La Cena del Signore è un soggetto di grande importanza; fra gli aspetti che hanno a che fare con la fede e con la vita cristiana è sicuramente, insieme al battesimo, quello che suscita il maggior interesse, anche per le degenerazioni e la varietà d’interpretazioni che ha subìto nel corso della storia della Chiesa.
Ci sono però anche persone che lo ritengono argomento di scarsa importanza, dal momento che nel Nuovo Testamento se ne parla piuttosto raramente.
È vero, ad esempio, che nelle lettere non ci sono testi che ne parlano, tranne i due riferimenti di 1Corinzi 10 ed 11, ma la ragione di questo parziale silenzio può essere dovuta al fatto che si trattava di un’usanza ben conosciuta da tutti i credenti e quindi non c’era bisogno di parlarne spesso. E nella prima lettera dei Corinzi, dove è menzionata, viene soprattutto ricordata per insegnare delle importanti lezioni morali, davanti al modo confuso e indecoroso con cui si comportavano i credenti di Corinto.
Le origini
I testi della Scrittura che, direttamente o indirettamente, si occupano di questo soggetto sono: i già citati di 1Corinzi, i racconti dettagliati della sua istituzione che troviamo nei tre Vangeli sinottici e Atti 2:42 e 20:7, testi dai quali apprendiamo che la Chiesa neotestamentaria praticava la Cena secondo le istruzioni ricevute dal Signore. Uno dei più bei momenti dei racconti evangelici riguardanti Gesù risorto è certamente quello in cui, nella casa di Emmaus, egli prese il pane, lo benedisse e lo spezzò per darlo ai suoi discepoli che erano con lui. Fu proprio in quel momento e per quell’atto che “gli occhi loro furono aperti e lo riconobbero” (Lu 24:30-31).
Questo “rompere il pane” ha costituito in tutti i secoli uno degli aspetti fondamentali della testimonianza della Chiesa. Quasi ogni movimento religioso d’ispirazione cristiana pratica quest’atto simbolico, in un modo o in un altro. Anche nella letteratura post-apostolica e non canonica (Didachè ecc...) vi sono precisi riferimenti all’osservanza della Cena, anche agli inizi del secondo secolo. Incise sulle pareti delle catacombe di Roma e di altre località ci sono testimonianze chiare sugli incontri vissuti dai credenti di quel tempo, per osservare quest’ordinamento del Signore.
Seppur con presupposti e con convincimenti diversi, questa Cena è stata ricordata negli ambienti più disparati: con grande pompa e cerimoniosità nei templi cattolici; con semplicità e solennità nelle sale di culto delle Chiese modellate secondo le dottrine della riforma, in capanne e baracche nelle stazioni missionarie, senza formalità, da credenti riuniti per obbedire al comandamento del Signore e tesi a vivere non l’aspetto esteriore dell’atto quanto il suo significato biblico ed interiore.
Pur essendoci tanta diversità di forma e di convinzioni, vi è però una somiglianza fondamentale che si nota e, cioè, la presenza dei simboli del pane e del vino, quali segni del corpo e del sangue del Signore.
Molti credenti hanno giustamente voluto tornare alle origini e, abbandonando le tradizioni degli uomini, hanno cercato di ristabilire la pratica della Cena nei modi voluti dal Signore ed indicati dal Nuovo Testamento. Ed una delle caratteristiche particolari che ha contraddistinto questi gruppi di credenti è stata costituita dal fissare una periodicità nella celebrazione della Cena: ogni sette giorni, nel primo giorno della settimana. La scelta di questa caratteristica è stata fondata sul testo di Atti 20:7 (“Il primo giorno della settimana, mentre eravamo riuniti a spezzare il pane...”). È interessante che Luca abbia puntualizzato che, pur essendo presente un predicatore del valore di Paolo, i credenti di Troas non si erano riuniti per ascoltare un bel messaggio, ma lo scopo del loro radunamento era quello di rompere il pane.
All’inizio del diciannovesimo secolo la situazione religiosa della cristianità, relativamente alla pratica della Santa Cena, era più o meno questa:
• nella chiesa cattolica la Cena del Signore era stata trasformata nel rito della Messa, cerimonia ricca di contenuti idolatri e fondata sulla ripetitività del sacrificio di Cristo;
• una parte della chiesa anglicana continuava a seguire l’esempio della chiesa di Roma, anche se il contenuto del libro delle preghiere recitate in comune sembrava dare un’enfasi evangelica alla cerimonia;
• negli ambienti presbiteriani la celebrazione della Cena del Signore era diventata un sacramento trimestrale e semestrale, al quale potevano accedere tutti gli iscritti nel registro di Chiesa, indipendentemente dal loro essere credenti o no;
• i Quacqueri sostenevano addirittura, con una certa noncuranza, che la Cena del Signore, essendo un simbolo, non era necessaria per alimentare la vera religione, dal momento che essa deve fondarsi soprattutto sui valori dello Spirito: le cerimonie, sostenevano i Quacqueri, non sono altro che l’impalcatura di un edificio, necessaria all’inizio, ma che viene messa da parte non appena l’edificio è costruito.
Intorno al 1830 avvenne che alcuni credenti, con chiaro discernimento spirituale e mossi dallo Spirito di Dio, dopo aver a lungo esercitato il loro cuore ed averlo alimentato attraverso lo studio accurato della Parola di Dio e attraverso la preghiera, lasciarono le loro rispettive chiese di appartenenza e iniziarono a radunarsi insieme, secondo i princìpi della Chiesa neotestamentaria.
Ecco alcune caratteristiche dei loro incontri:
• non c’era nessun “ministro” per condurre la riunione, per distribuire il pane e il vino;
• l’incontro, come quello ideale descritto in 1Corinzi 14, era aperto alla partecipazione di chiunque si sentisse spinto a leggere un Salmo, a proporre un inno...;
• l’unica regola era che, nel praticare la Cena del Signore, si doveva seguire l’ordine lasciato nei tre Vangeli sinottici e in 1Corinzi 11.
A questi uomini era costato molto trovarsi su un terreno di fedeltà al Nuovo Testamento e, di conseguenza, la verità che avevano scoperto era per loro molto preziosa, tanto che erano pronti ad essere biasimati e considerati come persone un po’ stravaganti, pur di restare fedeli alla Parola di Dio ed ai princìpi che vi avevano riscoperto.
Noi, che per la grazia di Dio ci troviamo ad essere eredi, seppure lontani, dei princìpi che essi riscoprirono, con quanto poco zelo riteniamo questa eredità!!
Noi che non abbiamo dovuto comprare la verità, siamo troppo pronti oggi a venderla! Ma quale prezzo dovranno pagare le nostre Assemblee, nel futuro, se cederemo a questa vendita?
L’istituzione e i motivi della Cena
A questo punto ci domandiamo:
Perché crediamo che sia necessario osservare la Cena del Signore e radunarci insieme per rompere il pane?
Prima di tutto, lo facciamo per ubbidire ad un comandamento del Signore.
La sera in cui fu tradito, Egli si trovava con i suoi discepoli per consumare insieme la cena pasquale e, ad un certo momento, “prese del pane, rese grazie e lo ruppe, e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo dato per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, dette loro il calice dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi»” (Lu 22:19-20).
Quindi noi celebriamo la Cena del Signore perché lo amiamo e desideriamo ubbidire a quanto egli ci ha chiesto di fare, per ravvivare il ricordo ed il significato del suo sacrificio per noi.
In secondo luogo, lo facciamo per seguire la pratica apostolica.
In Atti 2:42 leggiamo: “Ed erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli, nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere”.
Questo testo ci indica i quattro scopi per realizzare i quali i primi credenti si radunavano:
a) si radunavano per ascoltare l’insegnamento degli apostoli; quest’insegnamento era probabilmente trasmesso sotto forma di una narrazione delle verità esposte dal Signore, degli eventi avvenuti nella sua vita e dei discorsi che Egli aveva fatti: in questo contesto gli avvenimenti della sera dell’ultima Cena avranno sicuramente acquistato un rilievo del tutto particolare;
b) si radunavano per godere la comunione spirituale e materiale: espressione del loro essere “uno” in Cristo;
c) si radunavano per rompere il pane
d) si radunavano per pregare.
È interessante notare che non viene data nessuna spiegazione all’espressione “rompere il pane”. Ciò significa probabilmente che, quando Luca scrisse questo testo, questa espressione era diventata ormai un’espressione abituale per indicare la Cena del Signore. Quindi era del tutto superfluo entrare in spiegazioni particolari, perché si trattava di un concetto ben chiaro, così quanto i concetti di “insegnamento”, di “comunione” e di “preghiera”.
Dunque, noi rompiamo il pane in ubbidienza al Signore e perché la Cena è stata praticata dagli apostoli e dai primi cristiani fin dai momenti immediatamente successivi alla nascita della Chiesa.
Come già abbiamo detto, dal testo di Atti 20:7 possiamo dedurre che la primitiva Chiesa avesse acquisito l’usanza di radunarsi ogni primo giorno della settimana per rompere il pane. Confrontando questo stesso testo con 1Corinzi 16:2 (“Ogni primo giorno della settimana ciascuno di voi, a casa, metta da parte quello che potrà...”) è evidente che a questo giorno veniva dato un valore del tutto particolare. Se per la celebrazione della Cena fu scelto “il primo giorno” della settimana, ciò avvenne per un collegamento abbastanza chiaro con il giorno della resurrezione (Mt 28:1; Mr 16:2; Lu 24:1; Gv 20:1; da notare che l’indicazione del giorno della resurrezione è uno dei pochi particolari annotato da tutti e quattro gli evangelisti).
Il rompere il pane è quindi un atto:
• che ha l’autenticazione divina;
• che ha un inizio storicamente e biblicamente documentato;
• che ha avuto un’immediata attuazione da parte degli apostoli.
Il significato della Cena
Abbiamo già accennato abbastanza diffusamente al significato di quest’atto che il Signore ci richiede di compiere, ma converrà puntualizzare alcuni aspetti fondamentali:
1. È un atto di commemorazione comune.
La “memoria”, il ricordo del Signore, deve essere, al di là di ogni altra considerazione, il vero motivo di quest’atto simbolico. Lasciando da parte tutto ciò che è dell’uomo, la Chiesa deve trovarsi riunita per esprimere, nell’unità dei suoi membri, il proprio amore, la propria devozione, la propria volontà di servizio a colui che è morto e risorto per lei.
2. È una celebrazione trionfale.
Celebrare la Cena è possibile perché Cristo, oltre ad essere morto per noi, “ha distrutto la morte e ha messo in luce la vita e l’immortalità mediante l’Evangelo” (2Timoteo 1:10).
Cioè: noi non celebriamo il memoriale di un morto, il che porterebbe il nostro Signore sullo stesso gradino degli eroi e dei martiri della storia... no! Egli infatti vive, perché è gloriosamente risuscitato dai morti. Il rompere il pane, quindi, celebra il trionfo di Cristo sulla morte: un trionfo al quale ogni credente viene associato per la fede.
3. È un atto di partecipazione individuale.
Ogni credente è chiamato a rompere il pane e a bere il vino del calice. Il rompere il pane, infatti, non si riferisce all’atto di una persona particolare, come, ad esempio, a quello del fratello che si fa avanti per romperlo e per distribuirlo.
Il compimento di quanto il Signore ha comandato di fare si realizza nel momento in cui ognuno, individualmente, rompe il pane per prendere la sua parte e mangiarla.
Non si deve pensare che ogni credente annunci la morte del Signore quando un fratello si alza, si avvicina alla tavola, rompe il pane e versa il vino nel calice. Avere un simile pensiero significherebbe essere condizionati non da ciò che il Signore insegna, ma piuttosto da consuetudini tipicamente clericali. La Scrittura ci ricorda con chiarezza che l’annuncio viene fatto dal mangiare e dal bere dei credenti (“Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete questo calice, voi annunciate la morte del Signore”, 1Co 11:26).
Ogni credente, nel momento in cui partecipa alla Cena, non è chiamato soltanto a ricordare e ad annunciare la morte del Signore, ma anche ad esaminare sé stesso (“Ora ciascuno esamini se stesso, e così mangi del pane e beva del calice”, 1Co 11:28).Quindi la partecipazione alla Santa Cena è un atto di responsabilità individuale, davanti al Signore e davanti alla Chiesa. La Chiesa ha la responsabilità di discernere che coloro che si accostano alla Cena siano tutti credenti battezzati.
Ma vi è anche una responsabilità individuale quasi di maggior peso: quella del credente che deve essere profondamente consapevole del significato e del valore dell’atto che sta compiendo. L’esame, come appare chiaro dal testo sopracitato, non deve avere come fine quello di astenersi dalla Cena, quanto piuttosto quello di confessare il proprio peccato per realizzare la gioia del perdono “e così” mangiare il pane e bere del calice.
Infatti, il credente che si astenesse dalla Cena, dopo essersi esaminato ed essersi trovato mancante, manifesterebbe sfiducia nella sufficienza dell’opera di Cristo (1Gv 1:9). Nel caso in cui il peccato coinvolga altre persone, è chiaro che la questione deve essere messa a posto ancor prima dell’incontro per la Cena.
Lo scopo della Cena del Signore
La Scrittura non ci lascia alcun dubbio circa lo scopo della Cena. Il Signore disse: “Fate questo in memoria di me” (Lu 22:19).
Leggendo 1Corinzi 11:20-34, impariamo che il Signore aveva in mente altri scopi quando ha istituito la Cena:
• il discernimento del suo corpo (v. 29);
• l’annuncio della sua morte (v. 26);
• l’attesa del suo ritorno (v. 26).
Vengono poi segnalati altri due aspetti, che abbiamo del resto già considerato, e cioè:
• la necessità di un autoesame prima di prendere i simboli (vv. 28,31);
• il dovere di tenere ben presente che il parteciparvi in uno stato di mancato discernimento, può essere causa del giudizio del Signore su di noi (v.30).
Sicuramente l’unico scopo che ha bisogno di una spiegazione, per essere meglio compreso, è il primo: il discernimento del corpo del Signore.
In quale modo il credente deve discernere il corpo del Signore?
L’unico modo in cui può farlo è spiritualmente. Cioè, mentre mangia il pane e beve del calice, il credente afferra per fede la realtà rappresentata dai simboli. Egli vede nel pane e nel vino un simbolo, cioè un mezzo che Dio gli offre per ravvivare alla sua mente e al suo cuore il valore del corpo e del sangue del suo Signore e Salvatore Gesù.
La Parola di Dio, in relazione al corpo del Signore, ci dice che:
• fu preparato per l’incarnazione (Eb 10:5-10);
• fu concepito dallo Spirito Santo (Lu 1:30-35);
• nacque da una vergine (Mt 1:18-23);
• si manifestò senza peccato (Eb 7:26);
• in esso erano perfettamente unite la deità e l’umanità (Is 9:6);
• fu offerto in sacrificio espiatorio (1P 2:24);
• fu risuscitato con trionfo dalla tomba;
• fu visto e toccato dopo la resurrezione (Lu 24:36-43);
• è ora, glorificato, alla destra della Maestà (Lu 24:50-53; At 1:9-11: Eb 7:16).
Se discernere il corpo del Signore è, come crediamo, tutto questo, c’è veramente un profondo significato spirituale da realizzare quando ci accostiamo alla Cena.
Relazione fra i due simboli: il Battesimo e la Cena
Nella Chiesa neotestamentaria, così come ci è possibile comprendere da diversi testi della Scrittura, veniva riconosciuto e praticato un ordine, semplice, logico e coerente fra i diversi momenti della vita cristiana e i simboli che ne erano testimonianza.
Una persona che aveva ascoltato l’annuncio della Parola di Dio e che ne era rimasta toccata, rispondendo all’appello del Signore al ravvedimento e alla fede, realizzava nella sua nuova vita le meravigliose realtà della conversione e della nuova nascita. Dopodiché essa veniva battezzata e ammessa alla vita della Chiesa: da quel momento poteva partecipare alla Santa Cena.
Tutti i problemi e le difficoltà che sono sorti fra le cosidette chiese “storiche” (e che si manifestano a volte anche nel nostro ambiente), sono il risultato dell’abbandono dell’ordine stabilito da Dio. La soluzione a queste difficoltà e a questi problemi si può trovare soltanto in un ritorno alla Parola di Dio, in un ritorno al Modello di Chiesa.
Ogni volta, infatti, in cui nel Nuovo Testamento si parla di Cena del Signore, è abbastanza evidente che tutte le persone coinvolte nella riflessione erano credenti battezzati (At 2:42,46; 1Co 10:15 e 11:23 ...).
E non potrebbe essere diversamente, se pensiamo al fatto che, nel momento stesso della fondazione della Chiesa, l’apostolo Pietro si preoccupò di associare la necessità del ravvedimento a quella del battesimo (At 2:38,41). Inoltre, in diverse delle lettere indirizzate a chiese locali, si fa un chiaro riferimento al fatto che tutti i loro membri riconosciuti erano passati attraverso la testimonianza del battesimo (Ro 6:3, 11; 1Co 1:13 e 12:13; Ga 3:27; Cl 2:11-12).
Pur se siamo convinti che l’autorità della Parola sia pienamente sufficiente anche per chiarire quest’aspetto della vita della Chiesa, non ci sembra inopportuno ricordare che:
1. Vi sono testimonianze post-apostoliche che confermano senza incertezze questa pratica unanime della Chiesa neotestamentaria di riconoscere come membri della comunità locale (e quindi di ammettere a partecipare alla Cena) soltanto i credenti che erano stati battezzati.
2. In tutte le diverse confessioni religiose che s’ispirano al cristianesimo, il battesimo precede obbligatoriamente l’inserimento nella Chiesa, pur se, come abbiamo già ampliamente considerato, vi sono deviazioni anche gravissime dall’insegnamento del Signore.
Detto questo, vale la pena di ricordare, anche se ci auguriamo che sia una annotazione superflua per tutti, che gli inconvertiti erano assolutamente esclusi dal partecipare alla Cena (1Cor 10:16, 17, 21).
Concludendo questa parte, è bene ricordare che non c’è nulla che abbia importanza quanto il radunarsi per ricordare il Signore e per annunciare la sua morte nel trionfo della resurrezione e nella gioiosa attesa del suo ritorno.
La Cena del Signore deve avere quindi il primo posto nell’adorazione dei santi. Così era per la Chiesa primitiva: tutto il resto prendeva il secondo posto.
Così possa essere anche per ciascuna delle nostre Assemblee!
Testo preparato per l’incontro Anziani 1984, a cura di fratelli delle Assemblee di Anghiari, Città di Castello e Perugia
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