Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere
"Resistenza e resa raccoglie le lettere e altri testi scritti da Dietrich Bonhoeffer dal 1943 al 1945 nel carcere berlinese di Tegel. Questa edizione pressoché integrale ricostruisce in modo completo lo scambio epistolare, giacché la corrispondenza in uscita è alternata agli scritti inviati al prigioniero da parenti e amici: in primo luogo Eberhard Bethge, cha ha corredato il testo di puntuali note esplicative. In appendice è riportato un prezioso saggio della fidanzata con estratti delle lettere a lei destinate e un lungo inedito di Bethge sulla storia della conservazione di questo singolare epistolario.

I documenti qui raccolti testimoniano il confronto col "mondo diventato adulto" che un cristiano e teologo impegnato in prima linea nella lotta contro il nazismo ha condotto all'insegna dell'onestà intellettuale. Ne emerge il quadro di un cristianesimo "non religioso", definito dal recupero dei contenuti originari delle Scritture, che bandisce ogni fuga nell'aldilà e coniuga la fede nel Dio di Gesù Cristo con una piena fedeltà alla terra e alla vita.

 

Recensione dalla CLC

Le pagine che seguono non possono e non vogliono costituire una trattazione esauriente del pensiero di Bonhoeffer, ma vogliono essere soltanto un modesto contributo alla semplice conoscenza di questo importante testimone del nostro tempo e oppositore al nazismo.

“Resistenza e Resa” raccoglie le lettere ed altri testi scritti da Bonhoeffer nel carcere berlinese di Tegel, dove fu detenuto dall’aprile ’43 all’ottobre ’44, per poi essere trasferito nel carcere sotterraneo della Gestapo in Prinz-Albrecht-Strasse.

Di lì i contatti furono molto difficili e rari, il 7 febbraio ’45 fu trasferito al campo di concentramento di Buchenwald, il 3 aprile fu a Regensburg, l’8 aprile passò da Schönberg a Flossenbürg, dove verrà giustiziato.

La presente edizione alterna le lettere di Bonhoeffer a quelle inviatigli da parenti ed amici, suoi interlocutori sono i genitori, il nipote quattordicenne Christoph von Dohnanyi, il fratello Karl-Friedrich, l’amico fraterno e pastore egli stesso Eberhard Bethge (che diverrà il suo biografo) con sua moglie Renate, nipote di Bonhoeffer e qualche altro parente. Non vi sono le lettere alla fidanzata Maria von Wedermeyer con la quale Bonhoeffer progettava di sposarsi, rimaste a lungo inedite (esiste ora il volume Lettere alla fidanzata-Cella 92. Dietrich Bonhoeffer-Maria von Wedermeyer 1943-45, Bologna, Queriniana) .

In carcere Bonhoeffer riesce a leggere, scrivere, riflettere, pregare, riceve pacchi dai familiari e lettere, sia ufficialmente, sia clandestinamente.

La corrispondenza con Bethge, che contiene le più importanti riflessioni teologiche di Bonhoeffer, inizia il 18 novembre ’43 durante la prima licenza di Bethge, militare in Italia, a Berlino, ed è clandestina. Sulle vicissitudini dei testi vi è comunque il saggio finale del biografo.

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alex

Coscienza dell'impotenza = liberazione?

Questa coscienza della nostra impotenza, di cui parli anche tu, Renate, ha secondo me due facce: è inquietante, ma in qualche modo anche liberante. Finché noi stessi cerchiamo di contribuire a determinare il destino di un’altra persona, non possiamo mai liberarci, alla fin fine, dell’interrogativo se ciò che facciamo serva davvero al bene maggiore dell’altro; questo, in ogni caso, in occasione degli interventi più rilevanti nella vita di un altro; se poi improvvisamente ci viene tolta ogni possibilità di dare il nostro contributo personale, al di là della paura per l’altro c’è però in qualche modo la consapevolezza che ora la sua vita è posta in mani migliori e più forti. Affidarci reciprocamente a queste mani è il grosso impegno delle settimane e forse dei mesi a venire, per voi, per noi. Questo impegno mi è divenuto ancora più chiaro dopo che ieri sera sono venuto a sapere che tu, Eberhard, ti trovi da qualche parte a sud di Roma. 

Reprimo tutte le domande che in proposito continuo a volermi porre. Per quanto in ciò che precede i fatti ci possano essere molti fallimenti, molti errori, molte colpe umane, nei fatti stessi c’è Dio. Se passeremo indenni attraverso le settimane e i mesi che verranno, riconosceremo poi con molta chiarezza che per noi era bene che le cose andassero proprio come sono andate. L’idea che molte difficoltà nella nostra vita avrebbero potuto essere evitate se avessimo vissuto meno coraggiosamente è davvero troppo stupida per poterla prendere sul serio anche un solo istante. Pensando al vostro passato, per me è talmente certo che quanto è accaduto finora era giusto, che anche il presente può essere soltanto tale. Rinunciare a gioie autentiche e a una vita piena per evitare la sofferenza non è sicuramente cristiano e nemmeno umano. Aspetto con molta ansia le tue prime notizie dal fronte, Eberhard. Ho la sensazione che tu veda le cose anche con i miei occhi, così come io vedo le cose di qui anche con i tuoi. Noi viviamo i nostri diversi destini in qualche misura anche in modo vicario (stellvertretend) l’uno per l’altro. 

A ciò che scriverai da laggiù presterò fede senza riserve, cosa che forse vale reciprocamente anche per te per le mie lettere da qui; e soprattutto questo accadrà quando potremo finalmente di nuovo parlarci! Proprio ora è arrivata la notizia dello sbarco a Nettuno373. Magari ti trovi laggiù da qualche parte? Davanti a svolte come questa mi accorgo sempre che la imperturbabilità non fa parte della mia natura, ma che la devo sempre faticosamente riconquistare; del resto, essere imperturbabili per natura nella maggior parte dei casi è solo un’espressione eufemistica per indicare indifferenza e indolenza, e dunque non proprio qualcosa di molto rispettabile. – Recentemente ho letto in Lessing: «sono troppo orgoglioso per considerarmi sfortunato – digrigno i denti – e lascio che la barca vada dove vogliono il vento e le onde. È già tanto, che non voglia rovesciarla io stesso!». Questo orgoglio e questo digrignare i denti dovrebbero essere totalmente interdetti ed estranei ad un cristiano? magari a favore di una prematura, preventiva, tiepida imperturbabilità? La quale a sua volta è ancora qualcosa di diverso dall’assoggettarsi all’inevitabile, ostinato, insensibile, rigido, inerte e soprattutto spensierato? Credo che onoriamo meglio Dio se conosciamo, sfruttiamo e amiamo la vita che egli ci ha dato in tutti i suoi valori e perciò anche avvertiamo acutamente e con franchezza il dolore per quei valori della vita che sono stati compromessi o perduti – cosa che viene volentieri derisa come debolezza e delicatezza d’animo tipica dell’esistenza borghese –, piuttosto che restando insensibili ai valori della vita, in modo tale da poter essere insensibili anche nei confronti del dolore. Ciò che dice Giobbe: «il Signore ha dato, ecc.» non esclude, ma al contrario include tutto questo, come risulta abbastanza chiaramente dal suo parlare digrignando i denti e dal suo giustificare Dio (42,7ss) davanti alla resa falsa, prematura, pia dei suoi amici. – Perdonami, Renate, se torno sempre di nuovo alla teologia. Sono frammenti di dialogo proprio inevitabili nelle lettere tra Eberhard e me.

Bonhoeffer, Dietrich. Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere . San Paolo Edizioni. Edizione del Kindle. 
Pagina 275

 

alex

Al cominciar del giorno, Dio, ti chiamo.
Aiutami a pregare e a raccogliere i miei pensieri su di te;
da solo non sono capace.
C'è buio in me, in Te invece c'è luce;
sono solo, ma tu non m'abbandoni;
non ho coraggio, ma Tu mi sei d'aiuto;
sono inquieto, ma in Te c'è la pace;
c'è amarezza in me, in Te pazienza;
non capisco le tue vie, ma tu sai qual è la mia strada.
Padre del cielo,
siano lode e grazie a Te per la quiete della notte,
siano lode e grazie a Te per il nuovo giorno.
Signore,
qualunque cosa rechi questo giorno, il tuo nome sia lodato! Amen.

Dietrich Bonhoeffer

alex

- SENZA DUBBIO
Dobbiamo imparare ad agire in modo diversi dagli eterni dubbiosi, il cui fallimento ci è noto da contesti ampi. Bisogna far chiarezza su ciò che vogliamo, dobbiamo chiederci se siamo capaci di assumerci la responsabilità della cosa, e poi dobbiamo farla con incrollabile fiducia. Allora e solo allora è possibile sopportarne anche le conseguenze,

alex

Dobbiamo imparare a considerare gli uomini non tanto per quello che fanno o non fanno quanto per quello che soffrono. L’unico rapporto fecondo con l’uomo - e in particolare con il debole - è l’amore, cioè la volontà di mantenere con lui una comunione.

Dio stesso non ha disprezzato l’uomo, ma si è fatto uomo per gli uomini.

alex

Non c'è nulla che possa sostituire l'assenza di una persona a noi cara. Non c'è alcun tentativo da fare, bisogna semplicemente tenere duro e sopportare.
Ciò può sembrare a prima vista molto difficile, ma è al tempo stesso una grande consolazione, perché finché il vuoto resta aperto si rimane legati l'un l'altro per suo mezzo.

E' falso dire che Dio riempie il vuoto; Egli non lo riempie affatto, ma lo tiene espressamente aperto, aiutandoci in tal modo a conservare la nostra antica reciproca comunione, sia pure nel dolore.

Ma la gratitudine trasforma il tormento del ricordo in una gioia silenziosa.
I bei tempi passati si portano in sé non come una spina, ma come un donoprezioso.

Bisogna evitare di avvoltolarsi nei ricordi, di consegnarci ad essi; così come non si resta a contemplare di continuo un dono prezioso, ma lo si osserva in
momenti particolari e per il resto lo si conserva come un tesoro nascosto di cui si ha la certezza.

Allora sì che dal passato emanano una gioia e una forza durevoli.

alex

Chi sono io? Spesso mi dicono
che esco dalla mia cella
disteso, lieto e risoluto
come un signore dal suo castello.

Chi sono io? Spesso mi dicono
che parlo alle guardie
con libertà, affabilità e chiarezza
come spettasse a me di comandare.

Chi sono io? Anche mi dicono
che sopporto i giorni del dolore
imperturbabile, sorridente e fiero
come chi è avvezzo alla vittoria.
Sono io veramente ciò che gli altri dicono di me?
O sono soltanto quale io mi conosco?Inquieto, pieno di nostalgia, malato come uccello in gabbia,
bramoso di aria come mi strangolassero alla gola,
affamato di colori, di fiori, di voci d'uccelli,
assetato di parole buone, di compagnia
tremante di collera davanti all'arbitrio e all'offesa più meschina,
agitato per l'attesa di grandi cose,
preoccupato e impotente per l' amico infinitamente lontano,
stanco e vuoto nel pregare, nel pensare, nel creare,
spossato e pronto a prendere congedo da ogni cosa?

Chi sono io?
Oggi sono uno, domani un altro?
Sono tutt'e due insieme? Davanti agli uomini un simulatore
e davanti a me uno spregevole vigliacco?
Chi sono io? Questo porre domande da soli è derisione.
Chiunque io sia, tu mi conosci, o Dio, io sono tuo!

alex

La grazia a buon mercato è grazia senza sequela, grazia senza croce, grazia senza Gesù Cristo vivo, incarnato.
Grazia a caro prezzo è il tesoro nascosto nel campo, per amore del quale l'uomo va a vendere con gioia tutto ciò che aveva; la pietra preziosa, per il cui valore il mercante dà tutti i suoi beni; la signoria regale di Cristo, per amore del quale l'uomo strappa da sé l'occhio che lo scandalizza; la chiamata di Gesù Cristo, per cui il discepolo abbandona le reti e si pone alla sua sequela.

Grazia a caro prezzo è il vangelo, che si deve sempre di nuovo cercare, il dono per cui si deve sempre di nuovo pregare, la porta a cui si deve sempre di nuovo bussare. È a caro prezzo, perché chiama alla sequela; è grazia, perché chiama alla sequela di Gesù Cristo; è a caro prezzo, perché costa all'uomo il prezzo della vita, è grazia, perché proprio in tal modo gli dona la vita; è a caro prezzo, perché condanna il peccato, è grazia, perché giustifica il peccatore.

La grazia è a caro prezzo soprattutto perché è costata cara a Dio, perché gli è costata la vita di suo Figlio «siete stati riscattati a caro prezzo (1Cor 6,20)» e perché non può essere a buon mercato per noi ciò che è costato caro a Dio. E' grazia soprattutto perché Dio non ha ritenuto troppo elevato il prezzo di suo Figlio per la nostra vita, ma lo ha dato per noi. Grazia a caro prezzo è l'incarnazione di Dio.

 

alex

Dio non si vergogna della bassezza dell'uomo, vi entra dentro (...) Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l'insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono "perduto", lì egli dice "salvato"; dove gli uomini dicono "no", lì egli dice "sì".
Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente e incomparabile.
Dove gli uomini dicono "spregevole", lì Dio esclama "beato". Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima.
Lì egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia.

 

alex

Al cominciar dei giorno, Dio, ti chiamo.
Aiutami a pregare e a raccogliere i miei pensieri su di te;
da solo non sono capace.
In me c'è buio, ma in te c'è la luce;
io sono solo, ma tu non mi lasci;
io non ho coraggio, ma tu mi sei d'aiuto;
io sono inquieto, ma in te c'è la pace;
in me c'è amarezza, in te pazienza;
io non capisco le tue vie,
ma tu sai qual è la mia strada.
Signore, qualunque cosa rechi questo giorno,
il tuo nome sia lodato!

alex

Chi resta saldo?
“Chi resta saldo? Solo colui che non ha come criterio ultimo la propria ragione, il proprio principio, la propria coscienza, la propria libertà, la propria virtù, ma che è pronto a sacrificare tutto questo quando sia chiamato all’azione ubbidiente e responsabile, nella fede e nel vincolo esclusivo a Dio: l’uomo responsabile, la cui vita non vuol essere altro che una risposta alla domanda e alla chiamata di Dio.
Dove sono questi uomini responsabili?

alex

Certe persone, sin dai primi tempi della loro vita, hanno subìto tali scosse e turbamenti che non possono più permettersi, per così dire, di provare una grande nostalgia; si sono disabituati a tenere teso a lungo l’arco interiore, e per compensazione si creano gioie di breve durata, facili da soddisfare. Questa è la sorte dei ceti proletari ed è la rovina di ogni fecondità intellettuale.

In realtà non è lecito affermare che è un bene per l’uomo se nella sua vita ha cominciato presto a prendere delle bastonate. Nella maggioranza dei casi l’uomo ne esce distrutto. Certo, essi ne escono molto più induriti e resistenti per tempi come i nostri, ma anche infinitamente più sordi.

Se veniamo divisi con la forza per lungo tempo, dalle persone che amiamo, non siamo capaci, come in genere fanno gli altri, di crearci una compensazione a buon mercato mediante altre persone: non per ragioni d’ordine morale, io ritengo, ma semplicemente a causa del nostro essere.

Siamo ostici alla compensazione. Dobbiamo allora semplicemente aspettare e aspettare ancora, soffrire indicibilmente per la separazione, dobbiamo alimentare la nostalgia quasi sino a star male; solo così conserveremo intatta la comunione con le persone che amiamo, anche se in maniera molto dolorosa.

Ho conosciuto un paio di volte nella mia vita la nostalgia. Non esiste dolore più terribile; nei mesi che ho trascorso qui in prigione mi è capitato qualche volta di soffrirne spaventosamente. Poichè penso che nei prossimi mesi ti accadrà qualcosa di analogo, volevo scriverti le mie esperienze in proposito; forse ti potranno servire.

La prima conseguenza di tali periodi di nostalgia è sempre il desiderio di trascurare in qualche maniera il corso normale della giornata, e così entra nella nostra esistenza un certo
disordine. Talvolta ero tentato di non alzarmi, come di consueto, alle sei del mattino - il che sarebbe stato assolutamente lecito - ma di dormire più a lungo. Finora sono sempre riuscito a impormi di non farlo; mi era chiaro che ciò sarebbe stato l’inizio della capitolazione, cui presumibilmente sarebbe succeduto di peggio.

L’ordine esterno, meramente corporale (ginnastica mattutina, acqua fredda per lavarsi) offre già un qualche sostegno all’ordine interno. Inoltre: nulla è più deviante che tentare di crearsi, in periodi come questi, un qualche succedaneo di ciò che è insostituibile. Non funziona e inizia un disordine interno ancor più grande; ma la forza per superare la tensione, che può scaturire soltanto dal concentrarsi completamente sull’oggetto della nostalgia, viene fiaccata, e tener duro diventa ancora più insopportabile... Inoltre, ritengo che sia bene non parlare con estranei del proprio stato - produrrebbe un turbamento maggiore -, ma per quanto è possibile bisogna tenersi disponibili per le pene altrui.

Soprattutto non bisogna cadere nella “self-pity”, nell’autocompassione. Per quanto riguarda infine il lato cristiano della cosa, la strofa che dice: ́... dass nicht vergessen
werde, / was man so gern vergisst, / dass diese arme Erde / nicht unsre Heimat ist (59), contiene qualcosa di essenziale, ma soltanto come caso limite. Penso che dobbiamo amare tanto Dio, nella nostra vita e in ciò che egli ci concede di bene, e dobbiamo avere una tale fiducia in lui, che quando giunge il momento - ma solo allora! - si possa andare a lui con amore, fiducia e gioia.

Ma - per dirla franca - che un uomo tra le braccia di sua moglie debba bramare l’aldilà, è, a essere indulgenti, mancanza di gusto e comunque non la volontà di Dio. Bisogna trovare e amare Dio in ciò che egli appunto ci dà; se a Dio piace farci godere una travolgente fortuna terrena, non bisogna essere più pii di Dio stesso e lasciare che questa fortuna si guasti con pensieri tracotanti, con atteggiamenti di sfida e con una fantasia religiosa scatenata, sempre insoddisfatta di quanto Dio concede.

A colui che lo trova nella sua felicità terrena e lo ringrazia, Dio non farà mai mancare delle ore in cui gli verrà ricordato che le cose terrene sono transitorie e che è opportuno abituare il proprio cuore all’eternità; nè gli farà mancare infine le ore in cui noi possiamo giustamente dire: ́vorrei essere a casa....

Ma tutto ciò vuole il suo tempo; la cosa principale è che si tenga il passo di Dio, che non si continui a precederlo di qualche passo, ma nemmeno che si rimanga indietro rispetto a lui di qualche passo. E’ presunzione voler tutto in una volta sola: la felicità del matrimonio e la croce e la Gerusalemme celeste, dove non c’è moglie nè marito. ́A tempo debito egli fa tutto bene (Eccl. 3, 11). Tutto ha ́il suo tempo: un tempo per piangere e un tempo per ridere ... un tempo per abbracciare e un tempo per essere lontano dall’amplesso... un tempo per lacerare e un tempo per cucire... e Dio va alla ricerca di ciò che è passato.

Queste ultime parole significano che nessuna cosa passata è perduta, che Dio assieme a noi recupera nel passato ciò che ci appartiene. Se dunque siamo sopraffatti dalla nostalgia di una cosa passata - e ciò avviene in periodi assolutamente imprevedibili - allora possiamo sapere che questa è soltanto una delle molte ́ore che Dio tiene sempre in serbo per noi, e perciò dobbiamo recuperare il passato non con le nostre forze ma in compagnia di Dio.

Ora basta con queste cose: vedo di aver sopravvalutato le mie capacità; in verità su questo argomento non ti posso dir nulla che tu già non sappia.

Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere
Lettere e altri testi scritti da Dietrich Bonhoeffer dal 1943 al 1945 nel carcere berlinese di Tegel

alex

Probabilmente molti in questa casa festeggeranno un Natale più sensato e più autentico che altri, che di questa festa conoscono soltanto il nome. Che miseria, dolore, povertà, solitudine, disperazione e colpa significhino agli occhi di Dio ben altra cosa che nel giudizio degli uomini, che Dio getti il suo sguardo proprio là di dove gli uomini hanno cura di distoglierlo, che Cristo sia nato in una stalla, perchè non trovava posto negli alberghi - tutto ciò un carcerato lo può capire meglio di altri; questa per lui è veramente una lieta novella, e avendo fede in ciò sa di trovarsi in quella comunità cristiana che fa saltare ogni barriera di spazio e di tempo, e i mesi di prigione perdono la loro importanza.
La Santa Notte penserò a voi tutti; vorrei che crediate che anch’io passerò un paio d’ore veramente belle e che non sarò certo sopraffatto dalla tristezza...
Quando si pensa agli orrori che hanno colpito tanta gente qui a Berlino negli ultimi tempi, soltanto allora si diventa consapevoli di quanto dobbiamo ancora essere riconoscenti. Dovunque ci sarà certo un Natale molto silenzioso, e più tardi i bambini se lo ricorderanno a lungo. Forse proprio per questo qualcuno s’accorgerà di che cosa sia veramente il Natale...

Dietrich Bonhoffer
Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere
Pag. 248

alex

Certamente non tutto quello che accade è semplicemente "volontà di Dio".
Ma alla fine comunque nulla accade "senza che Dio lo voglia".

Dietrich Bonhoffer

pag - 249

alex

Ormai non si può cambiare nulla; solo che è più difficile rassegnarsi a qualcosa che si pensa poteva essere evitato, che non all'inevitabile. Ma quando sono stati prodotti dei fatti, in un modo o nell'altro, bisogna sapersela cavare.
Pag. 249

alex

Di frequente chiedo a me stesso chi io sia veramente: se sia colui che continua ad arrabattarsi qui con queste cose orribili e finisce in una miseria lacrimevole, oppure colui che si prende a colpi di frusta e appare all’esterno (e anche dinanzi a sè stesso)
come una persona tranquilla, serena, quieta, superiore e si lascia ammirare per questo (cioè per questa esibizione teatrale: o non è cosi forse?).
Che significa infatti atteggiamento? Insomma ci si conosce meno che mai e non si dà più alcun valore a sè stessi; il disgusto per tutta la psicologia e l’avversione per l’analisi introspettiva divengono sempre più profonde.
Per questo, penso, Stifter e Gotthelf sono stati così importanti per me. Ci son cose più importanti che conoscere sè stessi.

Resistenza e resa - Dietrich Bonhoffer
Pagina 244

alex

Gli uomini cercano un polo di tranquillità e si dirigono verso di esso.
Penso che nessuno di noi due sia tipo da mettersi in mostra, ma ciò non ha nulla a che fare con il cuore, che viene reso saldo dalla grazia. Del resto, mi accorgo sempre più di pensare e di percepire in maniera veterotestamentaria; nei mesi passati infatti ho letto molto più l’Antico che il Nuovo Testamento.

Soltanto quando si apprende l’impronunciabilità del nome di Dio si può pronunciare il nome di Gesù Cristo. Soltanto quando si ama a tal punto la vitae la terra da pensare che con la loro fine tutto è perduto, si può credere alla resurrezione dei morti e a un mondo nuovo; soltanto quando si accetta la validità della legge di Dio sopra sè stessi si può parlare anche di grazia, e soltanto quando l’ira e la vendetta divina vengono considerate come realtà effettive incombenti sui suoi nemici, qualcosa del perdono e dell’amore per il
nemico può toccare il nostro cuore.

Chi vuol vivere e percepire troppo presto e troppo direttamente alla maniera neotestamentaria, non è un cristiano. Diverse volte ne abbiamo già discusso assieme, e ogni giorno ho la conferma che ciò è esatto. Non si può nè si deve dire l’ultima parola prima della penultima. Noi viviamo nelle penultime cose e crediamo nelle ultime, non è così? Ai (cosiddetti) luterani e pietisti verrebbe la pelle d’oca, per questi pensieri; tuttavia sono cose giuste. In “Nachfolge” (primo capitolo) ho solo accennato questi pensieri, ma poi non li ho portati avanti bene. Dovrò farlo in seguito. Le conseguenze però sono di lunga portata, tra l’altro per quanto riguarda il problema del cattolicesimo, il concetto di ministero, l’uso della
Bibbia eccetera, ma soprattutto l’etica. Perchè, nell’Antico Testamento, si mente spesso e risolutamente a gloria di Dio (ho raccolto ora i passi corrispondenti), si uccide, s’inganna, si ruba, si rompono i matrimoni, ci si prostituisce persino (confronta l’albero genealogico di Gesù), si dubita, s’impreca e si bestemmia, mentre tutte queste cose non avvengono nel Nuovo Testamento? Religiosità di ́primo grado?

E’ una risposta molto ingenua; è sempre un unico e medesimo Dio. Ma ne parleremo in seguito e più a lungo a voce!
Intanto si è fatta sera. Il sottufficiale, che mi ha appena portato dall’infermeria al mio alloggio, nel congedarsi mi ha detto, sorridendo un po’ imbarazzato ma con molta serietà: ́Signor pastore, preghi che oggi non ci sia l’allarme!

 

PAG. 105

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