La differenza tra l'essere un "religioso" evangelico e un discepolo di Cristo è la stessa che c'è tra l'inferno il paradiso. Pronto a uscire fuori dal "teatrino?". E' impossibile andare a nord senza volgere le spalle a sud. E se non è possibile avere lo Spirito senza possedere almeno una piccola misura della verità, è invece possibile, disgraziatamente, possedere l'involucro della verità senza lo Spirito. La nostra speranza è che possiamo possedere sia lo Spirito che la verità nella misura più piena.
Contenuto libro
PREFAZIONE 71 L’eterno continuum 13
2 In parole o in potenza 23
3 Il mistero della chiamata 35
4 Vittoria attraverso la disfatta 43
5 Il dimenticato 53
6 L’illuminazione dello Spirito 63
7 Lo Spirito come potenza 71
8 Lo Spirito Santo come fuoco 79
9 Perché il mondo non lo può' ricevere… 93
10 La vita ripiena di Spirito Santo 103
L'Eterno Continuum
"Come sono stato con Mosè
così sarò teco. . . "
Giosuè 1:5
L'incondizionata priorità di Dio nel suo universo è una verità celebrata sia nell'Antico Testamento che nel Nuovo. Il profeta Habacuc la cantò nel suo linguaggio estatico: "Non sei tu ab antico, o Eterno, il mio Dio, il mio Santo?" L'apostolo Giovanni si espresse con parole sapientemente misurate e piene di significato: "Nel principio era la Parola, e la Parola era con Dio e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta".
Questa verità è tanto necessaria per raddrizzare i pensieri riguardo Dio e noi stessi, che non potrà mai essere abbastanza sottolineata. E' una verità nota a tutti, una specie di proprietà comune a tutte le persone religiose, ma proprio perché è comune, essa ha per noi ben poco significato. Ha subìto il destino di cui Coleridge scrive: "Le verità, e di tutte le verità soprattutto le più terribili e le più interessanti, sono troppo spesso considerate come tanto vere, che finiscono per perdere tutta la potenza della verità e giacciono nel dimenticatoio dell'anima, accanto ai più esecrati e grossolani errori". La priorità di Dio è una di queste verità dimenticate. Io cercherò di fare tutto ciò che posso, per trarla fuori dallo stato di dimenticanza in cui è caduta, proprio a causa del fatto di essere riconosciuta da tutti. Le verità cristiane trascurate, possono riacquistare vita solo quando, per mezzo della preghiera e della lunga meditazione, le isoliamo dalla massa delle idee vaghe di cui sono piene le nostre menti, e le teniamo con fermezza e con determinazione al centro della nostra attenzione.
Per tutte le cose Dio è il grande Antecedente. Poiché Egli è, noi siamo e tutte le altre cose sono. Egli è quell'Essere "spaventoso e senza principio", causa di se stesso, contenuto in se stesso e sufficiente a se stesso. Faber ebbe una visione di questa realtà quando scrisse il suo grande inno per celebrare l'eternità di Dio.
Tu non hai giovinezza, o grande Iddio,
Tu sei fine senza principio,
La tua gloria dimorò in te stesso,
Ed ancora dimora nel tuo cuore:
Nessuna età può raggiungerti con i suoi anni:
Amato Iddio! Tu sei in te stesso l'Eternità.
Non sorvolate su questi versi come su quelli di una poesia qualunque. La differenza tra una vita cristiana ricca e qualsiasi altra vita, sta nella qualità dei nostri concetti religiosi, e le idee espresse in questi sei versi possono essere come i pioli della scala di Giacobbe, i quali elevano ad un'idea più salda e soddisfacente di Dio.
Non possiamo avere un'idea esatta di Dio finché non cominciamo a pensare a Lui, come a qualcosa di presente e presente nel principio. Giosuè dovette impararlo. Egli era stato per tanto tempo il servitore di Mosè, servitore di Dio, ed aveva con tanta sicurezza ricevuto la Parola di Dio dalla bocca di Mosè che questi e l'Iddio di Mosè si erano fusi in un'idea sola. Ora Mosè era morto, e affinché il giovane Giosuè non fosse sommerso dalla disperazione, Dio gli parlò per rassicurarlo: "Come sono stato con Mosè, così sarò teco". Mosè era morto, ma l'Iddio di Mosè era ancora vivente. Nulla era cambiato e nulla era andato perduto. Nulla di Dio muore quando muore un uomo di Dio.
"Come sono stato... così sarò...". Solo Dio poteva dire questo. Solo l'Eterno poteva rimanere fermo nel suo eterno IO SONO e dire: "Sono stato" e "sarò".
Qui noi riconosciamo (e vi sono timore e meraviglia nel nostro pensiero) l'essenziale unità della natura di Dio e l'eterna persistenza del Suo Essere immutabile attraverso il tempo e l'eternità. Qui cominciamo a vedere e a sentire l'Eterno Continuum. Cominciamo dove vogliamo, Dio è sempre stato lì. Egli è l'Alfa e l'Omega, l'inizio e la fine, colui che era, che è e che viene, l'Onnipotente. Se risaliamo a tastoni ai più remoti limiti del pensiero, laddove l'immaginazione tocca il vuoto precedente la creazione, vi troviamo Dio. Con un'unica occhiata Egli abbraccia contemporaneamente tutte le cose svoltesi nel corso di tutta l'eternità, ed il fremito che l'ala di un serafino risentirà fra mille epoche è visto ora da Lui senza alcun movimento dei Suoi occhi.
Un tempo avrei considerato questi pensieri come mera cianfrusaglia metafisica, senza alcun valore pratico per chi viva in un mondo come il nostro. Ora io li reputo solide verità, facili da afferrare e dotate di illimitato potenziale per l'ascesa verso il bene. Non avere una giusta visione di queste verità all'inizio della nostra vita cristiana, può determinare debolezza e sterilità per il resto dei nostri giorni. La causa dell'imperfezione di tanta della nostra esperienza spirituale, non potrebbe essere forse ritrovata nel fatto che siamo abituati a sfarfallare nei corridoi del Regno come ragazzini in una piazza di mercato, pronti a chiacchierare di tutto, ma incapaci di fermarci a imparare il vero valore di qualsiasi cosa?
Nella mia impazienza umana, spesso sono spinto a desiderare che i cristiani possano essere condotti ad una vita spirituale più profonda, per mezzo di qualche metodo indolore o di qualche lezione breve e facile: ma tali desideri sono vani. Non esiste nessuna scorciatoia. Dio non si è inchinato davanti alla nostra fretta febbrile e non ha abbracciato i metodi della nostra era meccanizzata. E' bene che accettiamo questa dura verità adesso: L'uomo che vuole conoscere Dio deve consacrargli del tempo. Non deve considerare tempo perduto quello che è impiegato per coltivare questa conoscenza; deve darsi continuamente alla meditazione ed alla preghiera. Così fecero i santi dell'antichità, la gloriosa compagnia degli apostoli, la pia falange dei profeti e i credenti della santa Chiesa durante tutti i secoli. E così dobbiamo fare noi se vogliamo continuare nei loro sentieri. Dobbiamo dunque pensare a Dio come Colui che mantiene l'unità del Suo Essere increato attraverso tutte le Sue opere e attraverso il tempo, come Colui che non solo dice: "Io feci" e "Io farò", ma anche "Io faccio" e "Io sto compiendo".
Una fede solida richiede che afferriamo fermamente questa verità, eppure sappiamo che un simile pensiero si affaccia assai raramente alla nostra mente. Noi abitualmente stiamo saldi sul nostro ora e, per fede, guardiamo indietro per vedere il passato pieno di Dio. Guardiamo avanti e vediamo Dio abitare il nostro futuro; ma il nostro ora è inabitato, se non solo da noi stessi. Così ci rendiamo colpevoli di una specie di ateismo momentaneo che ci lascia soli nell'universo mentre, per quel momento, Dio non esiste. Noi parliamo di Lui molto e ad alta voce, ma in segreto lo consideriamo come assente e consideriamo noi stessi come viventi in una parentesi fra il Dio che era e il Dio che sarà. E siamo soli di un'antica e cosmica solitudine. Noi assomigliamo tutti ad un bambino sperso in un mercato affollato: egli si è allontanato solo di pochi metri dai piedi di sua madre, ma è inconsolabile perché non la può vedere. Perciò cerchiamo con ogni mezzo che ci offre la religione di calmare i nostri timori e di guarire la nostra tristezza nascosta; ma nonostante i nostri sforzi rimaniamo infelici, con la disperazione propria dell'uomo solo in un vasto e deserto universo.
Ma nonostante tutti i nostri timori non siamo soli. Il male è che pensiamo di essere soli. Correggiamo il nostro errore immaginandoci ritti sulla sponda di un fiume che scorra in tutta la sua pienezza; immaginiamo poi che quel fiume non sia altro che Dio stesso. Guardiamo alla nostra sinistra e vediamo il fiume scorrere verso noi pieno del nostro passato; guardiamo a destra e lo vediamo scorrere via verso il nostro futuro. Ma lo vediamo scorrere anche attraverso il nostro presente. Ed oggi è lo stesso che era ieri, non più piccolo, né diverso, fiume sempre uguale, un ininterrotto continuum, mai diminuito, attivo e forte mentre si muove sovrano verso il nostro domani.
Ovunque la fede è stata originale, dovunque ha dimostrato di essere reale, ha sempre recato con sè l'impronta della presenza di Dio. Le Sacre Scritture possiedono in misura marcata questo senso di un vero e proprio incontro con una Persona reale. Gli uomini e le donne della Bibbia parlarono con Dio; gli parlarono e lo udirono parlare con parole che essi potevano comprendere. Con Lui ebbero conversazioni dirette e nelle loro parole e nelle loro opere vi è un senso di splendente realtà.
I profeti del mondo, gli psicologi increduli (quei cercatori ciechi che cercano una luce che non è la luce di Dio) sono stati obbligati a riconoscere alla base dell'esperienza religiosa il senso della presenza di qualche cosa. Ma molto migliore è il senso della presenza di Qualcuno. Era quello che riempiva di incessante meraviglia i primi membri della Chiesa di Cristo. La gioia solenne che quegli antichi discepoli conoscevano, sgorgava direttamente dalla convinzione che Uno era presente in mezzo a loro. Essi sapevano che la Maestà nei cieli li incontrava sulla terra: essi erano veramente alla presenza di Dio. La potenza di questa convinzione che sapeva attirare e mantenere l'attenzione di un uomo per tutta una vita, elevandolo, trasformandolo e riempiendolo di una incontenibile felicità morale, per cui era capace di andare in prigione ed alla morte cantando, è stata uno dei miracoli della storia ed un oggetto di meraviglia per il mondo.
I nostri padri ci hanno parlato, ed i nostri cuori lo confermano, di come sia meraviglioso il senso della presenza di Qualcuno. Tutto ciò rende la religione invulnerabile dagli attacchi della critica ed assicura la mente contro la caduta e i colpi del nemico. Coloro che adorano l'Iddio che è presente possono ignorare le obiezioni dell'incredulo. La loro esperienza si conferma da sola e non ha bisogno nè di difesa nè di prova. Ciò che essi vedono e odono travolge i loro dubbi e conferma la loro certezza al di sopra della forza di ogni argomentazione tendente a demolire.
Alcuni che desiderano essere dottori della Parola, ma che non comprendendo nè ciò che dicono, nè ciò che affermano, insistono sulla "semplice" fede come sull'unico mezzo necessario per conoscere le cose spirituali. Con questo intendono una convinzione riguardo la veridicità della Parola di Dio (convinzione, si può notare, che anche i diavoli condividono con loro). Ma l'uomo che ha ricevuto anche in poca misura l'insegnamento dello Spirito, si ribellerà davanti a questa perversione. Il suo linguaggio sarà: "Io l'ho udito e l'ho osservato. Che cosa ho più a che fare con gli idoli?" Poiché egli non può amare un Dio che non è altro che una deduzione tratta da un testo. Egli anelerà a conoscere Dio con una profondità vitale che supera le parole, e a vivere nell'intimità di una comunione personale con Lui. "Ricercare il nostro Dio solamente nei libri e negli scritti significa cercare il vivente fra i morti; molte volte lo cerchiamo, ma invano, proprio là dove troppo spesso è più sepolto che messo in luce. Nel migliore dei casi viene intravisto in maniera intellettuale. Ma noi dobbiamo vedere con i nostri occhi, udire con le nostre orecchie e le nostre mani devono toccare Parola della vita." Nulla può sostituire il tocco di Dio in un'anima ed il senso della presenza di Qualcuno. La vera fede, in realtà, conduce a questa esperienza, poiché la vera fede non è mai opera della ragione basata su testi. Dove esiste la vera fede, la conoscenza di Dio è data come una consapevolezza completamente distinta dalle conclusioni della logica.
Se uno si svegliasse nella fitta oscurità della notte al rumore del passo di qualcuno nella sua stanza, sapendo che la presenza invisibile è quella di un membro amato della sua famiglia il quale ha ogni diritto di essere in quella stanza, si sentirebbe invadere il cuore da un senso di serena tranquillità; ma se avesse ragione di credere che un intruso sia entrato per rubare o uccidere, giacerebbe terrorizzato con gli occhi sbarrati nell'oscurità senza sapere da quale parte giungerebbe il colpo atteso. Ma la differenza fra esperienza e non-esperienza sarebbe data dall'acuto senso della presenza di qualcuno. Non è forse vero che per la maggior parte di noi che ci chiamiamo cristiani non vi è stata un'esperienza reale? Abbiamo sostituito un incontro personale con delle idee teologiche; siamo pieni di nozioni di religione, ma la nostra grande debolezza è determinata dal fatto che i nostri cuori sono vuoti.
Qualunque siano le altre cose che la comportino, una vera esperienza cristiana deve sempre includere un reale incontro con Dio. Senza di esso la religione non è che un'ombra, un riflesso della realtà, una brutta copia di un originale posseduto un tempo da qualcuno di cui abbiamo udito parlare. Non vi può essere più grande tragedia nella vita di un uomo che il vivere in una chiesa dall'infanzia alla vecchiaia senza conoscere nulla di più reale di un dio sintetico composto di teologia e di logica, senza occhi per vedere, senza orecchi per udire e senza cuore per amare.
I giganti spirituali del tempo passato erano uomini che in un punto della loro vita erano divenuti acutamente coscienti della presenza vera di Dio e che avevano mantenuto questa consapevolezza attraverso tutta la loro vita. Il primo incontro può essere stato caratterizzato dal terrore, come quando "Uno spavento, un'oscurità profonda" caddero su Abramo, o come quando Mosè presso il pruno si nascose il viso perché aveva paura di guardare Dio. Generalmente questo timore perdette presto il suo fondo di terrore mutandosi, dopo poco, in una dilettosa contemplazione che si dissolveva infine in un senso pieno di riverenza della completa vicinanza a Dio. Il punto essenziale è che essi conobbero Dio per esperienza. In quale altro modo si possono spiegare i santi ed i profeti? In quale altro modo possiamo valutare la straordinaria influenza benefica che hanno esercitata su innumerevoli generazioni? Non fu forse per il fatto che camminarono in una comunione cosciente con la Presenza reale e che rivolsero le loro preghiere a Dio con la schietta convinzione di rivolgersi a Qualcuno che era veramente accanto a loro?
Senza dubbio abbiamo sofferto la perdita di molti tesori spirituali semplicemente perché abbiamo sottovalutato la verità che il miracolo della perpetuazione della vita è in Dio. Dio non creò la vita per poi gettarla via, lontana da sè, come qualche artista petulante deluso dalla sua opera. Tutta la vita è in Lui e fuori di Lui, sgorga da Lui e torna nuovamente a Lui, come un mare scorrente e indivisibile di cui Egli stesso è l'origine. Quella vita eterna che era con il Padre è ora possedimento di uomini credenti, e questa vita non è solo il dono di Dio, ma è anche Dio stesso.
La redenzione non è un'opera strana che Dio, ad un certo punto, si appartò per compiere; ma piuttosto, è la Sua stessa opera compiuta in un ambito nuovo, l'ambito della catastrofe umana. La rigenerazione di un'anima credente è solo la ricapitolazione di tutta la Sua opera compiuta dal momento della creazione. E' difficile sfuggire al parallelo fra la creazione descritta nell'Antico Testamento e la rigenerazione descritta nel Nuovo. In che modo, per esempio, la condizione di un'anima perduta poteva essere descritta meglio che dalle parole "informe e vuota" e dalla espressione "le tenebre coprivano la faccia dell'abisso?". E in che modo il forte anelito del cuore di Dio per l'anima perduta poteva essere descritto in maniera migliore del dire che "lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque"? E da quale sorgente poteva venire la luce su quell'anima avvolta dal peccato, se Dio non avesse detto: "Sia la luce"? Alla Sua parola la luce irrompe e l'uomo perduto si leva per bere la vita eterna e per seguire la Luce del mondo. Come l'ordine e la fecondità seguirono l'antica creazione, così l'ordine morale e la fecondità spirituale seguono l'esperienza spirituale dell'uomo. E noi sappiamo che Dio è lo stesso e che i suoi anni non vengono meno. Egli agirà sempre in maniera coerente a se stesso, ovunque Egli sia trovato all'opera e qualunque sia l'opera che Egli compia.
Noi abbiamo bisogno di essere liberati dal nostro vano e debilitante desiderio di tornare e di recuperare il passato. Dobbiamo cercare di essere liberati dall'idea infantile che vivere al tempo di Abrahamo o ai giorni di Paolo sarebbe stato meglio che vivere oggi. Con Dio i giorni di Abrahamo e i nostri giorni sono gli stessi. Con un solo impulso di vita Egli creò tutti i giorni e tutti i tempi, cosicché la vita del primo giorno e quella di un giorno nel più lontano futuro sono unite in Lui. Noi possiamo a ragione cantare di nuovo (e credere) la verità che i nostri padri cantarono:
L'eternità con tutti i suoi anni,
Sta in piedi davanti a te;
A te nulla appare vecchio,
Grande Dio, per te non vi è nulla di nuovo.
Nel salvare l'uomo, Dio non fa altro che ripetere (o piuttosto continuare) la medesima opera creativa che compì all'origine del mondo. Per Lui ogni anima redenta è un mondo in cui Egli compie di nuovo l'opera piacevole di un tempo.
Noi che facciamo l'esperienza di conoscere Dio ai nostri giorni, possiamo rallegrarci nel fatto che in Lui abbiamo tutto ciò che Abrahamo, o Davide o Paolo poterono avere; in effetti, gli angeli stessi che sono davanti al trono di Dio non possono avere più di noi, poiché non possono avere qualcosa al di là di Dio e non possono volere nulla al di fuori di Dio. E tutto ciò che Egli è e tutto ciò che Egli ha fatto è per noi e per tutti quelli che partecipano a questa salvezza comune. Con piena consapevolezza della nostra indegnità possiamo tuttavia prendere posto nell'amore di Dio, ed il più povero ed il più malvagio fra noi può, senza offesa, reclamare per sè tutte le ricchezze della divinità donate con misericordia da Dio. Io ho ogni diritto di esigere per me tutto, sapendo che un Iddio infinito può dare tutto se stesso a ciascuno dei Suoi figliuoli. Egli non si dà in modo che ognuno ne abbia una parte, ma ad ognuno Egli dà se stesso in maniera così completa come se non vi fosse nessun altro a cui darsi.
Quale differenza si determina quando cessiamo di essere vaghi ed impersonali (il che, fra parentesi, è una scappatoia per la falsa umiltà e l'incredulità) e diveniamo precisi e personali nella nostra maniera di avvicinarci a Dio! Allora non abbiamo paura di usare il pronome personale, ma insieme con tutti gli amici di Dio abbiamo rapporto con Lui che ci ha creati e reclamiamo per ognuno di noi individualmente, la persona e l'opera dell'Iddio Trino. Allora ci rendiamo conto che tutto ciò che Dio fece era per ognuno di noi. Allora possiamo cantare: "Per me ti sei coperto di luce come di un vestito ed hai disteso i cieli come un padiglione ed hai posto i fondamenti della terra. Per me tu hai dato le fasi alla luna e per me il sole conosce il suo corso. Per me tu hai creato ogni animale della terra secondo la sua specie, ed ogni erba che reca seme, ed ogni albero nel quale vi è frutto. Per me i profeti scrissero ed i salmisti cantarono. Per me gli uomini di Dio parlarono mossi dallo Spirito Santo. Per me Cristo morì, ed i benefici redentivi di quella morte sono, per il miracolo della Sua vita presente, perpetuati per sempre, efficaci oggi quanto lo furono in quel giorno lontano in cui chinò il capo e rese lo spirito. E quando Egli risuscitò il terzo giorno, risuscitò per me; e quando sparse sui discepoli lo Spirito promesso, lo fece affinché, potesse continuare in me l'opera che Egli aveva compiuta per me fin dagli albori della creazione.
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