Dopo tre anni di esitazioni, la Commissione europea ieri ha ceduto alla lobby anti Israele e ai boicottatori anti-semiti adottando una "nota interpretativa" per imporre l'etichettatura di alcuni prodotti importati nell'Unione europea dagli insediamenti israeliani. Da oggi il "made in Israel" non potrà più essere usato per i prodotti agricoli e i cosmetici che vengono da fuori i confini del 1967: i coltivatori e gli industriali israeliani che operano in Cisgiordania dovranno appiccicare la dicitura "insediamenti" sulle merci vendute nell'Ue. Se non lo faranno, toccherà a supermercati o negozi europei farlo, quando la Commissione ha sufficienti informazioni sulla provenienza.
L'esecutivo comunitario si è difeso spiegando che si tratta di una questione "tecnica". Ma la mossa ha un profondo significato politico in un'Ue sempre più tentata dalla politica unilaterale del riconoscimento della Palestina. Il premier israeliano Netanyahu ha detto che l'Ue dovrebbe "vergognarsi" per la "discriminazione" che punisce "la parte che è sotto attacco del terrorismo". Il Marocco non è costretto a etichettare il pesce "Sahara occidentale". Il "made in Taiwan" non è stato cancellato dalla politica di "una sola Cina". Le merci di Cipro nord, occupata dalla Turchia, sono una questione interna per l'Ue. Paradossalmente, le vittime collaterali rischiano di essere i palestinesi. La decisione riguarda uva, datteri, vino, miele, olio d'oliva e cosmetici per un valore di 50 milioni di dollari: una goccia nel mare dei 30 miliardi di dollari di scambi tra Israele e l'Ue, ma una fonte di reddito significativa per i palestinesi che lavorano nelle aziende agricole della Cisgiordania.
(Il Foglio, 11 novembre 2015)
L'Ue boicotta gli ebrei, ma colpisce i palestinesi
Bruxelles impone di segnalare i prodotti importati dalle colonie ebraiche (dove lavorano molti arabi). Per criminalizzare gli israeliani
di Carlo Panella
L'Europa apre le porte al boicottaggio delle merci di Israele, richiesta dissennata di alcuni movimenti filo-palestinesi dalle conseguenze nefaste, incluso l'incremento dell'antisemitismo. Boicottaggio approvato da un Abu Mazen che non riesce a trovare l'accordo con Hamas, che quindi si presenta alle trattative con Israele con la prospettiva di consegnare il futuro Stato Palestinese a chi intende usarlo solo per lanciare missili e che ha scelto la strada dei «gesti dimostrativi» che mai porteranno ad una pace. Naturalmente, l'Europa non ha il coraggio delle proprie azioni e maschera la decisione di impone l'etichetta «made in Cisgiordania», sui prodotti lavorati nei Territori, al posto del «made in Israel» come scelta «puramente tecnica». Ma che sia una scelta politica e discriminatoria, risalta inequivocabilmente: questa nuova etichettatura riguarda solo Israele e i prodotti dei Territori.
Due pesi e due misure
Non riguarda ad esempio i prodotti che la Turchia esporta nell'Ue e che provengono da Cipro Nord, che la Ue non riconosce, la cui esistenza è garantita da un corpo militare della Turchia, la cui sovranità è rivendicata dalla Repubblica di Cipro, membro della Ue.
Durissime le reazioni di Israele, che ha sospeso i rapporti con la Ue su temi politici e dei diritti umani, così formulate dalla ambasciata di Roma, ricalcando le parole del premier Netanyahu: «Ci dispiace che l'Ue abbia scelto, per ragioni politiche, di fare un passo così eccezionale e discriminatorio, ispirato dal movimento di boicottaggio, soprattutto in questo momento in cui Israele sta affrontando un'ondata di terrorismo ovunque e contro tutti i suoi cittadini. È sconcertante e persino irritante che l'Unione europea decida di applicare un doppio standard per quanto riguarda Israele, ignorando che ci sono più di 200 altre dispute territoriali in tutto il mondo, comprese quelle che si verificano all'interno dell'Ue o alle sue porte».
È così: il provvedimento discriminatorio dell'Ue, spudoratamente, riguarda e colpisce solo Israele, là dove, per fare un esempio, nessuno si è mai sognato di pretendere l'etichettatura «made in Tibet» per i prodotti provenienti da quella regione occupata dalla Cina (che li etichetta «made in China») e men che meno di pretendere l'etichetta «made in Kashmir» per i tessuti che l'India esporta in Europa con l'etichetta «made in India».
La valenza tutta politica, la sciagurata sbandata filo-palestinese, che intralcia e non aiuta le trattative ira Netanyhau e Abu Mazen, è ancora più evidente se si guarda alla entità del fenomeno, che riguarda circa un quinto della produzione delle colonie israeliane nei Territori, stimato intorno ai 200-300 milioni di dollari all'anno; solo 1'1%, rispetto ai circa 30 miliardi annuali di esportazioni di beni e servizi da Israele verso l'Ue.
Le vere vittime
Ma non basta: a pagare il costo della diminuzione delle esportazioni (a causa delle campagne di boicottaggio di questi prodotti, così facilitate) saranno le migliaia di lavoratori palestinesi impiegati nelle aziende israeliane, le uniche che hanno investito nella industrializzazione della Palestina. Vergognosa - e da citare perla sua ipocrisia - la risposta del vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis alle critiche del governo israeliano: «Con il via libera all'etichettatura su alcuni prodotti realizzati negli insediamenti israeliani nei territori occupati la Commissione europea non sostiene in alcun modo il boicottaggio e le sanzioni nei confronti di Israele. La misura approvata è una parte essenziale della legislazione perla protezione dei consumatori; è una questione tecnica e non politica, chiesta da alcuni Stati membri».
Un particolare illustra poi la demenza burocratica della Ue: il provvedimento non riguarda il vino prodotto in Israele, ma con uvaggi provenienti dal Golan occupato. Si colpisce la produzione, non la provenienza della materia prima! Sta di fatto che, grazie all'Ue, la campagna per il boicottaggio di tutti i prodotti israeliani prenderà quota. E migliaia di lavoratori palestinesi perderanno il lavoro.
(Libero, 12 novembre 2015)
La rabbia di Israele per le etichette. Netanyahu: "Una decisione vergognosa dell'Ue"
Il ministro della Giustizia Ayelet Shaked tuona contro Bruxelles: «Un chiaro approccio anti ebraico. Avvieremo azioni legali».
di Maurizio Molinari
GERUSALEMME - «Una decisione carica di odio contro Israele e gli ebrei, che allontana la pace con i palestinesi»: il governo di Gerusalemme tuona contro la decisione dell'Unione Europea di differenziare nelle etichette i prodotti provenienti da Cisgiordania e Golan, minacciando «azioni legali» per bloccarla.
È il ministro della Giustizia, Ayelet Shaked, a reagire al passo di Bruxelles definendolo «frutto di un'ipocrisia europea che ha superato ogni limite» perché "nulla del genere è stato mai fatto nei confronti di prodotti provenienti da Cipro Nord o dal Sahara Occidentale che l'Europa considera anch'essi occupati". Tale differenza di comportamento «tradisce un approccio anti-Israele ed antiebraico» che ha portato il ministero degli Esteri a convocare il rappresentante dell'Ue in Israele per esprimere «la più dura delle proteste». Shaked afferma che «stiamo valutando passo legali nei confronti dell'Ue» per bloccare il provvedimento, destinato «ad ostacolare il negoziato con l'Autorità palestinese perché la spinge ad avere posizioni estreme».
Netta anche la condanna del premier Benyamin Netanyahu: «La Ue deve vergognarsi. Una decisione ipocrita e che rivela un doppio atteggiamento: si applica - ha spiegato - solo a Israele e non ad 200 conflitti nel mondo».
(La Stampa, 11 novembre 2015)
Naor Gilon: "Sulle etichette nuovo atto europeo contro il processo di pace"
È durissimo il commento di Naor Gilon, ambasciatore israeliano a Roma, sull'approvazione da parte dell'Unione europea dell'etichettatura dei prodotti provenienti da insediamenti israeliani. Una decisione che il governo israeliano considera un "vergognoso boicottaggio".
«È una vergogna - afferma l'ambasciatore Gilon in un intervento esclusivo su HuffPost - che l'Europa decida di etichettare prodotti israeliani provenienti da Giudea e Samaria (Cisgiordania). È una vergogna che l'Europa discrimini consapevolmente lo Stato d'Israele per via di una disputa territoriale con i palestinesi, mentre sceglie di ignorare, altrettanto consapevolmente, altri circa 200 conflitti territoriali nel mondo [...]». |
La 'guerra delle etichette' è scoppiata oggi, dopo l'approvazione di una "nota interpretativa" alle linee guida pubblicate ad aprile 2013 per l'etichettatura dei prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati dal 1967. La nota era stata sollecitata ad aprile da 16 governi Ue, compresa l'Italia. Per questi prodotti, è prevista l'indicazione di provenienza 'da insediamenti'.
Secondo l'ambasciatore israeliano a Roma, "è una vergogna che, nell'era della democrazia in ritirata, di organizzazioni e regimi totalitari o fanatici in Medio Oriente, l'Europa democratica scelga di etichettare e colpire proprio Israele, unica roccaforte democratica in Medio Oriente, che con essa condivide valori comuni e garantiti anche di fronte a sfide senza precedenti riguardanti sicurezza".
Continua Gilon:
«È una vergogna che l'Europa agisca con ipocrisia, motivando le proprie decisioni con pretesti di carattere "giuridico", mentre le reali intenzioni sono politiche: stigmatizzare Israele, dando di fatto manforte agli appelli al boicottaggio dello Stato degli ebrei. È una vergogna che l'UE si renda in tal modo complice delle organizzazioni BDS, le quali non riconoscono l'esistenza di Israele, si oppongono alla soluzione dei due stati, e il cui unico obiettivo è la delegittimazione di Israele. È una vergogna che dopo 70 anni l'Europa ricorra a metodi di "marcatura" per distinguere fra negozio e negozio, prodotto e prodotto, persona e persona». |
L'ambasciatore israeliano definisce la decisione dell'Europa "una follia che mina di fatto il processo di pace fra Israele e palestinesi, poiché essa tenta di imporre delle soluzioni a Israele, in contrasto con i principi fondamentali dello stesso processo di pace, fissati con gli Accordi di Oslo, e in base ai quali ogni questione deve essere risolta mediante negoziati diretti fra le parti. Proprio passi come questo dell'UE hanno fatto sì che l'ANP si sia rifiutata di sedere con Israele al tavolo dei negoziati negli ultimi anni", prosegue Gilon.
Secondo l'ambasciatore, la decisione dell'Europa colpisce prima di tutto i lavoratori palestinesi, "che costituiscono la stragrande maggioranza delle persone che vivono di quel lavoro e di quelle industrie". In ballo, per Gilon, c'è anche "quel poco che resta della credibilità dell'Europa agli occhi degli israeliani". Una credibilità che, secondo il diplomatico israeliano, rischia di rasentare lo zero:
«È una follia che l'Europa distrugga ciò che resta della sua credibilità agli occhi dei cittadini dello Stato d'Israele, rendendosi ancor meno rilevante ai fini di qualsiasi influenza sul processo di pace fra Israele e palestinesi. Difficile stabilire se il processo di etichettatura europeo sia più una vergogna oppure una follia, ma certamente esso, più che segnare prodotti israeliani, segna una perdita di pudore e di buon senso in Europa». |
(L'Huffington Post, 11 novembre 2015)
L’etichettatura dei prodotti israeliani non è sabotaggio, ma semplice “misura tecnica”, dicono i parlamentari europei. Certo, gli ordini procedurali vanno rispettati. Rigorosamente. E’ una questione di serietà. Lo dicevano anche i nazisti al processo di Norimberga: “Ho solo ubbidito agli ordini”. M.C.
Israele sospende dialoghi con l'Unione Europea
Israele ha deciso di "sospendere alcuni dialoghi diplomatici" con l'UE dopo la mossa di Bruxelles sulle etichettature dei prodotti degli insediamenti nel Golan e in Cisgiordania. Secondo la tv Canale 10, la sospensione riguarda temporaneamente "temi politici e i diritti umani". La viceministra degli Esteri, Hotovely: "Agli europei preme essere coinvolti nel conflitto israelo-palestinese e tenere con noi un dialogo in merito. Ma, alla luce dei loro comportamenti, abbiamo deciso di sospendere i colloqui".
(RaiNews, 11 novembre 2015)
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