A Eberhard Bethge [Tegel] 29 maggio 1944 
Caro Eberhard, spero che tu possa gustare appieno nonostante gli allarmi la tranquillità e la bellezza di questi caldi giorni preestivi di Pentecoste. In realtà, un po’ alla volta si impara ad assumere interiormente una posizione distaccata nei confronti degli affanni della vita; cioè, “assumere una posizione distaccata” ha in effetti un suono troppo negativo, troppo formale, troppo artificioso, troppo stoico. 

È senz’altro meglio dire: questi affanni quotidiani li accogliamo nel contesto della vita nel suo complesso. Qui osservo continuamente come siano pochi gli uomini capaci di albergare in se stessi molte cose contemporaneamente. Quando arrivano gli aeroplani, sono solo paura; quando c’è qualcosa di buono da mangiare, sono solo avidità; quando un loro desiderio non si realizza, sono solo disperati; quando qualcosa gli riesce, non sono più capaci di vedere nient’altro. 

Essi non colgono la pienezza della vita e la totalità di un’esistenza autentica; tutto ciò che è obiettivo e tutto ciò che è soggettivo si risolve per loro in frammenti. All’opposto, il cristianesimo ci pone continuamente in molte dimensioni diverse della vita; noi alberghiamo in certa misura Dio e il mondo intero in noi. Piangiamo con chi piange e contemporaneamente gioiamo con chi è felice; ci preoccupiamo (sono stato nuovamente interrotto dall’allarme e ora me ne sto all’aperto a godermi il sole) della nostra vita, ma dobbiamo contemporaneamente avere dei pensieri che per noi sono più importanti di essa. 

Nella misura in cui, ad esempio nel corso di un allarme, veniamo spinti in una direzione diversa da quella della preoccupazione per la nostra sicurezza personale, cioè ad esempio nell’impegno di diffondere tranquillità intorno a noi, la situazione diventa completamente diversa; la vita non viene ridotta ad una sola dimensione, ma resta pluridimensionale-polifonica. Quale liberazione è poter pensare e conservare nel pensiero la pluridimensionalità! 

Qui mi sono fatto quasi una regola, quando la gente si mette a tremare nell’imminenza di un attacco, di parlare solo del fatto che simili bombardamenti sarebbero molto peggiori se diretti contro piccole cittadine. Bisogna strappare la gente al pensiero unilineare – in certo modo come “preparazione”, ovvero per “rendere possibile” la fede, anche se veramente è soltanto la fede stessa a rendere possibile la vita nella pluridimensionalità, e dunque a farci celebrare questa Pentecoste a dispetto degli allarmi. All’inizio ero un po’ sorpreso e forse addirittura afflitto di non aver ricevuto da nessuno, questa volta, una lettera per Pentecoste. Poi mi son detto che questo forse è un buon segno, ad indicare come non siete affatto preoccupati per me – ma nell’uomo c’è tuttavia una sorprendente propensione ad essere in qualche modo contento che altri si preoccupino, almeno un poco, per lui. Il libro di Weizsäcker sull’“immagine che la fisica ha del mondo” continua ad impegnarmi molto. 

Per me è nuovamente evidente che non dobbiamo attribuire a Dio il ruolo di tappabuchi (Lückenbüsser) nei confronti dell’incompletezza delle nostre conoscenze; se infatti i limiti della conoscenza continueranno ad allargarsi – il che è oggettivamente inevitabile – con essi anche Dio viene continuamente sospinto via, e di conseguenza si trova in una continua ritirata

Dobbiamo trovare Dio in ciò che conosciamo: non in ciò che non conosciamo. Dio vuole esser colto da noi non nelle questioni irrisolte, ma in quelle risolte. Questo vale per la relazione tra Dio e la conoscenza scientifica. 

Ma vale anche per le questioni umane in generale, quelle della morte, della sofferenza e della colpa. Oggi le cose stanno in modo tale che anche per simili questioni esistono delle risposte umane che possono prescindere completamente da Dio. Gli uomini di fatto vengono a capo di queste domande – e così è stato in ogni tempo – anche senza Dio, ed è semplicemente falso che solo il cristianesimo abbia una soluzione per loro. Per quel che riguarda il concetto di “soluzione”, le risposte cristiane sono invece poco (o tanto) cogenti esattamente quanto le altre soluzioni possibili. Anche qui, Dio non è un tappabuchi; Dio non deve essere riconosciuto solamente ai limiti delle nostre possibilità, ma al centro della vita; Dio vuole essere riconosciuto nella vita, e non solamente nel morire; nella salute e nella forza, e non solamente nella sofferenza; nell’agire, e non solamente nel peccato. La ragione di tutto questo sta nella rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Egli è il centro della vita, e non è affatto “venuto apposta” per rispondere a questioni irrisolte. Partendo dal centro della vita, determinate questioni vengono semplicemente a cadere, e parimenti viene a cadere la risposta ad esse (penso al giudizio sugli amici di Giobbe!). In Cristo non esistono “problemi cristiani”. Basta su questo; proprio adesso sono stato nuovamente disturbato. 30 maggio, sera Me ne sto nella mia cella, qua in alto; nella casa c’è silenzio, fuori qualche uccellino sta ancora cantando, ed anche il cucù chiama di lontano. Queste lunghe sere calde, che sto passando qui per la seconda volta, mi riescono un po’ tormentose. Si è attirati ad uscire, e si potrebbero commettere delle stupidaggini, se non si fosse così “ragionevoli”. O magari siamo già diventati troppo ragionevoli? Quando si sono repressi con piena consapevolezza tutti i desideri dentro di sé, si possono avere due conseguenze negative: o si arde fino a consumarsi interiormente, oppure tutto si ingorga finché un giorno avviene una terribile esplosione; l’altra conseguenza immaginabile sarebbe che uno si liberi effettivamente del proprio egoismo (selbstlos wird); che questo non sia il mio caso, lo so meglio di chiunque altro. Forse dirai che non si dovrebbero reprimere i desideri, e avresti pienamente ragione.

Ma vedi un po’, oggi io non potrei ad esempio arrischiarmi ad immaginare concretamente di stare con Maria in giardino da voi, vicino all’acqua, e di parlare fra di noi fino a notte ecc. È solo un tormento interiore, che fa male fisicamente. Allora cerco rifugio nel pensare, nello scrivere lettere, nella gioia per la vostra felicità e mi vieto – come autoprotezione – i miei propri desideri. Per quanto sembri paradossale, sarebbe meno egoista che io non dovessi aver bisogno di temere così i miei desideri, e lasciassi invece loro libero corso – ma questo è molto difficile. Poco fa in infermeria ho sentito il canto di Solveig. Mi ha veramente commosso. Attendere fedelmente per tutta una vita, questo è il trionfo sull’ostilità dello spazio, cioè sulla separazione e sul tempo, cioè sulla caducità. Non credi che solo una simile fedeltà renda felici, e l’infedeltà infelici? – Bene, ora voglio andare a dormire, perché la notte sarà ancora certamente disturbata. Stai bene! Vi pensa molto il vostro Dietrich

Bonhoeffer, Dietrich. Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere . San Paolo Edizioni. Edizione del Kindle. 

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