Il giorno del giudizio.
La folla si accalcava in Piazza della Signoria, tutti erano accorsi per vedere "il miracolo", come lo chiamavano. Era il 7 aprile 1498.
Una schiera di soldati proteggeva il percorso della prova del fuoco, i frati cantavano inni, i carboni furono accesi, tutti attendevano Domenico da Pescia che si esponeva, per conto di Savonarola, ad affrontare la prova per stabilire il giudizio di Dio sul predicatore fiorentino.
Un improvviso acquazzone spense il fuoco e rovesciò acqua e grandine sulla folla che, inzuppata, se ne tornò a casa delusa. Fu facile il giorno seguente per alcuni agitatori istigare il popolo e condurlo urlante a San Marco; Girolamo Savonarola si era ritirato per pregare e solo l'ingresso dei soldati interruppe il silenzio.
In questo modo il profeta fiorentino, dopo sedici anni di prediche dal pulpito di San Marco, fu arrestato e rinchiuso nella torre del palazzo della Signoria in attesa di essere giudicato. Giunsero da Roma gli inquisitori che con crudeli torture estorsero l'ammissione di colpa firmata per aver predicato dottrine eretiche.
Il 23 maggio Savonarola ed i suoi più stretti collaboratori, fra Domenico da Pescia e fra Silvestro, accusati di eresia furono impiccati e poi bruciati in quello stesso luogo dove sei settimane prima avrebbero dovuto affrontare "la prova del fuoco".
Savonarola e Firenze
Girolamo Savonarola era nato a Ferrara il 21 settembre 1452 in una famiglia di modeste origini, che si rivelarono discriminanti quando, a motivo della sua condizione sociale, si vide rifiutato da Laudomia, figlia illegittima di Roberto Strozzi.
La delusione amorosa ed il senso di colpevolezza per il desiderio fisico convinsero il giovane Girolamo ad entrare nel convento di San Domenico a Bologna per sfuggire alle allettanti tentazioni del mondo, come scrisse a suo padre.
Ben presto furono riconosciute le sue capacità; nel 1479 fu inviato a Ferrara per proseguire gli studi universitari e nel 1482 giunse a Firenze con l'incarico di lettore delle Scritture nel convento di San Marco.
La città dell'Arno, benché fosse definita repubblica, in realtà era governata da anni dagli amati-odiati Medici, il cui rappresentante, Lorenzo il Magnifico, mascherava un governo dispotico con un appariscente mecenatismo.
Le rivalità politiche tra le famiglie aspiranti al governo della città si intensificarono quando alla morte di Lorenzo gli successe il figlio Piero.
Il predicatore di profezie
Due anni dopo il suo arrivo a Firenze, Savonarola cominciò a predicare infuocati sermoni che:
· esortavano alla penitenza,
· denunciavano la necessità del rinnovamento della Chiesa e
· annunciavano l'imminenza di un flagello che si sarebbe abbattuto sull'Italia.
Il profetismo pessimistico del predicatore fiorentino tuonò anche in altre città italiane.
Per quasi dieci anni ammonì i suoi uditori a far penitenze e a ravvedersi denunciando la miserevole condizione morale della cristianità.
Il predicatore dei disperati
Intorno a lui si raccolsero i poveri, gli scontenti, gli uomini pii che attendevano una riforma morale dei costumi e soprattutto quelli che tentavano di rovesciare il governo mediceo.
Alla morte di Lorenzo il Magnifico, avvenuta l'8 aprile del 1492, suo figlio Piero assunse il governo della città ed ereditò tutta la gravità della crisi politica che stava per esplodere.
Nel novembre del 1494 i soldati di Carlo VIII, re di Francia, attraversarono l'Italia e giunsero alle porte di Firenze senza sguainare la spada.
Il flagello annunciato da Savonarola sembrava avverarsi, il novello Ciro profetizzato era pronto a conquistare la città; era giunto lo strumento del castigo divino.
Timori apocalittici pervasero la cittadinanza in quei giorni e il predicatore domenicano vedeva le sue profezie realizzate.
Il 25 novembre 1494 Savonarola si recò da Carlo VIII e lo convinse a ritirare le sue truppe, promettendo la fedeltà della città.
La nuova Gerusalemme
Forte del consenso ottenuto, Savonarola cominciò a predicare la gloria futura di Firenze; egli passò da un profetismo pessimistico a un profetismo ottimistico e millenarista.
Firenze sarebbe diventata la nuova Gerusalemme, la città egemone di una cristianità rinnovata.
Certo, quest'annuncio non dispiacque ai fiorentini, che nutrivano mire espansionistiche e che da sempre avevano atteso la realizzazione di una vera repubblica, sull'esempio del governo veneto.
Savonarola non fu mai un politico, ma esercitò la sua influenza sul Consiglio comunale, affinché il governo fiorentino divenisse una repubblica democratica o, meglio, teocratica.
La fine del sogno
Le tensioni politiche non furono facili da gestire; i problemi non erano solo interni, ma anche esterni, non era facile scegliere le alleanze giuste.
Il nuovo, e breve, governo fiorentino era filo-francese, ma non poteva trascurare i necessari rapporti con il vicino Stato pontificio, dove regnava l'immorale papa Alessandro VI Borgia, oggetto delle denunce savonaroliane.
Si sa, come scrisse il contemporaneo Machiavelli, che "il fine giustifica i mezzi" e che le belle profezie millenaristiche potevano essere sacrificate alla ragion di Stato.
Alessandro VI non gradiva di essere svergognato da un monaco visionario e chiedeva ai fiorentini, pena un'alleanza contro Firenze, di rendere efficace nella loro città la scomunica contro Savonarola.
Il Consiglio comunale stentava a prendere una decisione, perché il monaco godeva della più ampia credibilità anche fra le famiglie dell'oligarchia fiorentina. Ma urgeva una soluzione, la situazione diventava sempre più intollerabile; fu così che il predicatore francescano Francesco di Puglia sfidò Savonarola a dimostrare la validità delle sue profezie sottoponendosi alla prova del fuoco.
Domenico da Pescia subito si offrì come campione del monaco ferrarese; la maggior parte della cittadinanza, eccetto pochi indifferenti, sia i savonaroliani (Piagnoni) che i partigiani della fazione opposta (Arrabbiati), chiedevano che la prova fosse eseguita e tutti erano concordi che queste storie di frati e di partiti dovessero finire perché la vera vittima era Firenze.
Quale profezia?
Si è diverse volte tentato di inquadrare Savonarola tra i precursori della Riforma o comunque di presentano come un predicatore evangelico.
Ma chi fu in realtà Girolamo Savonarola?
La sua predicazione moralizzante e penitente non era l'unica né la sola: questa era una caratteristica dei predicatori medievali e altri monaci, con parole altrettanto infiammate, redarguivano i loro uditori.
L'ispirazione della sua profezia non era esclusivamente biblica, anche se, come lettore di San Marco, la Bibbia non gli era ignota.
Lui stesso confessava che la Scrittura non era il solo fondamento delle sue rivelazioni, perché si ispirava ai commentari dei Padri della Chiesa e a testi apocalittici.
Inoltre, se si dovesse dar credito alla tradizione che attribuisce a Savonarola la poesia "O anima accecata", alcuni versi di questa ci rivelano anche altre fonti;
"Astrologi e profeti, uomini dotti e santi, predicator discreti t'han, predetto i tuoi pianti ".
Anche se l'attribuzione è dibattuta tra Savonarola e Feo Belcari, il riferimento rimane alle profezie savonaroliane.
Non fa del tutto meraviglia l'influenza degli astrologi, data l'amicizia del domenicano con Giovanni Pico della Mirandola, filosofo, studioso di cabala ed appassionato di misteri, che esercitò la sua influenza su Lorenzo il Magnifico per far arrivare il profeta a Firenze.
Quale riforma?
Durante la sua presenza a Firenze Savonarola maturò la convinzione di essere stato inviato a predicare il necessario rinnovamento della Chiesa, la conversione del mondo e la gloria futura della città.
Questo programma fu chiaramente reso pubblico nelle predicazioni sull'Apocalisse del 1489, in cui parlò del rinnovamento attraverso un imminente flagello che avrebbe colpito tutta l'Italia.
Proseguì con questi toni predicando, dal 1491 al 1494 sulla Genesi. In questo contesto illustrò il castigo divino commentando le parole di Genesi 6:17 "l'acqua sopra la terra".
Savonarola non si oppose mai ai dogmi della Chiesa cattolica e non mise mai in discussione il primato e l'autorità del papa; definì Alessandro VI come l'anticristo, ma gli abusi di questo pontefice furono tanti e tali da sollevare non solo le denunce del profeta di Firenze.
Savonarola rimase legato ai riti ed alla disciplina cattolica e ancora sul patibolo si professò cattolico.
L'essenza della vera riforma della Chiesa poggiava, e ancor oggi poggia, sull'unica e insostituibile opera di Cristo, senza altre mediazioni.
La predicazione evangelica è l'annuncio della sola grazia di Dio che giustifica l'uomo per sola fede.
Fra Girolamo, come altre "voci nel deserto", invocava la convocazione di un Concilio per la riforma della Chiesa, che i papi si rifiutarono di convocare.
Egli fu un predicatore medievale, un riformista cattolico, che come altri non tacque di fronte ai palesi abusi della Chiesa del suo tempo e verso la dubbia moralità di quanti si professavano cristiani.
La sua fu una predicazione di rinnovamento morale, la riforma che egli chiedeva era soprattutto etica e civica.
Egli non pensò mai dimettersi al seguito di Wyclif o di Huss e tanto meno possiamo considerarlo precursore di Lutero.
www.ilcristiano.it - giugno 1998
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