In campo evangelico, bisogna ammetterlo, c’è spesso molta ritrosia nei confronti delle “opere buone”.
Forse ciò accade soprattutto per motivi soteriologici, in quanto la teologia cattolica, erroneamente, lega la salvezza al compimento di opere che possano piacere a Dio e che, quindi, possano attirare la Sua benevolenza e il Suo favore nei confronti degli uomini.
Se, da un lato, non si può dubitare che la Bibbia sia chiara su questo punto e che, secondo le Sacre Scritture, la salvezza si ottiene soltanto ed esclusivamente per la fede nel sacrificio di Cristo e non certo per opere o per meriti umani, affinchè nessuno se ne vanti (es. Ef 2:8-9), è altrettanto vero che, se anche tu sei un figlio di Dio salvato per grazia mediante la fede, anche tu saprai benissimo che “siamo opera Sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo” (Ef 2:10).
C’è, dunque, un forte legame tra fede e opere che, molto probabilmente, è stato trascurato nella vita pratica di molti cristiani, ancor più che nella loro teologia. E c’è il forte bisogno, specie in questi ultimi tempi, di riscoprire quelle “opere buone” che Dio stesso ha già preparate affinchè le pratichiamo e affinchè gli uomini, come disse Gesù, “vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5:16).
Con ogni probabilità, un altro motivo della ritrosia esistente nel mondo evangelico contro le “opere buone” è dato dal giusto timore di scadere nel semplice attivismo, con risultati meramente sociali che poco hanno a che fare con l’evangelizzazione delle anime perdute.
Certo, nel praticare opere buone occorrerà farsi guidare dal Signore della messe per evitare questo rischio e sarà necessario associare il “pane materiale” a quello
“spirituale”, ma il semplice fatto di correre il rischio dell’attivismo non potrà e non dovrà esimere i cristiani dall’ubbidienza ai comandamenti di Dio in questo campo. Al Salvatore piace che i Suoi figli si adoperino nel fare il bene, e di certo la priorità assoluta sta nella salvezza eterna degli uomini, ma dobbiamo pure riconoscere che le “buone opere” parlano dell’opera di Dio nel cuore degli uomini che le fanno e, perciò, esse possono condurre le anime perdute a dare gloria a Dio e ad avere ulteriori opportunità di salvezza, per grazia mediante la fede.
In questo piccolo studio desideriamo sottoporre all’attenzione del lettore i brani della Parola di Dio, nella sua versione della Nuova Riveduta, che contengono l’inciso “opere buone”, al plurale ma anche al singolare. Il nostro scopo è quello di esaminare più da vicino quale sia la volontà di Dio in questa materia per poi seguire le orme del Maestro anche in questo campo.
Cominceremo dalla lettera dell’apostolo Paolo a Tito, la quale contiene ben 6 referenze dell’inciso “opere buone” , con una frequenza assai superiore rispetto a quella rinvenibile nel resto del Nuovo Testamento, nel quale troviamo ulteriori 11 versetti con le parole “opere buone” e altri 8 passi con quest’espressione al singolare. L’inciso “opera buona”, peraltro, si ritrova nell’Antico Testamento una sola volta e mai è dato riscontrare il plurale “opere buone”.
Nei capitoli che seguono, dopo esserci dedicati alla lettera di Paolo a Tito ed ai versetti in essa contenuti sul nostro tema, esamineremo ad uno ad uno il resto dei passi biblici in cui troviamo quest’espressione, distinguendo le referenze con l’inciso al plurale da quelle che lo riportano al singolare.
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