Questa coscienza della nostra impotenza, di cui parli anche tu, Renate, ha secondo me due facce: è inquietante, ma in qualche modo anche liberante. Finché noi stessi cerchiamo di contribuire a determinare il destino di un’altra persona, non possiamo mai liberarci, alla fin fine, dell’interrogativo se ciò che facciamo serva davvero al bene maggiore dell’altro; questo, in ogni caso, in occasione degli interventi più rilevanti nella vita di un altro; se poi improvvisamente ci viene tolta ogni possibilità di dare il nostro contributo personale, al di là della paura per l’altro c’è però in qualche modo la consapevolezza che ora la sua vita è posta in mani migliori e più forti. Affidarci reciprocamente a queste mani è il grosso impegno delle settimane e forse dei mesi a venire, per voi, per noi. Questo impegno mi è divenuto ancora più chiaro dopo che ieri sera sono venuto a sapere che tu, Eberhard, ti trovi da qualche parte a sud di Roma.
Reprimo tutte le domande che in proposito continuo a volermi porre. Per quanto in ciò che precede i fatti ci possano essere molti fallimenti, molti errori, molte colpe umane, nei fatti stessi c’è Dio. Se passeremo indenni attraverso le settimane e i mesi che verranno, riconosceremo poi con molta chiarezza che per noi era bene che le cose andassero proprio come sono andate. L’idea che molte difficoltà nella nostra vita avrebbero potuto essere evitate se avessimo vissuto meno coraggiosamente è davvero troppo stupida per poterla prendere sul serio anche un solo istante. Pensando al vostro passato, per me è talmente certo che quanto è accaduto finora era giusto, che anche il presente può essere soltanto tale. Rinunciare a gioie autentiche e a una vita piena per evitare la sofferenza non è sicuramente cristiano e nemmeno umano. Aspetto con molta ansia le tue prime notizie dal fronte, Eberhard. Ho la sensazione che tu veda le cose anche con i miei occhi, così come io vedo le cose di qui anche con i tuoi. Noi viviamo i nostri diversi destini in qualche misura anche in modo vicario (stellvertretend) l’uno per l’altro.
A ciò che scriverai da laggiù presterò fede senza riserve, cosa che forse vale reciprocamente anche per te per le mie lettere da qui; e soprattutto questo accadrà quando potremo finalmente di nuovo parlarci! Proprio ora è arrivata la notizia dello sbarco a Nettuno373. Magari ti trovi laggiù da qualche parte? Davanti a svolte come questa mi accorgo sempre che la imperturbabilità non fa parte della mia natura, ma che la devo sempre faticosamente riconquistare; del resto, essere imperturbabili per natura nella maggior parte dei casi è solo un’espressione eufemistica per indicare indifferenza e indolenza, e dunque non proprio qualcosa di molto rispettabile. – Recentemente ho letto in Lessing: «sono troppo orgoglioso per considerarmi sfortunato – digrigno i denti – e lascio che la barca vada dove vogliono il vento e le onde. È già tanto, che non voglia rovesciarla io stesso!». Questo orgoglio e questo digrignare i denti dovrebbero essere totalmente interdetti ed estranei ad un cristiano? magari a favore di una prematura, preventiva, tiepida imperturbabilità? La quale a sua volta è ancora qualcosa di diverso dall’assoggettarsi all’inevitabile, ostinato, insensibile, rigido, inerte e soprattutto spensierato? Credo che onoriamo meglio Dio se conosciamo, sfruttiamo e amiamo la vita che egli ci ha dato in tutti i suoi valori e perciò anche avvertiamo acutamente e con franchezza il dolore per quei valori della vita che sono stati compromessi o perduti – cosa che viene volentieri derisa come debolezza e delicatezza d’animo tipica dell’esistenza borghese –, piuttosto che restando insensibili ai valori della vita, in modo tale da poter essere insensibili anche nei confronti del dolore.
Ciò che dice Giobbe: «il Signore ha dato, ecc.» non esclude, ma al contrario include tutto questo, come risulta abbastanza chiaramente dal suo parlare digrignando i denti e dal suo giustificare Dio (42,7ss) davanti alla resa falsa, prematura, pia dei suoi amici. – Perdonami, Renate, se torno sempre di nuovo alla teologia. Sono frammenti di dialogo proprio inevitabili nelle lettere tra Eberhard e me.
Bonhoeffer, Dietrich. Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere . San Paolo Edizioni. Edizione del Kindle.
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