvedeva per lui. L'uomo non sapeva arrivare a Dio, allora Dio arrivò all'uomo nella persona di Gesù Cristo.
L'astronauta USA Irwin disse: "La cosa più grande nella storia dell'umanità non è che l'uomo ha camminato sulla luna, ma che Dio ha camminato sulla Terra nella persona di Gesù Cristo".
Ecco che allora si prospetta un nuovo bisogno: "Il bisogno di Cristo", un ponte che by-passa quella voragine dimensionale che ci divide da Dio, una porta aperta sull'infinito, una via per arrivare all'immenso.
Sempre nella Bibbia è scritto: "Chi riconosce pubblicamente che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, Dio rimane in Lui ed Egli rimane in Dio" (1 Giovanni 4 :15). Questo indica che attraverso Cristo posso "rimanere in Dio" e "Dio rimane in me".
COME S'INCONTRA CRISTO, COME LO SI REALIZZA, DOVE LO SI CONOSCE ?
Prima si è detto di una "zona profonda" del nostro essere. La Bibbia definisce questa zona interiore come il "cuore dell'uomo", afferma che in questo luogo specifico e determinato Cristo si rivela, infatti è anche scritto: "Voi Mi cercherete e Mi troverete, perché Mi cercherete con tutto il vostro cuore" (Geremia 29:13).
Oggi si possono documentare innumerevoli casi di persone che tranquillamente testimoniano di aver trovato Cristo, dopo averlo cercato con tutto il proprio cuore.
L'uomo può trasformare il suo cuore in un laboratorio di ricerca e iniziare un'indagine diversa, con un oggetto veramente nuovo: "Ciò che non si vede e non si tocca", quindi una ricerca estesa non al campo del visibile ma alla realtà dell'invisibile... Chi si apre a quest'esperienza di ricerca spirituale, chi ripiegato su se stesso cercherà Cristo, Lo troverà e Lo conoscerà non come un Dio lontano e disinteressato, ma come un Dio vicino e amico, un Dio gentile che aspetta d'essere invitato, per entrare e riempire ogni vuoto.
Sì, chi Lo cerca trova Cristo che dice: "Vi do la Mia pace. Io non vi do come il mondo dà. Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti" (Giovanni 14:27).
Quella pace vera, non legata a ciò che passa, ma che affonda le sue radici nelle cose eterne, nelle cose immutabili che solo Gesù può offrire.
Daniele Di Iorio
Tratto da RISVEGLIO PENTECOSTALE Febbraio 2012
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