Interessante riflessione sulla necessità di "mondanizzare" Dio, oppure "declerizzarlo" in un mondo non più religioso, o spesso solo per quanto riguarda la facciata, o gli estremismi, vuoti anch'essi se non di fanatismo.
Sono appunti presi dalle lettere in carcere, datate 1944, Bonhoeffer non potrà concludere in futuro questo sviluppo di pensiero.
E, seppur solo a tratti condivisibile, o quantomeno difficilmente afferrabile, apre lo spunto ad altre riflessioni ed applicazioni possibili.
Ciò che mi preoccupa continuamente è la questione di che cosa sia veramente per noi, oggi, il cristianesimo, o anche chi sia Cristo. È passato il tempo in cui questo lo si poteva dire agli uomini tramite le parole – siano esse parole teologiche oppure pie –; così come è passato il tempo della interiorità e della coscienza, cioè appunto il tempo della religione in generale. Stiamo andando incontro ad un tempo completamente non religioso; gli uomini, così come ormai sono, semplicemente non possono più essere religiosi. Anche coloro che si definiscono sinceramente “religiosi”, non lo mettono in pratica in nessun modo; presumibilmente, con “religioso” essi intendono qualcosa di completamente diverso. Il nostro annuncio e la nostra teologia cristiani nel loro complesso, con i loro 1900 anni, si basano però sull’“apriori religioso” degli uomini. Il “cristianesimo” è stato sempre una forma (forse la vera forma) della “religione”.
Ma se un giorno diventa chiaro che questo “apriori” non esiste affatto, e che s’è trattato invece di una forma d’espressione umana, storicamente condizionata e caduca, se insomma gli uomini diventano davvero radicalmente non religiosi – e io credo che più o meno questo sia già il caso (da che cosa dipende ad esempio il fatto che questa guerra - la 2° Guerra Mondiale -, a differenza di tutte le precedenti, non provoca una reazione “religiosa”?), che cosa significa allora tutto questo per il “cristianesimo”? Vengono scalzate le fondamenta dell’intero nostro “cristianesimo” qual è stato finora, e noi “religiosamente” potremo raggiungere soltanto qualche “cavaliere solitario” o qualche persona intellettualmente disonesta. Dovrebbero essere questi i pochi eletti? Dovremmo gettarci zelanti, stizziti o sdegnati proprio su questo equivoco gruppo di persone per smerciar loro la nostra mercanzia?
Dovremmo noi aggredire qualche infelice colto in un momento di debolezza e per così dire, violentarlo religiosamente?
Se non vogliamo niente di tutto questo, se alla fine anche la forma occidentale del cristianesimo dovessimo giudicarla solo uno stadio previo rispetto ad una totale non religiosità, che situazione ne deriverebbe allora per noi, per la Chiesa? Come può Cristo diventare il signore anche dei non religiosi? Ci sono cristiani non religiosi? Se la religione è solo una veste del cristianesimo – e questa veste ha assunto essa pure aspetti molto diversi in tempi diversi – che cos’è allora un cristianesimo non religioso? Barth, che è stato l’unico ad aver cominciato a pensare in questa direzione, non ha poi portato a termine e pensato fino in fondo queste idee, ma è pervenuto invece ad un positivismo della rivelazione (Offenbarungspositivismus) che in fin dei conti s’è ridotto ad una sostanziale restaurazione. Qui l’operaio non religioso o l’uomo in generale non hanno guadagnato nulla di decisivo. Le risposte cui bisognerebbe rispondere sono invece: che cosa significano una Chiesa, una comunità, una predicazione, una liturgia, una vita cristiana in un mondo non religioso? Come parliamo di Dio – senza religione, cioè appunto senza i presupposti storicamente condizionati della metafisica, dell’interiorità ecc. ecc.?
Come parliamo (o forse appunto ormai non si può più “parlarne” come s’è fatto finora) “mondanamente” (weltlich) di “Dio”, come siamo cristiani “non religiosi-mondani”, come siamo ἐκ-κλησία, cioè chiamati-fuori, senza considerarci religiosamente favoriti, ma piuttosto in tutto e per tutto appartenenti al mondo? Cristo allora non è più oggetto della religione, ma qualcosa di totalmente diverso, veramente il signore del mondo. Ma che significa questo? Che significato hanno il culto e la preghiera nella non religiosità? Acquista forse una nuova importanza a questo punto la disciplina dell’arcano, ovvero la mia distinzione (che tu già conosci) tra penultimo e ultimo? Oggi devo interrompere, perché la lettera può partire proprio ora. Tra un paio di giorni ti scriverò ancora su questi argomenti. Spero che tu capisca approssimativamente ciò che intendo, e che non ti annoi. Nel frattempo stammi bene! Non è sempre facile scrivere senza ricevere reazioni in risposta. Scusa se dunque quanto scrivo tende a diventare un po’ monologico! Fedelmente ti pensa il tuo Dietrich
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Ancora due parole a proposito delle idee sulla “non religiosità”. Ricorderai di sicuro il saggio di Bultmann sulla Entmythologisierung des N.T. (Demitologizzazione del Nuovo Testamento)446. La mia opinione su di esso oggi sarebbe che Bultmann non si è spinto “troppo”, come ritengono i più, ma troppo poco in avanti. Non sono problematici solo i concetti “mitologici”, come miracolo, ascensione ecc. (che in linea di principio non è possibile separare dai concetti di Dio, fede ecc.!), ma lo sono i concetti “religiosi”, semplicemente. Non si possono separare l’uno dall’altro Dio e miracolo (come pensa Bultmann), ma si deve poterli interpretare e annunciare entrambi in modo “non religioso”. La prospettiva di Bultmann in sostanza è comunque liberale (cioè, è riduttiva dell’evangelo), mentre io voglio pensare in modo teologico. Che significa a questo punto “interpretare religiosamente”? Secondo me, da una parte significa parlare in modo metafisico, e dall’altra in modo individualistico. Entrambi questi modi non colgono né il messaggio biblico né l’uomo d’oggi.
Non è forse venuto a cadere quasi completamente per tutti noi il problema individualistico della salvezza personale dell’anima? Non ci troviamo effettivamente sotto l’impressione che ci sono cose più importanti di questo problema (forse non più importanti di questa cosa, ma di questo problema!?)? So che suona quasi mostruoso dire una cosa simile. Ma in fondo non è addirittura biblico? Si trova in generale nell’AT la questione della salvezza personale dell’anima? Il centro di tutto non è la giustizia e il Regno di Dio sulla terra? Ed anche in Rm 3,24ss l’obiettivo del discorso non è forse il fatto che Dio solo è giusto, e non dunque una dottrina individualistica della salvezza? Non si tratta infatti dell’aldilà, ma di questo mondo, di come è creato, conservato, articolato secondo leggi, riconciliato e rinnovato.
Nell’evangelo ciò che è oltre questo mondo intende esserci per questo mondo; penso questo non nel senso antropocentrico della teologia liberale, mistica, pietistica, etica, ma nel senso biblico della creazione e della incarnazione, della crocifissione e della risurrezione di Gesù Cristo.
Barth è stato il primo teologo – e questo resta il suo grandissimo merito – ad iniziare la critica della religione, ma poi ha collocato al suo posto una dottrina positivistica della rivelazione, quando si dice: «uccellino, o mangi o muori»; si tratti della nascita verginale, della trinità o di che altro, ogni cosa rappresenta un elemento egualmente importante e necessario del tutto, che appunto come un tutto dev’essere ingoiato o rifiutato. Questo non è biblico. Ci sono gradi della conoscenza e gradi di importanza; si deve ripristinare cioè una disciplina dell’arcano che protegga i misteri della fede cristiana dalla profanazione. Il positivismo della rivelazione rende le cose troppo semplici, istituendo in conclusione una legge della fede e facendo a pezzi ciò che per noi è un dono – per mezzo dell’incarnazione di Cristo! – Al posto della religione c’è ora la Chiesa – il che di per sé è biblico – ma il mondo è in certa misura messo sui suoi piedi e lasciato a se stesso, e questo è l’errore.
Al momento sto riflettendo a come si debbano reinterpretare “mondanamente” i concetti di penitenza, fede, giustificazione, rinascita, santificazione, nel senso dell’AT e di Gv 1,14447. Te ne scriverò più avanti. Scusami se fin qui ho scritto in gotico, come di solito faccio quando scrivo per me stesso; forse quello che ho scritto l’avevo concepito più come chiarificazione per me stesso che come insegnamento per te. Non voglio in effetti turbare la tua tranquillità presentandoti dei problemi, dato che presumibilmente non hai il tempo per confrontarti con essi, sicché ne puoi essere solo disturbato; ma non posso fare a meno di renderti partecipe delle mie idee, semplicemente perché solo così mi si chiariscono a me stesso. Se in questo momento ciò per te è inopportuno, ti prego di dirmelo. Domani è la domenica «Cantate»; ti penserò con un ricordo particolarmente bello. I genitori sono stati qui appena adesso, e mi hanno raccontato di quanto il piccolo sia carino e in salute… Stammi bene! Conserva la pazienza, come facciamo anche noi, e cura la salute! Ti saluta di cuore, ricordandoti quotidianamente, il tuo Dietrich
Bonhoeffer, Dietrich. Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere . San Paolo Edizioni. Edizione del Kindle.
5 maggio 1944 - Tegel
Vedi anche: Bonhoeffer: un cristianesimo non religioso
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