Interessante articolo di Matti Friedman, lo riportiamo anche se non si tratta di un trattato teologico/spirituale, e in parte potrebbe non essere condivisibile.
Ma è interessante il racconto che fa, vissuto in prima persona, di come le testate Mainstream nel corso degli ultimi anni, in particolare, abbiano trasformato il modo di fare informazione, divenuta piuttosto comunicazione.
Ora qui non avalliamo complottismi fantasiosi, ma notiamo che questo muovere il vero in falso e viceversa, condendo un poco uno e un poco l'altro, sia proprio il modus operandi di Satana.
lo scopo è rompere, dividere, creare muri, inimicizie, guerre, etc. E, come sappiamo, Israele è da sempre nel suo mirino.
Matti Friedman collabora con il New York Times ed è stato corrispondente da Israele, dal Libano, dal Marocco e da Mosca. Scrive per numerose riviste ed è considerato uno dei più grandi esperti di storia del Medio Oriente. Nato a Toronto, vive attualmente a Gerusalemme.
Esattamente dieci anni fa, durante una guerra Israele-Hamas che all’epoca sembrava importante ma ora sembra minore, ho pubblicato due saggi che descrivevano il mio periodo da reporter su Israele per l’Associated Press” scrive Matti Friedman sulla Free
Press. “Stavo scrivendo di qualcosa che non era stato riportato e che ha contribuito molto a plasmare la realtà nel decennio successivo, un cambiamento non nelle notizie ma nella redazione. Li ho riletti di recente, mentre la nuova tragedia a Gaza si espande in un momento che sembra un cambiamento di civiltà, mentre le manifestazioni contro il ‘sionismo’ diventano un punto fermo della vita nelle città dell’occidente liberale e mentre una guerra lanciata dai fondamentalisti musulmani viene riformulata con successo globale come una storia di brutalità, influenza e menzogna ebraica. La cosa più importante che ho visto durante il mio periodo come corrispondente della stampa americana stava accadendo tra i miei colleghi. La pratica del giornalismo, ovvero l’analisi consapevole di eventi disordinati sul pianeta Terra, stava venendo sostituita da una sorta di attivismo aggressivo che lasciava poco spazio al dissenso. Il nuovo obiettivo non era descrivere la realtà, ma condurre i lettori alla corretta conclusione politica, e se questo suona familiare ora, era sia nuovo che sorprendente per la versione più giovane di me che era stata fortunata a ottenere un lavoro presso l’ufficio Ap di Gerusalemme nel 2006.
La storia di cui mi sono ritrovato a far parte proponeva, in effetti, che i mali della civiltà occidentale (razzismo, militarismo, colonialismo, nazionalismo) fossero incarnati da Israele, che è stato trattato più ampiamente di qualsiasi altro paese straniero. Israele occupa un centesimo dell’uno percento della superficie del mondo e un quinto dell’uno percento della massa continentale del mondo arabo. Enfatizzando selettivamente alcuni fatti e non altri, cancellando il contesto storico e regionale e invertendo causa ed effetto, la storia ritraeva Israele come un paese le cui motivazioni potevano essere solo malevole e responsabile non solo delle proprie azioni ma anche di aver provocato le azioni dei suoi nemici.
Ho scoperto che i giornalisti attivisti erano sostenuti da un mondo affiliato di Ong progressiste e accademici che chiamavamo esperti, creando un circolo vizioso di pensieri quasi impermeabile alle informazioni esterne. Tutto ciò ha avuto l’effetto di presentare a un pubblico di massa una storia presumibilmente fattuale che aveva un potente impatto emotivo e un cattivo familiare. ‘L’importanza duratura della guerra di quest’estate, credo, non risiede nella guerra in sé’, ho scritto mentre i combattimenti si esaurivano nel 2014. ‘Risiede invece nel modo in cui la guerra è stata descritta e accolta all’estero, e nel modo in cui questo ha messo a nudo la rinascita di un vecchio, distorto schema di pensiero e la sua migrazione dai margini al mainstream del discorso occidentale, vale a dire, un’ossessione ostile per gli ebrei’. E’ possibile che abbia sottovalutato il problema. Ripensando ai miei saggi dieci anni dopo, è chiaro che ciò che ho visto in Israele non si limitava a Israele. Quando ho iniziato come giornalista, sapevo qual era la domanda fondamentale da porsi quando si racconta una storia. Era: cosa sta succedendo?
Quando ho lasciato l’Ap dopo quasi sei anni, ho scoperto che la domanda era diversa. Era: a chi serve? Se la tua ideologia impone che gli ebrei israeliani siano simboli di razzismo e colonialismo, e i palestinesi simboli dell’innocenza del Terzo mondo, allora un articolo che fa sembrare gli israeliani costruttivi e i palestinesi ostruzionisti deve essere evitato anche se è vero, perché serve le persone sbagliate. Questo spiega gli esempi di cattiva condotta giornalistica che ho riportato nei miei saggi e che molti hanno trovato difficili da capire. Perché abbiamo censurato le notizie da Gaza a causa delle minacce di Hamas al nostro staff senza dire ai nostri lettori che ciò stava accadendo, e anzi dicendo loro che Hamas stava diventando più moderata. O perché abbiamo affermato che l’obiettivo palestinese era uno stato accanto a Israele, quando l’obiettivo palestinese è sempre stato uno stato che sostituisce Israele. Dire la verità farebbe sembrare gli israeliani sani di mente, e gli israeliani sono le persone sbagliate. Un effetto di ciò che ho visto come reporter è stata la creazione di una notizia che tocca uno dei tasti più profondi della civiltà occidentale: l’idea che i mali di un dato tempo siano personificati dagli ebrei. I primi cristiani impiegavano questa tecnica narrativa, così come i re del tardo Medioevo, i filosofi illuministi, Karl Marx, Henry Ford, i dittatori arabi, i propagandisti sovietici e molti altri. E’ un fenomeno comune che di solito segnala una regressione dalla risoluzione razionale dei problemi al pensiero mitico.
Ciò che ho visto, con mia sorpresa, è stato questo virus mentale che si stava diffondendo di nuovo, tra persone istruite che si consideravano liberali, come se la storia non fosse mai accaduta. In linea con lo spirito dell’epoca, questa volta le accuse contro gli ebrei sono state presentate non come una questione di religione, teoria razziale o economia, ma di diritti umani. Dieci anni dopo, come abbiamo visto, queste idee hanno definitivamente preso piede nei campus universitari, nelle bombe incendiarie contro le sinagoghe, nella comparsa di liste nere ‘antisioniste’ nelle professioni istruite. I giornalisti sono paralizzati nel riferire questi fenomeni perché farlo aiuterebbe le persone sbagliate. Come abbiamo visto dal 7 ottobre, la camera dell’eco si è ora espansa per includere gran parte dell’apparato delle Nazioni Unite e delle istituzioni legali sovranazionali come la Corte penale internazionale, che può citare giornalisti che citano gruppi per i diritti umani che citano giornalisti, i quali poi riferiscono che le corti internazionali concordano con le loro opinioni, ora denominate ‘diritto internazionale’. Di conseguenza, è diventato quasi impossibile per una persona normale capire cosa sta succedendo o identificare i molti problemi reali qui in Israele o altrove. Ciò che è possibile vedere ora, e che non mi era evidente dieci anni fa, è che questi istinti modellano quasi ogni area di copertura e che Israele era solo un sintomo precoce. Ecco perché il crescente squilibrio su Israele e la credibilità in caduta libera della stampa sono progrediti di pari passo nell’ultimo decennio: si tratta di fenomeni correlati. Chiedere ‘A chi serve questo?’ invece di ‘Cosa sta succedendo?’ spiega perché una storia vera su un laptop appartenuto al figlio del presidente è stata liquidata come falsa: questa storia aiuterebbe le persone sbagliate. Spiega la reticenza nel riportare i veri effetti della medicina di genere o le origini del Covid, storie che potrebbero aiutare le persone sbagliate e danneggiare quelle giuste. Spiega perché gran parte dello staff del New York Times ha chiesto l’espulsione di talentuosi redattori per aver pubblicato un editoriale della persona sbagliata. Spiega perché una storia su un candidato dell’opposizione che cospirava con la Russia è stata riportata come un fatto: la storia non era vera, ma ha aiutato le persone giuste. E spiega perché i giornalisti raramente pagano un prezzo per queste carenze. Se l’obiettivo è ideologico più che analitico, queste non sono carenze. Sono il punto.
Nello strano mondo della sinistra dottrinaria, i seguaci dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’induismo sono le persone sbagliate, mentre i seguaci dell’islam hanno ragione. Le idee che ho visto plasmare la copertura di Israele, in altre parole, si sono diffuse attraverso la stampa e hanno domato il mondo dei giornalisti, un tempo indipendente e indisciplinato, un mondo in cui potremmo aver sbagliato la maggior parte delle volte, ma non sempre, e mai tutti allo stesso modo. In alcuni casi, non sono solo le idee che si sono spostate da qui attraverso il mondo dei media, ma le stesse persone. Un esempio è l’editor che ha supervisionato tutta la copertura del medio oriente per gran parte del mio tempo all’Ap, e che ha avuto la responsabilità generale di gran parte della realtà che ho descritto nei miei saggi. Dal medio oriente, quell’editor, Sally Buzbee, è andata a dirigere l’ufficio Ap di Washington mentre la maggior parte della stampa americana ha pasticciato la copertura delle elezioni del 2016 nel tentativo di aiutare le persone giuste. Fu poi promossa a capo dell’intera Associated Press. Più di recente Buzbee è diventata caporedattore del Washington Post, che è sprofondato in uno stato di abietta confusione ideologica durante l’attuale guerra di Israele con l’Iran e i suoi delegati, e che ha perso denaro e lettori (Buzbeesi è dimessa a giugno).
Non è che la fantasia ideologica non affligga anche le fonti affiliate alla destra: proprio la scorsa settimana Tucker Carlson ha presentato con entusiasmo al suo pubblico di massa uno ‘storico popolare’ più favorevole ai nazisti che agli alleati. Il mondo è sempre stato pieno di fantasia e cospirazioni, ma la stampa mainstream avrebbe dovuto essere il luogo in cui ci si orienta, per ottenere ciò che i giornalisti chiamano ‘la prima bozza della storia’, ovvero un resoconto di ciò che è accaduto come meglio compreso al momento in cui è stato raccontato. Gli attivisti che ora detengono il potere hanno in gran parte abbandonato quel ruolo, ma vogliono ancora rivendicarlo, aggiungendo l’attribuzione ‘gli esperti dicono’ alla propria ideologia e liquidando il dissenso come disinformazione. Ecco perché la trasformazione a cui ho assistito è importante. Quando ho iniziato a lavorare per la stampa americana nel 2006, qualcuno con le mie opinioni israeliane di centrosinistra avrebbe potuto essere qualcuno con cui non essere d’accordo, come un democratico conservatore o un repubblicano moderato. Nel 2024, qualcuno come me è un sospetto razzista che probabilmente non verrebbe assunto. Con alcune eccezioni, le istituzioni sono sprofondate nel mondo fantastico manicheo che hanno contribuito a creare. Mi ci sono voluti diversi anni all’Ap, e poi altri dopo che me ne sono andato, per comprendere il cambiamento e metterlo in parole. Ciò che era vero per la storia di Israele dieci anni fa, ora è vero per quasi tutto”.
(Traduzione di Giulio Meotti) Fonte: Il Foglio 23.09.2024
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