La base della nostra salvezza, lo sappiamo bene, è il fatto della morte e della risurrezione del Signore, ma le condizioni del nostro servizio non sono meno precise. Nello stesso modo che il fatto della morte e della risurrezione del Signore è la base sulla quale noi siamo accetti a Dio, così anche il principio della morte e della risurrezione è la base della nostra vita e del nostro servizio per lui.
Il Signore ha dimostrato ciò ben chiaramente ai suoi discepoli, prima di lasciarli. Egli era morto e risuscitato, ed ora dice loro di attendere a Gerusalemme di essere rivestiti di potenza. Che cos'è questa potenza dello Spirito Santo, questa "potenza dall'alto" della quale Egli parlava? Non altro che la virtù della sua morte, della sua risurrezione e della sua ascensione; per adoperare un'altra figura, lo Spirito Santo è il vaso, dentro il quale sono depositati tutti i valori della morte, della risurrezione e della esaltazione del Signore affinché ci possano essere distribuiti. È lo Spirito che "contiene" questi valori e ne fa parte agli uomini.
Se guardiamo nell'Antico Testamento, vi troveremo lo stesso principio.
- La verga di mandorlo che germoglia parla di risurrezione. Sono la morte e la risurrezione che provano il ministero che Dio riconosce. Senza questo riconoscimento noi non abbiamo alcun valore.
- Il germogliare della verga di Aronne dimostrò che egli era nella giusta posizione; Dio riconoscerà come suoi servitori, soltanto quelli che sono giunti alla risurrezione attraverso la morte.
Ma, osservate: c'è ancora una grande differenza fra "la carne" di cui parla Romani 7 in relazione con la santità della vita, e l'azione delle energie naturali della vita dell'anima nel servizio del Signore. Ma quando avremo conosciuto quello di cui abbiamo parlato attraverso la nostra esperienza, resterà tuttavia un'altra sfera nella quale dovrà agire la morte del Signore, perché possiamo essergli utili nel suo servizio. Anche quando avremo fatto tutte queste esperienze, il Signore non potrà ancora contare su di noi finché queste altre opere non siano compiute in noi.
L'OPERA SOGGETTIVA DELLA CROCE
Consideriamo quattro passi degli Evangeli. Essi sono: "Non pensate ch'io sia venuto a metter pace sulla terra; non son venuto a metter pace, ma spada. Perché son venuto a dividere il figlio dal padre e la figlia dalla madre, e la nuora dalla suocera, e i nemici dell'uomo saranno quelli stessi di casa sua. Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; e chi ama figliuolo o figliuola più di me, non è degno di me; e chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà, e chi avrà perduto la sua vita per cagione di me, la troverà" (Matteo 10:34-39).
"E diceva queste cose apertamente. E Pietro, trattolo da parte, prese a rimproverarlo, ma Egli rivoltosi e guardati i suoi discepoli, rimproverò Pietro dicendo: Vattene via da me, Satana! Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini. E chiamata a sé la folla coi suoi discepoli, disse loro: se uno vuol venire dietro a me, rinunzi a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor di me e del Vangelo la salverà" (Marco 8:32-35).
"Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la sua vita la perderà. Ma chi la perderà la preserverà. Io ve lo dico: in quella notte due saranno in un letto, l'uno sarà preso, l'altro lasciato" (Luca 17:32-34).
"In verità, in verità io vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore produce molto frutto. Chi ama la sua vita, la perde; e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna. Se uno mi serve, mi segua; e là, dove son io, quivi sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l'onorerà" (Giovanni 12:24-26).
Questi quattro passi hanno un motivo comune. In ciascuno d'essi, il Signore parla dell'attività dell'anima umana e in ciascuno d'essi, mette in evidenza un aspetto od una manifestazione diversa della vita dell'anima. In questi versetti Egli dichiara molto chiaramente, che il problema dell'anima dell'uomo può essere risolto in un modo solo: quello di portare ogni giorno la nostra Croce per seguirlo.
Come abbiamo visto, la vita dell'anima o vita naturale, di cui si parla, è qualche cosa che va oltre quello che è detto nei passi che parlano del vecchio uomo o della carne. Abbiamo cercato di dimostrare chiaramente che, per quanto riguarda il nostro vecchio uomo, Dio sottolinea quello che Egli ha compiuto, una volta per tutte, crocifiggendoci col Cristo sulla Croce. Abbiamo visto che tre volte nell'epistola ai Galati il fatto della crocifissione è ricordato come una cosa compiuta; ed in Romani 6:6 ci è detto chiaramente che "il nostro vecchio uomo è stato crocifisso", ciò che, se il tempo del verbo ha un significato, potrebbe essere parafrasato in questo modo: "Il nostro vecchio uomo è stato, definitivamente e per sempre, crocifisso".
È un fatto compiuto che noi dobbiamo apprendere dalla rivelazione divina ed appropriarci, quindi, per fede.
Ma c'è un altro aspetto della Croce, quello indicato nell'espressione "portare ogni giorno la croce" che è ora davanti a noi. Io sono stato messo sulla Croce, ora la debbo portare; e "portare la croce" è un fatto interiore. Questo intendiamo quando parliamo dell'opera soggettiva della Croce. È continuo progredire; è seguire il nostro Signore passo, passo. È il fatto che ora abbiamo davanti, per ciò che concerne l'anima, e, come abbiamo detto, l'accento non è più lo stesso di quando si trattava dell'uomo vecchio. Non ci è parlato qui della "crocifissione dell'anima stessa", nel senso che i nostri doni e le nostre facoltà naturali, la nostra personalità e individualità debbano essere totalmente messe da parte. Se fosse così, non potrebbe esserci detto, come in Ebrei 10:39, che "dobbiamo aver fede per salvare l'anima" ed ancora: "Voi gioite di una allegrezza ineffabile e gloriosa, ottenendo il fine della fede: la salvezza dell'anima" (1 Pietro 1:9), oppure: "Con la vostra perseveranza guadagnerete le anime vostre" (Luca 21:19).
No, non è in questo senso che perdiamo le nostre anime, perché questo sarebbe perdere completamente la nostra esistenza individuale. L'anima è sempre lì con i suoi doni naturali, ma la Croce deve far passare questi doni naturali attraverso la morte; deve mettere su questi doni naturali il segno della morte del Cristo, per restituirceli in seguito, come piacerà a Dio, nella gloriosa risurrezione.
In questo senso, quando Paolo scrive ai Filippesi, egli esprime il desiderio di "conoscere Gesù Cristo, e la potenza della sua risurrezione, e la comunione delle sue sofferenze, essendo reso conforme a lui nella sua morte" (Filippesi 3:10). Il segno della morte è sempre sull'anima, per guidarla alla sottomissione dello Spirito, perché non affermi mai la propria indipendenza. Solo la Croce, operando così, ha potuto produrre un uomo della statura di Paolo, togliendo ogni valore alle sue risorse naturali (Filippesi 3), e alle sue proprie forze, così da fargli scrivere ai Corinzi: "Quando venni a voi non venni ad annunziarvi la testimonianza di Dio con eccellenza di parole o di sapienza; poiché mi proposi di non saper altro fra voi, fuorché Gesù Cristo e lui crocifisso. Ed io sono stato presso di voi con debolezza, con timore e con gran tremore, e la mia parola e la mia predicazione non hanno consistito in discorsi persuasivi di sapienza umana, ma in dimostrazione di spirito e di potenza, affinché la vostra fede fosse fondata non sulla sapienza degli uomini, ma sulla potenza di Dio" (1 Corinzi 2:1-5).
L'anima è la sede dei sentimenti e noi sappiamo bene quale influenza essi hanno sulle nostre decisioni ed azioni. Non c'è niente di deliberatamente malvagio in essi, intendiamoci, ma nondimeno - per esempio - fanno nascere in noi un'affezione naturale verso un'altra persona che, non regolata dallo Spirito, può avere un'influenza nefasta su tutta la nostra linea di condotta. Così, nel primo dei quattro passi che abbiamo trascritto, il Signore ci dice: "Colui che ama suo padre e sua madre più di me, non è degno di me; colui che ama suo figlio e sua figlia più di me, non è degno di me e colui che non prende la sua croce e non viene dietro di me, non è degno di me" (Matteo 10:37-37).
Osservate che il fatto di seguire il Signore sulla via della Croce, ci è mostrato come il solo vero cammino, la sola via sulla quale dobbiamo seguire il Signore. E che cosa segue immediatamente?
"Colui che conserva la sua anima, la perderà; e colui che perde la sua anima per causa mia, la troverà" (Matteo 10:39, tr. lett.; il testo greco ha sempre "psiche", cioè "anima" in luogo del termine "vita" che si trova nelle varie versioni della Bibbia).
C'è per noi, in quella suggestione sottile dei sentimenti, il segreto pericolo di deviare dal cammino di Dio; e la chiave di tutto è l'anima. La Croce deve agire in questo: io debbo "perdere" la mia anima, nel senso che il Signore attribuisce a queste parole, e che cercheremo di spiegare.
Alcuni di noi sanno bene cosa significa perdere la propria anima. Non possiamo più acconsentire leggermente ai suoi desideri; non possiamo più darle importanza, né soddisfarla: questa è la "perdita" dell'anima. Attraversiamo esperienze dolorose per arrivare a scoraggiare le sue esigenze. Tuttavia dobbiamo confessare, molto spesso, che non è un peccato ben definito che ci impedisce di seguire il Signore fino alla fine. Siamo ostacolati, qualche volta, da un amore segreto, da un affetto del tutto naturale, che ci fa deviare dal giusto cammino. Si, l'affezione naturale esercita una grande influenza sulla nostra vita, e la Croce deve penetrarla e compiervi la sua opera purificatrice.
Rileggiamo le parole che abbiamo citato del capitolo 8 di Marco. Credo che questo sia uno dei passi più importanti:
Il Signore aveva appena annunziato ai suoi discepoli, a Cesarea di Filippo, ch'Egli doveva andare a morire per mano degli anziani dei Giudei, e Pietro, spinto dal suo amore per il Maestro, si alzò a protestare dicendo: "Signore, non fare questo; abbi pietà di te; questo non ti avverrà mai!". L'amore per il Signore lo spinse a supplicarlo di risparmiare la sua vita; ed il Signore dovette riprenderlo, come avrebbe rimproverato Satana, perché non aveva il senso delle cose di Dio, ma di quelle degli uomini.
E quindi, alla moltitudine che si radunava intorno a lui, ripeté, ancora una volta, queste parole: "Se uno vuol venire dietro di me, rinunzi a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Poiché chi vorrà salvare la sua anima la perderà; ma chi perderà la sua anima per amor di me e del Vangelo la salverà" (Marco 8:34-35). (tr. lett.).
Tutta la questione è ancora una volta quella dell'anima, e qui, in modo particolare, essa mette in rilievo il suo desiderio di conservazione. C'è quel suggerimento sottile che dice: "Se mi fosse permesso di vivere farei qualunque cosa, sarei pronto a tutto; ma bisogna che io sia conservato in vita!". È come se l'anima gridasse, nella sua disperazione: "Andare alla Croce? Essere crocifisso? Ma questo è davvero troppo! Abbi pietà di te stesso; conservati! Pensi davvero che devi andare contro te stesso per camminare con Dio?". Qualcuno di noi sa bene che per camminare con Dio, è spesso necessario andare contro la voce dell'anima, della nostra o di quella degli altri, e lasciare che la Croce riduca al silenzio il suo istinto di conservazione.
Ho forse paura della volontà di Dio? La cara santa donna che ho già menzionato e che ha avuto una così grande influenza sul corso della mia vita, mi pose molte volte questa domanda: "Siete d'accordo con la volontà di Dio?". Questa è una domanda formidabile. Ella non mi domandava: "Fate la volontà di Dio?". Ma chiedeva sempre: "Vi piace la volontà di Dio?". Non conosco domanda che penetri più profondamente di questa.
Ricordo che un giorno ella aveva difficoltà con il Signore, riguardo ad una certa cosa. Sapeva quello che il Signore le domandava, e nel suo intimo desiderava ubbidire; ma le era difficile, e la sentii pregare così: "Signore, ti confesso che quello che mi chiedi non mi piace, ma non badare al mio gusto. Aspetta solo un poco, Signore, e sarò io che accetterò quello che ti piace".
Ella non voleva che il Signore fosse condiscendente verso di lei ed accordasse le proprie esigenze col suo gusto. Ella desiderava soltanto di fare la volontà di Dio. Molte volte occorre che noi giungiamo al punto di abbandonare al Signore cose che riteniamo buone e preziose, sì, forse le cose stesse di Dio, affinché la sua volontà si compia. La preoccupazione che Pietro aveva per il suo Signore era dettata dal suo amore naturale per lui. Forse pensiamo che Pietro, per il grande affetto che nutriva per il suo Signore, poteva permettersi di rimproverarlo. Soltanto un grande amore può spingere qualcuno ad osare tanto. Sì, crediamo di comprendere Pietro; ma se avremo lo spirito puro, libero da quell'insieme di sentimenti dell'anima, non cadremo nell'errore di Pietro; riconosceremo più prontamente dove si manifesti la volontà di Dio, e troveremo in essa ed in essa soltanto, la gioia vera del nostro cuore.
Il Signore parla ancora del problema dell'anima al capitolo 17 di Luca, e questa volta in relazione col suo ritorno. Parlando del "giorno in cui il Figlio dell'uomo sarà manifestato", Egli stabilisce un parallelo fra quel giorno e " il giorno che Lot uscì da Sodoma " (vers. 29-30). Poco dopo parla del " rapimento dei santi " con queste parole, ripetute due volte: "L'uno sarà preso, l'altro lasciato" (vers. 34-35). Ma, fra la sua citazione della chiamata di Lot fuori da Sodoma e quest'allusione alla riunione dei santi attorno a lui, il Signore pronunzia queste parole incisive: "In quel giorno, chi sarà sulla terrazza ed avrà la sua roba in casa, non scenda a prenderla; e parimente chi sarà nei campi non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot!" (Versetto 31-32).
Ricordatevi della moglie di Lot! Perché? Perché: "chi cercherà di salvare la sua anima, la perderà; ma chi la perderà, la salverà" . Se non erro, questo è il solo passo del Nuovo Testamento, che ci parla della nostra risposta alla chiamata del rapimento. Forse abbiamo pensato che quando il Figlio dell'uomo verrà, saremo riuniti intorno a lui automaticamente, per così dire, perché abbiamo letto in 1. Corinzi 15 :51-52: " Tutti saremo mutati in un momento, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba... ". Ora, in qualunque modo possiamo conciliare questi due passi, quello di Luca dovrebbe almeno farci fermare a riflettere; perché sottolinea con forza il fatto che l'uno sarà preso e l'altro lasciato. Si tratta della reazione che avremo, quando verrà la chiamata a partire, ed è su questo punto che siamo esortati in modo così pressante ad essere pronti (confr. Matteo 24:42): "Vegliate, dunque, perché non sapete in qual giorno il vostro Signore sia per venire".
C'è, di sicuro, una ragione per questo. È chiaro che questo appello non produrrà in noi, all'ultimo momento, un cambiamento miracoloso senza relazione col fatto che abbiamo o meno nella nostra vita camminato col Signore. No, in quel momento conosceremo quale sarà stato il vero tesoro del nostro cuore. Se sarà stato il Signore, non ci volteremo a guardare indietro. Uno sguardo rivolto indietro deciderà di tutto. È più facile attaccarsi maggiormente ai doni di Dio che al Donatore stesso; e, aggiungerei, all'opera di Dio che a Dio stesso.
Lasciate che vi faccia un esempio. In questo momento (1938, N.d.T.), sto scrivendo un libro. Ho terminato i primi otto capitoli e me ne rimangono da scrivere altri nove, per i quali mi sento seriamente impegnato davanti al Signore. Ma se l'appello: "sali più in su" risuonasse e la mia risposta fosse: "E che sarà del mio libro?" potrei benissimo sentirmi dire: " Va bene, resta lì a terminarlo!". Le cose preziose che facciamo giù "nella casa" possono essere sufficienti per trattenerci in basso, come un chiodo che ci fissa alla terra.
È sempre questione di vivere con l'anima o con lo Spirito.
Qui, nel passo di Luca, la vita dell'anima ci è dipinta come essendo impegnata nelle cose della terra - e, badiamo bene - cose che in sé non nuocciono. Il Signore menziona attività perfettamente legittime - sposarsi, piantare; mangiare, vendere - nelle quali non c'è niente di essenzialmente cattivo. Ma c'è il fatto di esserne preoccupati al punto di attaccarvi il nostro cuore, e questo basta per trattenerci in basso. Il mezzo per sfuggire a questo pericolo, consiste nel perdere la propria anima. Questo è meravigliosamente illustrato nell'atto che Pietro compì quando riconobbe il Signore risuscitato, sulla riva del lago. Benché, con gli altri discepoli, fosse ritornato momentaneamente alle sue occupazioni di prima, non pensava più alla barca né alle reti riempite così miracolosamente di pesci.
Quando udì il grido di Giovanni: "È il Signore!" ... leggiamo che: "si gettò nell'acqua" per andare a Gesù. Questo è il vero distacco. La domanda è sempre la stessa: "Dov'è il mio cuore?". La Croce deve produrre in noi un vero distacco spirituale da tutte le cose e da tutte le persone che non siano il Signore stesso.
Ma, anche con tutto questo, abbiamo finora esaminato soltanto gli aspetti più esteriori dell'attività dell'anima. L'anima che lascia le redini ai suoi sentimenti, l'anima che afferma sé stessa cercando di agire sulle cose, l'anima che si preoccupa delle cose della terra; queste sono piccole cose che non toccano ancora il vero centro della questione. C'è qualche cosa di più profondo ancora che cercherò adesso di spiegare.
LA CROCE E L'ABBONDANZA DI FRUTTI
Leggiamo di nuovo Giovanni 12:24-25: "In verità in verità io vi dico che, se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore produce molto frutto. Chi ama la sua vita, la perde; e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna". Abbiamo qui, l'opera interiore della Croce, di cui abbiamo già parlato - la perdita dell'anima, legata e paragonata con quell'aspetto della morte del Signore Gesù che abbiamo già visto raffigurato nel granello di frumento, cioè la sua morte in vista dell'accrescimento. Lo scopo prospettato è il frutto, molto frutto.
C'è un granello di frumento che contiene la vita, e nondimeno rimane solo. Ha il potere di trasmettere la sua vita ad altri, ma per far questo dovrà scendere nella morte. Conosciamo così il cammino seguito dal Signore Gesù. È entrato nella morte, e, come abbiamo già visto, la sua vita è risorta in molte altre vite. Il Figlio è morto, ed è risuscitato come il primogenito di "molti figli". Egli ha lasciato la sua vita perché noi potessimo riceverla. È in questo aspetto della sua morte che noi siamo chiamati a morire. È qui che Egli ci mostra chiaramente il valore della nostra conformità con la sua morte, per mezzo della quale noi perdiamo la nostra vita naturale affinché, per la potenza della sua risurrezione, possiamo diventare sorgenti di vita mostrando agli altri la nuova vita di Dio che è in noi.
È questo il segreto del ministero, il cammino per giungere veramente a rendere frutto abbondante per il Signore. Come dice Paolo: "Noi che viviamo siamo sempre esposti alla morte per amor di Gesù, onde anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale. Talché la morte opera in noi, ma la vita in voi" (2° Cor. 4: 11-12).
Arriviamo al cuore del problema. In noi che abbiamo ricevuto il Cristo, esiste una vita nuova. Abbiamo tutti questo bene prezioso, questo tesoro in vasi di terra. Dio sia lodato per la realtà della sua vita in noi! Ma perché questa vita ha una così misera espressione? Perché ci accade di " rimaner soli "? Perché questa vita non straripa per comunicarsi ad altri? Perché è così poco apparente, anche nelle nostre singole vite? La ragione per la quale ci sono così pochi segni di questa vita, quantunque essa sia presente in noi, è che la nostra anima avvolge e limita questa vita (come la pula avvolge il granello di frumento) in modo ch'essa non può manifestarsi. Noi viviamo della nostra vita; lavoriamo e serviamo con le nostre proprie risorse naturali; noi non viviamo di Dio. È l'anima che impedisce l'esplosione della vita. Perdiamola; rinunciamo ad essa: questo è il cammino della pienezza.
UNA NOTTE BUIA - UN MATTINO DI RISURREZIONE
Ritorniamo così al ramo di mandorlo che fu messo per una notte dentro il santuario, - in una notte buia, nella quale non si poteva veder nulla - ed ecco che al mattino aveva germogliato. Abbiamo qui la figura della morte e della risurrezione, della vita offerta e della vita ricevuta. Così il ministero è manifestato. Ma, come avviene ciò praticamente? Come posso riconoscere che Iddio agisce in me in questo modo?
Occorre, innanzi tutto, avere ben chiaro un punto importante: l'anima con le sue riserve di energie e di risorse naturali, continuerà in noi fino alla morte. Fino a quel momento occorrerà che la croce operi in noi senza soste, giorno per giorno, per assorbire profondamente questa sorgente naturale. Questa è la condizione permanente di servizio esposta da Gesù con queste parole: "Se uno vuol venire dietro a me, rinunzi a sé stesso, prenda la sua croce, e mi segua" (Marco 8:34). Noi non possiamo mai sottrarci a questa condizione, perché colui che lo fa "non è degno di me" (Matteo 10:38), "non può essere mio discepolo" (Luca 14:27).
La morte e la risurrezione devono rimanere costantemente in noi come la causa della perdita dell'anima e dell'affermazione dello Spirito di Dio. Eppure anche qui può esserci una crisi, che una volta esperimentata e superata è in grado di trasformare tutta la nostra vita e la nostra maniera di servire il Signore. C'è una porta stretta attraverso la quale possiamo entrare in un cammino del tutto nuovo. Giacobbe attraversò una simile crisi a Peniel. Era "l'uomo naturale" in Giacobbe che cercava di raggiungere il fine di Dio. Giacobbe sapeva bene che Iddio aveva detto: "il maggiore servirà il minore" (Genesi 25:23), eppure si sforzava di realizzare quel disegno con la propria intelligenza e le proprie risorse naturali. Iddio dovette paralizzare in Giacobbe le forze naturali e lo fece quando toccò il nervo della sua coscia. Giacobbe in seguito continuò a camminare, ma camminò zoppicando. Diventò un Giacobbe diverso, come indica il cambiamento del suo nome. Egli aveva conservato le sue gambe e poteva servirsene, ma la loro forza era stata intaccata, ed egli dovette continuare a zoppicare, a causa di una lesione dalla quale non poté mai guarire completamente. Iddio deve portarci ad un punto - non posso dirvi come, ma so che lo farà - dove, attraverso un' esperienza buia e profonda, la nostra forza naturale sarà intaccata e indebolita in modo definitivo, così che non oseremo più avere fiducia in noi stessi. Con alcuni di noi ha dovuto agire in modo molto strano e farci passare in cammini difficili e dolorosi, per condurci a quella condizione. Arriviamo, infine, ad un momento in cui non ci piace più fare un'opera cristiana, in cui quasi abbiamo paura di fare qualche cosa nel nome del Signore. Ma è proprio allora che, finalmente, Iddio può incominciare a servirsi di noi.
Posso dirvi che per un anno, dopo la mia conversione, avevo la passione di predicare. Mi era impossibile restare in silenzio. Era come se una forza interiore mi spingesse avanti ed io dovevo obbedire.
Predicare diventò la mia vera vita. II Signore può, nella sua grazia, permetterci di continuare così per un tempo indeterminato, ricevendo anche una certa misura di benedizioni, finché non viene il giorno in cui l'energia naturale che vi spinge è menomata, e da allora, voi non lavorate più perché vi piace, ma perché il Signore lo vuole. Prima di questa esperienza, voi predicate a causa della soddisfazione che trovate nel servire il Signore in quella forma; eppure talvolta il Signore non poteva spingervi a fare una cosa che Egli desiderava fosse fatta. Agivate secondo i vostri impulsi naturali, che sono molto mutevoli perché dipendono dal vostro temperamento. Quando le vostre emozioni vi spingono sulla via del Signore, voi procedete con tutte le vostre forze nella sua opera; ma, se i vostri sentimenti vi spingono da un'altra parte, siete riluttanti a proseguire anche se il dovere vi chiama.
Non siete arrendevoli nelle mani del Signore. Egli deve, dunque, indebolire in voi queste tendenze preferenziali, basate sul piacere o sul dispiacere, fino a che voi facciate una cosa perché Egli lo vuole e non perché vi piace. Vi piaccia o non vi piaccia, lo farete egualmente. Anche se non troverete soddisfazione nel predicare o nel fare questa o quell'opera per il Signore, la compirete. La compirete ora esclusivamente perché è la volontà di Dio, senza badare se vi darà gioia o no. La vera gioia che provate nel compiere la sua volontà, è più profonda delle nostre volubili emozioni.
Iddio vi conduce al punto in cui Egli non abbia più che da esprimere un desiderio perché voi gli rispondiate immediatamente.
Questo è l'atteggiamento del Servitore, di cui parla il Salmo 40, ai versetti 7 e 8: "Io ho detto: eccomi, vengo! Sta scritto di me nel rotolo del libro: Dio mio, io prendo piacere nel fare la tua volontà, e la tua legge è dentro al mio cuore". Ma un simile spirito non viene naturalmente in nessuno di noi. Si manifesta solo quando la nostra anima, che è la sede delle nostre energie, della nostra volontà e dei nostri sentimenti naturali, sarà stata attratta dalla Croce sotto la legge del Signore.
Egli desidera trovare in noi questa disposizione al servizio. Il cammino per giungere ad essa può essere lungo o ci si può arrivare in un lampo: Iddio ha le sue vie e noi le dobbiamo rispettare.
Tutti i veri servitori di Dio debbono conoscere, ad un dato momento, questa debolezza senza rimedio, per la quale non saranno mai più quelli di prima. Bisogna che si stabilisca in voi quel sentimento per il quale, da allora in poi, avrete davvero paura di voi stessi. Avrete paura di agire secondo gli impulsi della vostra anima, perché saprete quali rimorsi proverete davanti a Dio, nel vostro cuore, se farete così.
Avete fatto l'esperienza di avere su di voi la mano di Dio d'amore che vi corregge, del Dio che "vi tratta come figliuoli" (Ebrei 12:7). II suo Spirito stesso rende testimonianza nel vostro spirito di questo legame di figliolanza, come dell'eredità e della gloria che sono nostre "se soffriamo con lui " (Romani 8:16-17), e la risposta del nostro spirito al Padre, è: "Abba, Padre".
Ma, quando queste esperienze sono realmente state vissute da voi, vi trovate su una base nuova che chiamiamo "base di risurrezione".
Può darsi che la morte abbia prodotto una crisi nella vostra vita naturale, ma quando l'avrete superata, comprenderete che Dio vi ha liberati con la risurrezione e che quello che avevate perduto, vi è. restituito, sebbene in una natura diversa. Il principio della vita è all'opera adesso in voi, come qualcosa che vi guida, vi dà forza, vi riempie di una vita nuova e divina. D'ora in poi quello che avete perduto vi sarà reso, ma rivestito di una nuova forza, perché posto, oramai, sotto il controllo dei cieli.
Lasciate che vi esponga di nuovo tutto questo nella maniera più chiara. Se vogliamo essere uomini e donne spirituali, non abbiamo bisogno di tagliarci le mani od i piedi: possiamo ancora conservare intatto il nostro corpo. Allo stesso modo possiamo conservare la nostra anima, con l'uso pieno delle sue facoltà; ma essa non è più, ora, l'ispiratrice , della nostra vita. Non viviamo più in essa traendone la nostra ragione di vita. L'adoperiamo soltanto.
Se il corpo diventa la base della nostra vita, viviamo come bestie. Se L'anima diventa la base della nostra vita, viviamo come ribelli e fuggiaschi davanti a Dio - intelligenti, colti, saggi senza alcun dubbio, ma estranei alla vita di Dio. - Ma quando arriviamo a vivere la nostra vita nello Spirito e per lo Spirito, benché usiamo ancora le facoltà della nostra anima, come adoperiamo le nostre forze fisiche, esse sono ormai al servizio dello Spirito; e quando siamo in queste condizioni, Iddio può adoperarci con efficacia.
La difficoltà per molti di noi, è quella notte buia. Il Signore, nella sua grazia, mi ha messo in disparte, una volta nella mia vita, per molti mesi, e mi ha lasciato, spiritualmente, in un'oscurità assoluta. È stato quasi come se mi avesse abbandonato, come se tutto fosse finito. E poi, poco a poco, mi ha reso quello che sembrava fosse sparito. Noi abbiamo sempre la tentazione di voler aiutare Dio, col riprendere le cose da noi stessi, ma ricordiamoci che occorre trascorrere una notte intera nel santuario, un'intera notte nell'oscurità. Nessuno può affrettarne la fine; Dio sa quello che fa.
Vorremmo vivere la morte e la risurrezione nello spazio di un'ora. Indietreggiamo di fronte al pensiero che Dio possa metterci in disparte per un tempo tanto lungo; non possiamo sopportare l'attesa. Ed io non posso dire quanto tempo passerà, ma penso che si possa essere sicuri che ci sarà un periodo ben definito nel quale Egli vi terrà così. Vi sembrerà che nulla avvenga, che tutto quello che apprezzate vi sfugga di mano. Avrete l'impressione di essere dietro un muro senza uscita. Vi sembrerà che tutti gli altri siano benedetti e attivi, e che voi siate stati oltrepassati e dimenticati. State tranquilli. Tutto è nelle tenebre, ma solo per una notte. Dev'essere una notte intera, ma questo è tutto. Vedrete poi che tutto vi sarà reso in una gloriosa risurrezione, e nulla potrà misurare la differenza fra quello che era prima e quello che sarà dopo.
Mi trovavo, una sera, a cena con un giovane fratello al quale il Signore aveva parlato di questo problema della nostra energia naturale. Egli mi disse: "Quale esperienza benedetta sapere che il Signore vi ha incontrato e vi ha toccato in quella maniera decisiva, e sapere che, dopo quell'incontro, le nostre forze se ne sono andate".
C'era davanti a noi, sulla tavola, un piatto di biscotti; io ne presi uno e lo spezzai in due come per mangiarlo. Poi, congiungendo insieme i due pezzi con cura, gli dissi: "Sembra di nuovo come prima, ma invece, non sarà più lo stesso, non è vero? Quando la vostra forza è spezzata, non vi resta che abbandonarvi sempre più al minimo tocco di Dio".
È così. Il Signore sa quello che fa con i suoi, e non resta nessun aspetto della nostra vita al quale Egli non provveda con la sua Croce, affinché la gloria del Figlio sia manifestata nei figli. I discepoli che hanno percorso questa via, possono fare pienamente eco alle parole dell'Apostolo Paolo, che poteva dire d'aver servito il Signore "nello spirito mio, annunziando l'Evangelo del suo Figliuolo" (Romani 1:9).
Essi hanno imparato, come lui, il segreto di un tale ministero: "Noi... offriamo il nostro culto per mezzo dello Spirito di Dio, ci gloriamo in Cristo Gesù, e non ci confidiamo nella carne" (Filippesi 3:3).
Pochi possono aver avuto una vita più attiva di quella dell'apostolo Paolo. Nella sua lettera ai Romani, egli ricorda d'aver predicato l'Evangelo da Gerusalemme fino all'Illiria (Romani 15:19), ed afferma di essere pronto ad andare fino a Roma (1:10), e di là, se possibile, in Spagna (15:24-28).
Eppure, in questo servizio che abbraccia l'intero mondo mediterraneo, il suo cuore è fissato sopra un solo obiettivo: l'esaltazione di Colui che l'ha reso possibile. "Io ho dunque di che gloriarmi in Cristo Gesù, per quel che concerne le cose di Dio; perché io non ardirei dir cosa che il Cristo non abbia operata per mio mezzo, in vista dell'ubbidienza dei Gentili, in parola e in opera" (Romani 15:17-18). Questo è servizio spirituale.
Piaccia al Signore di fare di ciascuno di noi, così profondamente come lo era Paolo, "uno schiavo di Gesù Cristo".
"Non più io... ma Cristo"
di Watchman Nee
(Capitolo 13 di questo libro)
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