Caro Eberhard, un altro mese se n’è andato – anche a te il tempo passa veloce come a me, qui? Spesso me ne meraviglio – ma quando arriverà il mese in cui tu tornerai da Renate, io da Maria, e noi saremo nuovamente insieme? Avverto così fortemente la sensazione che ogni giorno il mondo può essere messo in movimento da grandi avvenimenti capaci di mutare completamente i nostri rapporti personali, che mi fa piacere scriverti molto più frequentemente; questo già per il fatto che non si sa fino a quando ciò sarà possibile, e soprattutto perché si avverte il desiderio di comunicarsi reciprocamente ogni cosa il più spesso e il più a lungo possibile. Sono fortemente persuaso che prima che tu riceva questa lettera grandi fatti decisivi saranno già in moto su tutti i fronti. In queste settimane bisognerà avere una grande stabilità interiore; ti auguro di esserne in grado. Bisognerà avere la massima concentrazione, per non spaventarsi di nulla. Pensando a ciò che sta per arrivare, sono quasi portato a citare il biblico δεĩ («è necessario») e avverto un po’ della “curiosità” degli angeli, di cui parla 1Pt 1,12440, di vedere come Dio si accinga a risolvere ciò che pare irrisolvibile. Credo che ormai siamo al punto in cui Dio si appresta a compiere qualcosa che, pur con tutto il nostro coinvolgimento esteriore e interiore, noi potremmo accogliere solo con grande stupore, timore e reverenza. Sarà in qualche modo visibile – per chi sia mai capace di vedere – che è vero ciò che dicono i Salmi 58,12b e 9,20s441; e ogni giorno dovremo ripeterci Ger 45,5442. Attraversare questi momenti sarà per te anche più difficile che per me, lontano come sei da Renate e dal tuo bambino; perciò ti penserò in modo particolare, e lo faccio già ora. Mi sembra che sarebbe stata una cosa molto buona per tutt’e due se avessimo potuto vivere insieme questo periodo, e avessimo potuto esserci di aiuto vicendevolmente. Ma è certamente “meglio” che non sia così, e che ciascuno debba cavarsela da solo. Mi pesa non poter esserti d’aiuto in nulla – se non pensandoti ogni mattina, ogni sera, leggendo la Bibbia e ancora molte altre volte al giorno. 

Per me, non devi assolutamente preoccuparti; io sto straordinariamente bene; te ne meraviglieresti, se tu venissi a trovarmi. La gente qui mi ripete continuamente – cosa che, come vedi, mi lusinga molto – che da me «promana una tale calma», e che sono «sempre così sereno» che le occasionali esperienze in contrario che faccio con me stesso sul piano personale devono fondarsi su un equivoco (il che io però non credo affatto!). Ti meraviglieresti, o forse ti preoccuperesti tutt’al più delle mie idee teologiche e delle loro conseguenze, e da questo punto di vista mi manchi davvero molto; perché non saprei con chi altro potrei parlarne in modo che il farlo costituisca per me una chiarificazione. Ciò che mi preoccupa continuamente è la questione di che cosa sia veramente per noi, oggi, il cristianesimo, o anche chi sia Cristo. È passato il tempo in cui questo lo si poteva dire agli uomini tramite le parole – siano esse parole teologiche oppure pie –; così come è passato il tempo della interiorità e della coscienza, cioè appunto il tempo della religione in generale. Stiamo andando incontro ad un tempo completamente non religioso; gli uomini, così come ormai sono, semplicemente non possono più essere religiosi. Anche coloro che si definiscono sinceramente “religiosi”, non lo mettono in pratica in nessun modo; presumibilmente, con “religioso” essi intendono qualcosa di completamente diverso. Il nostro annuncio e la nostra teologia cristiani nel loro complesso, con i loro 1900 anni, si basano però sull’“apriori religioso” degli uomini. Il “cristianesimo” è stato sempre una forma (forse la vera forma) della “religione”. Ma se un giorno diventa chiaro che questo “apriori” non esiste affatto, e che s’è trattato invece di una forma d’espressione umana, storicamente condizionata e caduca, se insomma gli uomini diventano davvero radicalmente non religiosi – e io credo che più o meno questo sia già il caso (da che cosa dipende ad esempio il fatto che questa guerra, a differenza di tutte le precedenti, non provoca una reazione “religiosa”?), che cosa significa allora tutto questo per il “cristianesimo”? Vengono scalzate le fondamenta dell’intero nostro “cristianesimo” qual è stato finora, e noi “religiosamente” potremo raggiungere soltanto qualche “cavaliere solitario” o qualche persona intellettualmente disonesta. 

Dovrebbero essere questi i pochi eletti? Dovremmo gettarci zelanti, stizziti o sdegnati proprio su questo equivoco gruppo di persone per smerciar loro la nostra mercanzia? Dovremmo noi aggredire qualche infelice colto in un momento di debolezza e per così dire, violentarlo religiosamente? Se non vogliamo niente di tutto questo, se alla fine anche la forma occidentale del cristianesimo dovessimo giudicarla solo uno stadio previo rispetto ad una totale non religiosità, che situazione ne deriverebbe allora per noi, per la Chiesa? Come può Cristo diventare il signore anche dei non religiosi? Ci sono cristiani non religiosi? Se la religione è solo una veste del cristianesimo – e questa veste ha assunto essa pure aspetti molto diversi in tempi diversi – che cos’è allora un cristianesimo non religioso? Barth, che è stato l’unico ad aver cominciato a pensare in questa direzione, non ha poi portato a termine e pensato fino in fondo queste idee, ma è pervenuto invece ad un positivismo della rivelazione (Offenbarungspositivismus) che in fin dei conti s’è ridotto ad una sostanziale restaurazione. Qui l’operaio non religioso o l’uomo in generale non hanno guadagnato nulla di decisivo. Le risposte cui bisognerebbe rispondere sono invece: che cosa significano una Chiesa, una comunità, una predicazione, una liturgia, una vita cristiana in un mondo non religioso? Come parliamo di Dio – senza religione, cioè appunto senza i presupposti storicamente condizionati della metafisica, dell’interiorità ecc. ecc.? Come parliamo (o forse appunto ormai non si può più “parlarne” come s’è fatto finora) “mondanamente” (weltlich) di “Dio”, come siamo cristiani “non religiosi-mondani”, come siamo ἐκ-κλησία, cioè chiamati-fuori, senza considerarci religiosamente favoriti, ma piuttosto in tutto e per tutto appartenenti al mondo? Cristo allora non è più oggetto della religione, ma qualcosa di totalmente diverso, veramente il signore del mondo. Ma che significa questo? Che significato hanno il culto e la preghiera nella non religiosità? Acquista forse una nuova importanza a questo punto la disciplina dell’arcano, ovvero la mia distinzione (che tu già conosci) tra penultimo e ultimo? Oggi devo interrompere, perché la lettera può partire proprio ora. Tra un paio di giorni ti scriverò ancora su questi argomenti. Spero che tu capisca approssimativamente ciò che intendo, e che non ti annoi. Nel frattempo stammi bene! Non è sempre facile scrivere senza ricevere reazioni in risposta. Scusa se dunque quanto scrivo tende a diventare un po’ monologico! Fedelmente ti pensa il tuo Dietrich

Non ti rimprovero affatto perché non scrivi. Hai molte altre cose da fare! Posso comunque scrivere ancora un po’. – La questione paolina, se la περιτομή (circoncisione) sia condizione della giustificazione, oggi secondo me equivale a chiedersi se la religione sia condizione della salvezza. La libertà dalla περιτομή è anche libertà dalla religione. Spesso mi chiedo perché un “istinto cristiano” mi spinga frequentemente verso le persone non religiose piuttosto che verso quelle religiose, e ciò assolutamente non con l’intenzione di fare il missionario, ma potrei quasi dire “fraternamente”. Mentre davanti alle persone religiose spesso mi vergogno a nominare il nome di Dio – perché in questa situazione mi pare che esso suoni in qualche modo falso, e io stesso mi sento un po’ insincero (particolarmente brutto è quando gli altri cominciano a parlare in termini religiosi; allora ammutolisco quasi del tutto, e la faccenda diventa per me in certo modo soffocante e sgradevole) – davanti alle persone non religiose in certe occasioni posso nominare Dio in piena tranquillità e come se fosse una cosa ovvia. Le persone religiose parlano di Dio quando la conoscenza umana (qualche volta per pigrizia mentale) è arrivata alla fine o quando le forze umane vengono a mancare – e in effetti quello che chiamano in campo è sempre il deus ex machina, come soluzione fittizia a problemi insolubili, oppure come forza davanti al fallimento umano; sempre dunque sfruttando la debolezza umana o di fronte ai limiti umani; questo inevitabilmente riesce sempre e soltanto finché gli uomini con le loro proprie forze non spingono i limiti un po’ più avanti, e il Dio inteso come deus ex machina non diventa superfluo; per me il discorso sui limiti umani è diventato assolutamente problematico (sono oggi ancora autentici limiti la morte, che gli uomini quasi non temono più, e il peccato, che gli uomini quasi non comprendono?); mi sembra sempre come se volessimo soltanto timorosamente salvare un po’ di spazio per Dio; – io vorrei parlare di Dio non ai limiti, ma al centro, non nelle debolezze, ma nella forza, non dunque in relazione alla morte e alla colpa, ma nella vita e nel bene dell’uomo. Raggiunti i limiti, mi pare meglio tacere e lasciare irrisolto l’irrisolvibile. La fede nella resurrezione non è la “soluzione” del problema della morte.

L’“aldilà” di Dio non è l’aldilà delle capacità della nostra conoscenza! La trascendenza gnoseologica non ha nulla a che fare con la trascendenza di Dio. È al centro della nostra vita che Dio è aldilà. La Chiesa non sta lì dove vengono meno le capacità umane, ai limiti, ma sta al centro del villaggio. Così stanno le cose secondo l’Antico Testamento, e noi leggiamo il Nuovo Testamento ancora troppo poco a partire dall’Antico. Attualmente sto riflettendo molto su quale aspetto abbia questo cristianesimo non religioso, e quale forma esso assuma; te ne scriverò presto ancora e più a lungo. Forse a questo proposito a noi che ci troviamo al centro tra est ed ovest tocca un compito importante. Adesso devo veramente chiudere. Come sarebbe bello sentire finalmente una tua parola su tutto questo. Per me significherebbe molto, più di quanto presumibilmente tu possa valutare. Leggi eventualmente Pr 22,11.12443. Vi trovi un argine contro qualsiasi fuga camuffata da atteggiamenti pii. Tanti, tanti auguri! Di cuore, il tuo Dietrich

Bonhoeffer, Dietrich. Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere . San Paolo Edizioni. Edizione del Kindle. 

[Tegel] - 30 aprile 1944

 

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