Inizia il lavoro di riparazione - premessa - Il capitolo tre di Nehemia, non è solamente una sezione che elenca le tante persone che presero parte al gran lavoro di riparazione, ma è soprattutto il capitolo che parla dell’inizio dell’attività, la maniera come ciò venne impostato e la sua finalità. Inoltre, vi è la descrizione dettagliata per quanto riguarda la restaurazione delle mura.
Delle undici porte:
- Porta delle pecore
- Porta dei Pesci
- Porta Vecchia
- Porta della Valle
- Porta del Letame
- Porta della Sorgente
- Porta della casa di Eliascib
- Porta delle Acque
- Porta dei cavalli
- Porta orientale
- Porta di Mifkad.
E la menzione di quattro torri:
- Torre di Meah = un centinaio
- Torre di Hananeel = Dio è stato misericordioso
- Torre dei forni
- Torre sporgente.
E infine, si fa menzione di un capo di distretto e di quattro responsabili di mezza circoscrizione; ci sono alcune parole e frasi che hanno un particolare significato in tutto il contesto del racconto che può insegnarci delle grandi verità.
La frase: “Vicino a loro” e “vicino a lui” è ripetuta 15 volte. (Questa frase ci suggerisce l’idea di una catena di persone intente a lavorare).
Le parole: “Riparò, ripararono, riparazione”, 38 volte. (Ci fa vedere che tutte le persone che erano impegnate nel lavoro, erano animate di pazienza).
La frase: “Dopo di lui” e “dopo di loro”, 16 volte (Ci suggerisce l’idea di un susseguirsi ininterrotto dì persone nel lavoro di ricostruzione).
In vista di tutto quello che possa insegnarci questo passo scritturale, crediamo che valga la pena d’impostare un accurato ed approfondito esame, per meglio valutare gli insegnamenti che ci vengono offerti e coglierne tutte le riflessioni e le implicazioni che ne scaturiranno, sia per ciò che riguarda il ministero e sia per quanto concerne la vita del credente come individuo che vive in mezzo alla collettività di altri fedeli.
ALCUNE CONSIDERAZIONI DI CARATTERE GENERALE
Tutti i lavoratori conoscono la reale situazione in cui si trovano le mura dl Gerusalemme
Tutte le persone che presero parte ai lavori di riparazioni, sapevano, prima di iniziare che, le mura di Gerusalemme erano piene di brecce e le sue porte consumate dal fuoco.
In conseguenza di questo fatto sapevano anche che a causa di questo stato di cose, i Giudei erano nell’obbrobrio.
I sacerdoti, i notabili e i magistrati erano stati messi al corrente di lavori di restaurazione che Nehemia, assieme a loro, intendeva fare, per dare sollievo e liberazione ai figli d’Israele. Inoltre, si sapeva che i capi d’Israele avevano accolto l’invito di Nehemia a levarsi per costruire e che nel dire quelle parole avevano anche preso coraggio per metter mano a quell’importante impresa.
La conoscenza della reale situazione, dava senza dubbio, a quella schiera di lavoratori addetti alle riparazioni, non solo consapevolezza del loro ruolo, ma anche coscienza di ciò li riguardava, per quello che si accingevano a fare. Sapevano inoltre, che il loro lavoro non era qualcosa che riguardava cose personali, ma un’opera che veniva fatta all’insegna del beneficio comune di tutto un popolo.
Senza dubbio, il fatto che i lavoratori sapessero la reale situazione delle rovine esistenti, e che la loro manodopera avrebbe contribuito al benessere comune, tutto questo dava più incisività a tutte le attività che avrebbero svolto e nello stesso tempo sentivano che ciò agiva come propulsore che li incitava con fervore e con prontezza, in quella nobile causa che si erano messi in cuore di portare a termine.
Tutti i piani di lavoro che vengono prospettati nel campo del Signore, possono essere fatti e portati a buon fine, solo se c’è una forza motivante. A sua volta, questa forza deriva dal fatto di conoscere perchè si vuole fare quel lavoro e qual’è il suo scopo primario.
Tutti i lavoratori erano persone che si erano offerte volontariamente
Per nessuno dei lavoratori descritti nel capitolo terzo di Nehemia, c’è la minima traccia che furono presi con forza o che abbiano agito contro la loro volontà.
Tutti, nessun’eccezione, si erano arruolati volontariamente ai lavori di riparazione, e nessuno di loro aveva patteggiato un salario da ricevere come paga settimanale.
Quanto è diverso l’atteggiamento che certuni assumono, per l’opera del Signore, di chiedere in quale misura sarà la loro paga, prima di cominciare a lavorare!
Quando si ha uno spirito umile, è facile pregare come Davide: Rendimi la gioia della Tua salvezza e sostienimi con uno spirito volenteroso (Salmo 51:12).
Questo, naturalmente, non significa che chi lavora nel campo del Signore non debba pensare al suo sostentamento materiale e della propria famiglia o che chi è impegnato nell’opera del ministero non ha nessun diritto di chiedere una paga settimanale. Se dovessimo affermare una simile cosa, ci troveremmo in contrasto con Dio, il quale ha previsto che al bue che trebbia, non si deve mettere la museruola (Deuteronomio 25:4).
L’apostolo Paolo, commentando questa Scrittura afferma che Dio non diceva queste cose perché si dava pensiero dei buoi; ma era detto con riferimento all’uomo (1 Corinzi 9:10).
Gesù Cristo stesso affermò che: ...l’operaio è degno del suo nutrimento (Matteo 10:10); della sua ricompensa (Luca 10:7).
Più tardi l’apostolo Paolo scriverà: Non sapete voi che quelli che fanno il servizio sacro mangiano delle cose del tempio, e quelli che servono all‘altare hanno parte dei beni della mensa sacra? Così pure il Signore ha ordinato che chi annunzia l’Evangelo, viva dell’Evangelo (1 Corinzi 9: 13, 14).
Tutte le persone impegnate nei lavori di riparazione hanno lavorato con perseveranza
È ammirevole costatare come tutti gli operai descritti nel terzo capitolo di Nehemia, hanno svolto il loro lavoro con perseveranza, e come ognuno di loro manifesta un senso di attaccamento per la propria attività, senza mai sottovalutarlo o pensare di invadere il campo degli altri, come se il proprio fosse inferiore a quello che facevano gli altri o di fare concorrenza col proprio vicino.
Inoltre, ognuno che si era impegnato nel settore del proprio servizio, non solo pensava di portarlo a termine, senza pensare di controllare gli altri per vedere se il lavoro veniva fatto bene, ma era principalmente interessato di poter dire: “L’impegno che ho assunto volontariamente, l’ho portato a buon fine”.
1. LE MURA DI GERUSALEMME
La prima cosa che deve essere considerata nel contesto di tutti i lavori di riparazione fatti ai tempi di Nehemia, è parlare delle mura di Gerusalemme. Non ha tanto valore ai fini di quello che ci proponiamo di scrivere (se fosse una ricerca storica si):
stabilire la lunghezza perimetrale della muraglia che circondava la città di Gerusalemme,
chi la costruì,
quanto era larga e quale era la sua altezza;
quanto tempo venne impiegato per realizzare l’opera
e quale fu il costo totale,
quanto di sapere la funzione che avevano le mura intorno ad un centro abitato.
Si sa, con estrema certezza che, non era soltanto la città di Gerusalemme ad essere circondata di mura, c’erano tanti altri centri urbani disseminati in ogni parte e fuori del territorio d’Israele, le cui città erano circondate di muraglia.
Per noi che conosciamo il valore del significato spirituale di Gerusalemme, (senza negare quello puramente geografico) nel contesto di quello che dice la Scrittura, fare certe considerazioni ed applicazioni per la vita spirituale del credente e del popolo di Dio in genere, è importante, soprattutto per conoscere ed apprezzare certi insegnamenti che la Bibbia ci dà al riguardo.
Basti pensare che, Gerusalemme, come nome di luogo, è menzionata nella Bibbia 820 volte: 675 nell’A.T. e 145 nel N.T. (secondo la Nuova Diodati).
È la località più ricordata nella Bibbia rispetto a tutte le altre che vengono nominate.
Diamo qui di seguito alcuni testi, così come appaiono nelle Scritture, per vedere come viene descritta questa città.
È la città che Dio ha scelto: ...per amor di Gerusalemme che ho scelto (1 Re 11:3; 2 Re 23: 37).
Nonostante che spesse volte sia stata devastata e saccheggiata, ne corso dei secoli, nondimeno su di lei cadrà la scelta finale dell’Eterno: l’Eterno consolerà ancora Sion e sceglierà ancora Gerusalemme (Zaccaria 1:17; 2:12).
Questo perché il profeta Gioele aveva predetto: Ma Giuda rimarrà per sempre e Gerusalemme di generazione in generazione (Gioele 3:20), e Geremia aveva proclamato: Allora Gerusalemme sarà chiamata “Il trono dell’Eterno”... (Geremia 3: 17).
È la città dove Dio dimorava: e per portare l’argento e l’oro che il re e i suoi consiglieri hanno spontaneamente offerto al Dio d’Israele, la cui dimora è a Gerusalemme (Esdra 7:15). Il salmista afferma: Da Sion sia benedetto l’Eterno, che abita in Gerusalemme. Alleluia (Salmo 135:21). Isaia, proclama: La luna sarà coperta di confusione e il sole di vergogna, perché l‘Eterno degli eserciti regnerà sul monte di Sion e in Gerusalemme, e la Sua gloria davanti agli anziani (Isaia 24:23), e Zaccaria, sottolinea affermando: Così dice l’Eterno: Io ritornerà a Sion e dimorerò in mezzo a Gerusalemme. Gerusalemme sarà chiamata la Città della fedeltà e il monte dell’Eterno degli eserciti, il monte della santità (Zaccaria 8:3) e, molti popoli e nazioni potenti verranno a cercare l’Eterno degli eserciti a Gerusalemme e a supplicare la faccia dell’Eterno (Zaccaria 8:22; Giovanni 4:20), anche se poi Gesù specificherà: Ma l’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, perché tali sono gli adoratori che il Padre richiede. Dio è Spirito, e quelli che Lo adorano devono adorarlo in spirito e verità (Giovanni 4:23, 24).
Gesù chiama Gerusalemme: La città del gran Re (Matteo 5:35).
Da parte sua Paolo, parlando di Agar, afferma che essa corrisponde alla Gerusalemme del tempo presente (Galati 4:25) e anche se non nomina Sara, l’altra moglie di Abramo, è però sottinteso che si riferisca a lei, quando dice, Invece la Gerusalemme di sopra è libera ed è la madre di noi tutti (Galati 4:26).
A sua volta l’epistola agli Ebrei, descrive Gerusalemme con queste belle parole:
Ma voi vi siete accostati al monte Sion e alla città dell’Iddio Vivente, che è la Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli (Ebrei 12:22),
e l’Apocalisse parla specificatamente: Chi vince Io lo farò una colonna nel tempio del mio Dio, ed egli non uscirà mai più; e scriverò su di lui il Nome del Mio Dio e il nome della città del Mio Dio, della nuova Gerusalemme che scende dal cielo da presso il Mio Dio, e il Mio nuovo Nome (Apocalisse 3:12; 21:2, 10).
Anche se Gerusalemme viene descritta in tale maniera da questi testi, ve ne sono altri che parlano inversamente, per esempio:
…un’abominazione è stata commessa in Israele e in Gerusalemme... (Malachia 2:11);
O Gerusalemme, purifica il tuo cuore dalla malvagità (Geremia 4:14) e,
Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati! Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! (Matteo 23:37).
2. LA FUNZIONE DELLE MURA IN UN CENTRO ABITATO
Le mura, in un centro abitato, servivano come fortezza e protezione per le persone che vi abitavano, come anche di riparo contro eventuali tentativi d’invasione nemica.
Il libro dei Proverbi, usando un linguaggio metaforico, dice: L’uomo che non sa dominare la propria ira è come una città smantellata senza mura (Proverbi 25:28).
Una città priva di muraglia, facilmente si poteva conquistare, mentre quella che era fortificata con spesse ed alte mura (Deuteronomio 3:5), opponeva una maggiore resistenza al nemico e, prima di conquistarla, bisognava studiare un piano strategico particolare.
Salomone, dopo aver terminato la costruzione della casa dell’Eterno, pensò di fortificare la città di Gerusalemme, costruendo delle mura (1 Re 9:15).
Anche se il suo nome significa “pacifico”, tuttavia pensò ad un eventuale attacco nemico contro la casa dell’Eterno e la città di Gerusalemme.
Per la costruzione della casa dell’Eterno, ci viene detto chiaramente nella Bibbia che fu un piano approvato da Dio, anche se fu Davide ad avere nel cuore un simile progetto e suo figlio Salomone ad attuano (2 Samuele 7:1-16; 1 Re 8:13). Ma per la costruzione delle mura di Gerusalemme, non sappiamo se nel progetto iniziale di Davide presentato a suo figlio Salomone, ci fosse stato anche qualcosa riguardante le mura o se fu un piano di lavoro ideato da Salomone successivamente.
Indipendentemente da come siano andate le cose, crediamo che Salomone, nel costruire le mura di Gerusalemme, abbia ricevuto una certa illuminazione da Dio, che gli ha fatto vedere la necessità di costruire una fortificazione attorno alla città di Gerusalemme.
Anche se spesse volte il linguaggio dei Salmi è metaforico:Fa’ del bene a Sion edifica le mura di Gerusalemme (Salmo 51:18) e quello d’Isaia profetico, Sulle tue cinta, o Gerusalemme, ho posto delle sentinelle... (Isaia 62:6), c’è sempre uno spiraglio di luce che ci permette di pensare che la costruzione delle mura di Gerusalemme, rientrava nel disegno e nel piano di Dio. Queste considerazioni, ovviamente le facciamo con riferimento al valore e all’importanza di quello che diremo, a proposito del lavoro di riparazione.
Ai tempi di Nehemia, le mura di Gerusalemme erano “piene di brecce”, vale a dire che il nemico aveva fatto tante rotture in questa cinta di protezione, da esporre e figli d’Israele all’obbrobrio.
La ricostruzione (o riparazione) delle mura, aveva lo scopo, di tirar fuori il popolo da questa situazione (Nehemia 2:17).
3. IL SENSO FIGURATIVO CHE POTREBBERO AVERE LE MURA
Se si accetta che la costruzione delle mura di Gerusalemme rientrava in un disegno della volontà di Dio per quella città, anche se più tardi L’Eterno prometterà di essere Lui stesso un muro di fuoco tutt’intorno per lei (Gerusalemme - Zaccaria 2:5) e, se questa città può essere presa come una bella figura del popolo di Dio, Ebreo e Gentile, ne consegue che questa popolazione oltre ad essere circondata dalle mura di protezione, spesso viene attaccata dalle forze nemiche, quelle infernali, che molte volte riescono ad aprire numerose brecce nella muraglia, di modo tale da esporre lo stesso popolo al tiro delle armi nemiche e nello stesso tempo al disprezzo e all’obbrobrio di chi vive al di fuori di lei.
Più rotture ci sono nella mura, maggiore sarà la facilità di penetrazione delle forze nemiche, con una più accentuata probabilità di pericolo per il popolo.
Che cosa bisogna fare quando si vedono rotture nel muro?
Ripararle! E ancora una volta: ripararle!
Vedere le rotture, non per emanare un giudizio di condanna, ma per ripararle
La prima cosa che bisogna evidenziare è il fatto di saper vedere la rottura che il nemico ha fatto nella struttura di un muro di protezione.
Vedere una devastazione che ha colpito una famiglia, un popolo, una chiesa, un movimento religioso, e poi sentenziare un severo giudizio di condanna, con le parole che pressappoco suonerebbero: “Questo è il risultato del tuo sviamento, della tua infedeltà, di una giusta punizione divina” (anche se in senso lato potrebbe essere vero), non gioverà certamente al bene di quella famiglia, di quel popolo, di quella chiesa o di quel movimento religioso. Ma vedere le rotture ed essere profondamente addolorato, pensando soprattutto al moltiplicarsi dei pericoli, ed essere mossi da uno spirito compassionevole e di abnegazione, rendendosi disponibile per chiudere quella breccia, anziché lasciarla aperta, questo è vero amore.
Qui, ovviamente, non si tratta di invocare uno spirito di commiserazione, si tratta invece di dimostrare che veramente si ama.
Prendendo come base 1 Corinzi 13, parafrasando, possiamo dire: “l’amore non si rallegra del male altrui, non pensa soltanto al proprio benessere, non è egoista per non interessarsi di chi si trova in un particolare bisogno, non chiude gli occhi per non vedere una devastazione, non ha un cuore crudele per non invocare misericordia, non ha mani legate per non poterle distendere verso chi è caduto, non ha piedi immobilizzati per non portarsi vicino a chi piange e si lamenta, a causa delle ferite riportate, e soprattutto, l’amore non è insensibile per rimanere passivi ed indifferenti davanti ad un chiaro bisogno”.
Chi veramente ama, è pronto ad aiutare, non con le semplici parole, ma con fatti tangibili; non delega altri a soccorrere, non ordina soltanto perché altri facciano qualche cosa, ma si porta di persona sul posto del bisogno, si dispone con tutte le sue possibilità, materiali e spirituali, perché l’obbiettivo venga raggiunto.
Le mura di Gerusalemme piena di brecce, non devono essere demolite, ma riparate
Oggi siamo in tempi in cui si fa presto ad affermare che una struttura dottrinale non serve più, non è più buona o di coloro che l’hanno insegnata e sostenuta, non capivano un gran che, mentre ora, alla luce della nuova e progredita scienza teologica, si vede in maniera diversa e tutto dorrebbe cambiare, come per dire: demoliamo quello che c’è stato nel passato e costruiamo tutto nuovo.
Se dovessimo fare un confronto con la maniera di costruire una muraglia al tempo di Salomone con quella dei nostri giorni, diremmo: la costruzione di quel periodo si poteva facilmente demolire producendo in lei anche delle brecce, mentre in quella di oggi è molto più difficile, perché è di gran lunga più forte. Eppure, non si può negare che quella costruzione, per diverso tempo, servì di protezione ad una città, ad un popolo.
Le mura dottrinali che sono state costruite per proteggere la vita di un popolo e della chiesa in generale dagli attacchi continui delle forze nemiche di ogni genere, sono state costruite con accorgimenti e discernimento spirituale, basati sull’autorità della Parola di Dio. Quando si pensa, per esempio, alle origini del movimento Pentecostale, (con questo riferimento specifico, non intendiamo declassare gli altri movimenti) e si tiene presente gli uomini che furono usati dallo Spirito Santo, si potrebbe obbiettare che il loro modo di costruire una muraglia dottrinale, non era solida, alla luce della nuova conoscenza biblica. Eppure, quella conoscenza rozza e non progredita, è durata per tanti anni ed ha protetto la vita di un movimento, di un popolo. Se durante gli anni che seguirono, il nemico ha fatto delle brecce nelle mura, non per queste quelle fortificazioni devono essere giudicate in blocco come inservibili, passate di moda, vecchie da gettar via, da essere demolite e rimpiazzate con altre nuove, ma riparate.
Gli sbandamenti dottrinali, non bisogna considerarli come sinonimo di abrogazioni e tanto meno confonderli con gli sviamenti. Se la struttura è stata devastata, bisogna riparare la parte danneggiata; facendo così, si aiuterà a riportare sulla buona strada chi ne è uscito e si contribuirà al suo consolidamento. Poi, se pensiamo allo sviamento, si può benissimo adottare quello che scrisse l’apostolo
Giacomo: Fratelli, se uno di voi si svia dalla verità e qualcuno lo converte, sappia costui che chi allontana un peccatore dall’errore della sua vita, salverà un ‘anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati (Giacomo 5:19, 20).
Le mura della santità, hanno tante brecce; non devono essere diroccate, ma riparate
Oggi c’è una forte tendenza e una pressione non indifferente che cerca di minimizzare la santità, per quello che riguarda la parte estera della vita e la colloca quasi esclusivamente nell’esistenza interiore.
Nessuno mette in dubbio che l’interno di una persona ha più valore della vita esterna, e che certe manifestazioni esterne hanno il senso dell’ipocrisia, atte a fare apparire una diversa realtà da quella vera.
Tra la vita interiore e quell’esteriore, non ci deve essere collisione o contraddizione ma armonia, se si vuole che l’azione resti integra e non subisca nessun’alterazione.
Di solito, l’azione esterna che compiamo, quella cioè che controlliamo con i nostri sensi, è una chiara rivelazione di quello che abbiamo veramente nell’interno.
Quest’affermazione la facciamo sull’autorità della Parola di Gesù: Ma le cose che escono dalla bocca procedono dal cuore...Poiché dal cuore provengono pensieri malvagi, omicidi, adulteri, fornicazioni, furti, false testimonianze, maldicenze (Matteo 15:18, 19).
Una santità che si localizza soltanto nel pensiero e sull’astratto e non dà nessun peso ad un’azione esterna, è falsa: non è quella insegnata dalle Scritture. Come pure quella che si attiene solamente alle cose esterne è ugualmente falsa, e rischia facilmente di diventare fanatismo.
Per evitare di avere idee e convinzioni contrarie a quello che insegna la Scrittura, per ciò che riguarda la santità, e non farla apparire come una verità del lontano passato e non più compatibile con i tempi della vita moderna, e, soprattutto per costatare se esiste un certo legame di continuità, tra l’esistenza interiore dell’anima e dello spirito con quell’esteriore del nostro corpo, è necessario sapere cosa ha da dire la Bibbia, la Suprema Autorità in materia di fede e di condotta.
Il credente viene esortato a:
camminare secondo lo Spirito e non adempiere i desideri della carne (Galati 5:16);
a procacciare... la santificazione, senza la quale nessuno vedrà il Signore (Ebrei 12:14);
a ...purificarsi da ogni contaminazione di carne e di spirito, compiendo la propria santificazione nel timore dì Dio (2 Corinzi 7:1);
ed infine, Siate santi, perche Io (Eterno) sono Santo (1 Pietro 1:16; Levitico 11:44).
Per la donna nubile, si afferma che ...si preoccupa delle cose del Signore per essere santa nel corpo e nello spirito... (1 Corinzi 7:34).
Dei credenti in genere si afferma che sono:…una stirpe eletta, un regale sacerdozio, una gente santa... (1 Pietro 2:9).
L’apostolo Paolo conosce ed insegna un modo di vivere che si addice ai santi: ma come si conviene ai santi, né fornicazione, né impurità alcuna, né avarizia non siano neppure nominate fra di voi (Efesini 5:3), ed esorta di camminare con diligenza non da stolti, ma come saggi (Efesini 5:15).
Paolo, per dimostrare che non concepiva la santità solamente dal punto di vista della vita interiore (dell’anima e dello spirito), scriveva ai Tessalonicesi: Voi siete testimoni, e lo è anche Dio, come ci siamo comportati santamente, giustamente, senza biasimo verso di voi che credete (1 Tessalonicesi 2:10).
Ed ancora ai Corinzi: Il nostro vanto, infatti, è questo: la testimonianza della nostra coscienza, che nel mondo e specialmente davanti a voi, ci siamo comportati con la semplicità (un’altra versione rende “santità”) e sincerità di Dio, non con sapienza carnale, ma con la grazia di Dio (2 Corinzi 1:12).
L’apostolo Pietro, aveva la stessa convinzione di Paolo, e insegnava la santità nella stessa maniera di Paolo. Ecco le sue parole: Poiché dunque tutte queste cose devono essere distrutte, come non dovreste voi avere una condotta santa e pia, mentre aspettate e affrettate la venuta del giorno di Dio, a motivo del quale i cieli infuocati si dissolveranno e gli elementi consumati dal calore si fonderanno? (2 Pietro 3:11, 12)
Senza dover ricorrere ad altri testi, crediamo che quelli che abbiamo citato siano più che sufficienti per farci comprendere che la santità che la Bibbia insegna, coinvolge in pieno le azioni esterne che gli altri possono vedere e notare. Infatti, i termini: comportarsi, condotta, camminare, adempiere e compiendo, che abbiamo letto nei testi precedenti, sono parole che esprimono eloquentemente che la santità non può essere dissociata dalle azioni esterne ed essere collocata nel mondo delle idee, dell’invisibile, dell’uomo interiore senza che la stessa perda la sua vera fisionomia.
Per illustrare ulteriormente questo concetto, prendiamo com’esempio l’amore.
Tutti sappiamo che l’amore è un sentimento e come tale non sarebbe possibile dimostrano, se non ci fosse un’azione visibile che provi la sua esistenza.
Allo stesso modo sarebbe equiparata la santità se non si potesse dimostrare con azioni tangibili che tutti possono vedere e controllare.
Se vediamo che le mura della santità sono piene di brecce, quelli nei cui occhi è versato il collirio dello Spirito Santo ha una buona vista per vederle, non bisogna abbatterle, in modo che non si parli più di brecce, ma piuttosto ripararle.
Il nemico ha devastato quelle che un tempo si chiamavano “sensibilità”, “scrupolosità”, che rappresentavano la forza e la protezione del popolo di Dio contro l’invasione delle maree delle potenze distruttrici del male e ha fatto tante forature che si potrebbero chiamare: “Indulgenza”, “licenziosità”, “mondanità”.
Alziamoci per chiudere queste brecce; mettiamo fuori delle mura tutto quello che il nemico vi ha portato dentro, così che la città di Dio potrà ritornare ad essere quella di una volta; il popolo sarà liberato dal disprezzo e dall’obbrobrio, e Gerusalemme continuerà a chiamarsi: L’Eterno è là (Ezechiele 48:35).
LA PORTA DELLA SORGENTE
«Shallum, figlio di Kol-Hezeh, capo del distretto di Mitspah, riparò la porta della Sorgente; la costruì, la coprì e vi mise i suoi battenti, le serrature e le sbarre. Riparò inoltre il muro della piscina di Siloe, presso il giardino del re, fino ai gradini che scesero dalla città di Davide» (Nehemia 3:15)
Nota preliminare
Ci sono due Shallum nella descrizione che viene fatta nel capitolo tre di Nehemia: un figlio di Hallohesh, che lavorò assieme alle sue figlie e l’altro, di cui il nostro testo, discendente di Kol-Hezeb.
Come abbiamo detto, quando abbiamo parlato del primo Shallum, così ancora una volta ribadiamo che il suo nome, etimologicamente parlando, significa “ricompensa”.
Questo ci insegna immancabilmente, che per ogni attività che si svolge nell’ Opera del Signore, dalle più grandi alle più piccole, c’è o ci sarà sempre una ricompensa, soprattutto da Dio, che è il giusto rimuneratore di quelli che Lo cercano (Ebrei
11:6).
A parte che gli uomini non sempre sanno valutare un’opera che si compie nel campo di Dio, quindi, non sempre esprimono elogi e congratulazioni, spesse volte addirittura esprimono severi giudizi di disapprovazione.
È impensabile aspettare da queste persone una qualsiasi espressione che esprima apprezzamento. Dal momento che tutto quello che verrà fatto nell’opera del Signore, deve essere fatto principalmente per la gloria del Suo Nome e per il bene degli altri, si deve guardare a Lui e aspettarsi che Dio dica: “Quello che stai facendo va bene, è un’opera da Me gradita”. Infatti, nessuno sa dare un apprezzamento giusto, come lo dà l’Eterno.
1. SI COMINCIANO I LAVORI PER RIPARARE LA PORTA DELLA SORGENTE.
Anche per i lavori della porta della Sorgente, c’è una sola persona e quest’uomo è anche un capo.
Perché questo Shallum sia solo nel lavoro che ha intrapreso, non ci viene dato di sapere.
Non sappiamo se si sia rivolto a qualcuno o se abbia incontrato ostilità verso colui o coloro ai quali avrà espresso la sua intenzione a volere fare quel lavoro.
Non sempre si riesce a trovare compagni di lavoro che sappiano condividere gli stessi scopi o che abbiano le stesse finalità. In questo caso, è meglio essere soli, anziché avere dei compagni che non sanno cooperare ed essere invece di ostacolo e di impedimento alle varie iniziative.
2. UN INTERESSANTE ACCORGIMENTO PER LA PORTA DELLA SORGENTE.
a) Che cos’è una sorgente
La Sorgente ci:dà l’idea di un luogo dove scaturisce l’acqua, da dove si possono fare gli approvvigionamenti per il fabbisogno idrico di una persona, di una famiglia, di un popolo.
Avere una sorgente in piena efficienza, significa non mancare di acqua, mentre una fonte danneggiata in pratica è come se non ci fosse, in quanto il suo liquido si sperde per altre vie, Ecco perché la prima azione che venne fatta alla porta della Sorgente fu di ripararla. Riparare, infatti una sorgente, significa non fare disperdere niente del sud prezioso liquido e assicurare la continuazione del rifornimento idrico.
b) Quello che sa faceva in caso di assedio
Quando il nemico assaliva una città per impadronirsene, la prima cosa che faceva era di tagliare o danneggiare la rete idrica, risalendo addirittura secondo il caso fino alla sorgente.
La Scrittura ci fornisce esempi di questa tattica strategica, quando ci racconta, per dimostrazione, la storia del re di Moab che si ribellò al sovrano Jehoram, dopo la morte di suo padre Achab, con la conseguenza di rifiutarsi di pagare il tributo al re d’Israele di centomila agnelli e la lana di centomila montoni (2 Re 3:4, 5).
Davanti a questa situazione, il re Jehoram chiese aiuto al monarca Giosafat e, assieme al sultano di Edom, marciarono per andare ad affrontare l’imperatore di Moab. Dopo aver compiuto un percorso di sette giorni nel deserto di Edom, venne a mancare l’acqua per l’esercito e per il loro bestiame. A questo punto il re Giosafat, vedendo il pericolo che si prospettava davanti a loro, chiese di consultare l’Eterno, per mezzo di Eliseo, profeta dell’Eterno, e a loro venne rivolta questa parola: «così parla l’Eterno: scavate molte fosse in questa valle. Poiché così dice l’Eterno: voi non vedrete né vento né pioggia; tuttavia questa valle si riempirà di acqua; e berrete voi, il vostro bestiame e le vostre bestie da soma. Ma questo è ancora poca cosa agli occhi dell’Eterno, perché Egli darà anche Moab nelle vostri mani. Voi distruggerete tutte le città fortificate e tutti i migliori centri abitati, abbatterete tutti gli alberi buoni, turerete tutte le sorgenti d’acqua e rovinerete ogni buon appezzamento di terra con pietre» (2 Re 3:16-19).
A volte però, erano gli assediati che decidevano di chiudere le acque delle sorgenti, per non dare nessuna possibilità al nemico di trovare acqua per il suo fabbisogno (vedi 2 Cronache 32:3, 4).
Facendo questo, si rendeva la vita delle persone difficile, sia per gli assediati che per gli assediatori, soprattutto quando l’assedio si prolungava per diversi giorni, e ciò poteva benissimo causare grandi disagi, con le severe conseguenze di esaurire le scorte di approvvigionamento idrico. Attaccare, quindi, una città in un momento quando il popolo era all’estremo di queste sue risorse, poteva significare la capitolazione totale di quella gente e la sicura presa della città.
c) La seconda cosa che fece Shallum
La seconda cosa che venne fatta da Shallum, dopo aver riparato la porta della Sorgente fu di “coprirla”.
Quest’accorgimento serviva principalmente per preservare l’acqua della sorgente, in modo che arrivasse a destinazione pura e salutare, senza subire eventuali azioni d’inquinamento.
Nel libro del Cantico dei Cantici c’è una bell’illustrazione quando la sposa viene paragonata ad una «sorgente chiusa, una fonte sigillata» (4:12).
Una sorgente chiusa, rappresenta una seria garanzia per gli estranei e contro ogni azione d’inquinamento che potrebbe verificarsi, mentre la fonte sigillata, ci parla di sicurezza.
La chiesa di Gesù Cristo deve essere una sorgente chiusa, una fonte sigillata, in mezzo a questo mondo perverso e traviato, nel senso che non deve permettere al nemico di inquinare l’acqua della vita che è stata messa nel suo cuore (Proverbi 4: 23), e nel frattempo dimostrare che si appartiene a Chi ha sacrificato la Sua vita, cioè, a Gesù Cristo.
3. AMMAESTRAMENTI CHE POSSIAMO RICAVARE DALLA PORTA DELLA SORGENTE.
Il significato spirituale che potrebbe avere la porta della Sorgente, lo possiamo ricavare da due testi del N.T., cioè Giovanni 7:37-39 e Efesini 5:18.
Questi due testi ci serviranno per iniziare a fare le nostre riflessioni.
Cominciamo con le parole dell’evangelista Giovanni: «Or nell’ultimo giorno, il gran dì della festa, Gesù si alzò in piedi ed esclamò dicendo: se qualcuno ha sete, venga a Me e beva. Chi crede in Me, come ha detto la Scrittura, da dentro di lui sgorgheranno fiumi d’acqua viva. Or Egli disse questo dello Spirito, che avrebbero ricevuto coloro che avrebbero creduto in Lui; lo Spirito Santo infatti non era ancora stato dato, perché Gesù non era stato ancora glorificato» (Giovanni 7:37-39), e a quelle dell’apostolo Paolo: «Non vi inebriate di vino, nel quale vi è dissolutezza, ma siate ripieni di Spirito» (Efesini 5:18).
L’acqua della sorgente, è una bella figura dello Spirito Santo che, con le Sue molteplici manifestazioni, può appagare ogni persona assetata.
La prima cosa che deve fare chi ha veramente sete delle cose di Dio, è quella di andare a Gesù, ed Egli, immancabilmente ci guiderà «alle vive fonti delle acque» (Apocalisse 7:17). Anche se il testo dell’Apocalisse ha a che fare con l’eternità, dove non ci saranno più fame e sete, dove il sole non colpirà più né ci sarà alcun’arsura, dove Dio asciugherà ogni lacrima (v. 16) tuttavia, si può benissimo applicarlo per la vita presente, poiché Gesù, il divino conduttore, non svolgerà questa Sua attività solamente nella gloria, ma la svolge anche al presente, in favore dei Suoi seguaci, mentre vivono su questa terra.
Giovanni afferma che è dal di dentro, che sgorgherà fiumi d’acqua viva.
Lo stesso apostolo, spiegando la Parola del Cristo, dice chiaramente che si trattava dello Spirito Santo, che avrebbe ricevuto chi avrebbe creduto in Lui.
A questo punto, crediamo sia opportuno fare una domanda: perché l’acqua che sgorgherà dal di dentro, viene chiamata “Acqua viva?”
L’acqua viva è quella che scorre sempre, quindi è in continuo movimento e non rimane stagnante e ferma. Inoltre, l’acqua viva, serve per differenziarla da quella morta, cioè da quella che non ha vita.
…e di acque morte, in questo mondo, ve ne sono in grand’abbondanza!
L’acqua del piacere mondano, per esempio, è un’ acqua morta, perché, pur appagando la carne, non sa appagare la sete dell’anima e dello spirito e non sa soddisfare l’uomo nella sua vita interiore. Chi può riempire il vuoto che c’è in tante vite umane, è solamente Gesù. Lo Spirito Santo, dato che viene da Lui, nel senso che è Egli che lo sparge e lo dona, può ugualmente riempire il vuoto della vita umana e soddisfare i vari bisogni dell’ anima e dello spirito.
È a questa sorgente che la persona deve arrivare, perché solo li la sua sete può essere soddisfatta e i suoi bisogni interiori appagati in pieno.
Quando si è inebriati di vino, nel quale vi è dissolutezza, la persona pensa di evadere dalle realtà della vita. La gioia e il canto che manifesta l’ubriaco, è un puro palliativo che porta alla fine più desolazione di prima. Mentre, l’essere ripieni dello Spirito, si intende dello Spirito Santo, permette di fare delle meravigliose esperienze che immancabilmente lasciano segni indelebili nella vita dell’uomo, di vera gioia e di vera felicità.
Il giorno di Pentecoste, fu il tempo in cui lo Spirito Santo venne sparso e dato al credente.
Da allora fino ai nostri giorni, e fino a quando Gesù Cristo ritornerà, questa fonte di acqua viva è aperta, e tutti quelli che veramente vogliono dissetarsi in lei, possono attingere con tutta avidità, poiché non c’è nessuna ristrettezza e nessuna limitazione.
Quantunque la sorgente dell’ acqua viva sia tuttora aperta e disponibile per chiunque, ci sono di quelli che si comportano come dice il profeta: «Il mio popolo ha commesso due mali: ha abbandonato Me, la sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne rotte, che non tengono l’acqua» (Geremia 2:13; 17:13).
Che vale scavare una cisterna, e scavarla profondamente, quando a cause delle sue screpolature non può contenere l’acqua?
Quando l’uomo abbandona Dio, sorgente di acqua viva, cerca di rimpiazzarlo, scavando altre cisterne. Ma ben presto dovrà costatare che le sue fatiche risulteranno vane, poiché l’acqua della gioia, del godimento e della felicità, che pensava di avere a portata di mano non l’avrà.
“Signore, aiutaci a riflettere, e soprattutto aiutaci ad avere gli occhi aperti per vedere se la porta della Sorgente è stata danneggiata dal nemico. Se scorgiamo delle rotture, aiutaci a ripararle in modo che tutto ritorni come prima e che l’acqua di questa sorgente possa continuare a sgorgare liberamente e che la mia vita possa sempre dissetarsi in lei”.
SI RIPARA LA PORTA DEL LETAME
«Malkijah,figlio di Rekab, capo del distretto di Beth-Hakkerem, riparò la porta del Letame; la costruì, e vi mise i suoi battenti, le serrature e le sbarre» (Nehemia 3:14).
L‘incarico di riparare la porta del Letame venne affidato a uno dei sette capi che vengono menzionati nel capitolo 3 di Nehemia. I nomi di questi capi sono:
Refaiah, il cui significato etimologico significa; “l’Eterno ha guarito”, era capo di metà del distretto di Gerusalemme. La Scrittura parla di lui e lo presenta come uno che “lavorò” (v. 9).
Shallum, figlio di Hallohesh, il cui significato etimologico significa: “Ricompensa”, (e certamente quella che conta non è quella che dà l’uomo, ma quella che dà Dio, anche se non si riceve in questa terra, sarà data sicuramente nell’eternità) era capo di metà del distretto di Gerusalemme. La Scrittura lo presenta come uno che lavorava alle riparazioni, insieme alle sue figlie (Nehemia 3:12). Dei tanti nomi che vengono riportati in questo capitolo tre di Nehemia, questo è l’unico caso in cui si fa specifico riferimento a donne che lavorarono in lavori di riparazione. Quante erano le figlie di Shallum che lavorarono assieme al padre per riparare la porta del Letame, non ci viene dato da sapere. Stando al plurale di “figlie”, sicuramente non potevano essere meno di due. Se poi, invece di essere due erano di più, aumenta maggiormente l’apprezzamento del lavoro che fecero queste nobili donne, unite insieme tra loro e animate da buoni propositi, per una buona causa. Che queste donne erano nubili, cioè non maritate, ci sembra di rilevarlo dal fatto che sono menzionante assieme al loro padre, mentre se fossero state sposate, sarebbero state probabilmente nominate assieme ai loro mariti, Indipendentemente dal loro stato civile, c’è sempre da mettere in evidenza la loro disponibilità e tutto il loro interessamento che manifestarono, per tutto il tempo che durarono i lavori per riparare la porta del Letame. La Bibbia parla di tante donne che con il loro saper fare e il loro zelo, contribuirono in tante attività, compresa quella del ministero (vedi per esempio la profetessa Debora, (Giudici 5); la diaconessa Febe (Romani 16:1, 2); Trifena e Trifosa (Romani 16:12); le quattro figlie vergini di Filippo che profetizzavano (Atti 21:9), nonché la donna “virtuosa” menzionata nei Proverbi 31:10-31), e quella saggia che edifica la sua casa (Prov. 14:1), nonché le due donne, Rachele e Lea che edificarono la casa d’Israele (Ruth 4:11). Per nessuna delle tante donne menzionante nella Bibbia, si dice che fecero un lavoro di riparazione, salvo le figlie di Shallum, secondo Nehemia 3:12. La lode e il riconoscimento che la Bibbia dà a queste donne, supera di gran lunga tutto quello che l’uomo potrebbe dire di loro.
Shallum, figlio dì Kol-Hezeh, capo del distretto di Mitspah, riparò la porta della sorgente (v. 15).
Nehemia, il cui significato etimologico significa: “l’Eterno ha consolato”, figlio di Azbuk capo di metà del distretto di Beth-Zur lavorò alle riparazioni (v. 16).
Hashabia, capo di metà del distretto di Keilah, lavorava
alle riparazioni (v. 17).
Henadad, capo dell’altra metà del distretto di Keilah, lavorò alle riparazioni (v. 18).
Ezer figlio di Jeshua, capo di Mitspah, riparò un‘altra parte delle mura (v. 19).
Questi sette uomini non vengono solamente menzionati come persone che avevano una carica di responsabilità in mezzo al popolo, ma vengono anche presentati come veri e propri lavoratori tra tanti altri, che prestarono la loro manodopera, in tutto il lavoro di restauro che venne fatto nelle mura e alle porte di Gerusalemme.
Dato che questi uomini erano conosciuti come capi, era logico pensare che questa loro carica fosse rimasta anche sotto la direzione di Nehemia.
Niente di tutto questo.
Che vuol dire ciò?
Dal punto di vista della vita pratica, se certuni hanno delle cariche amministrative o spirituali tra il popolo di Dio, quando si tratta di fare lavori di restauro, “tutti dobbiamo essere lavoratori”.
Impartire ordini (che è la cosa più facile), rappresenta la caratteristica dominante di chi si trova in posizione di responsabilità.
Affidare l’incarico di lavorare ad altri (la cosa più naturale), è la caratteristica di chi ci tiene a far valere la sua posizione di capo. Mentre lavorare (la cosa più difficile), è la caratteristica di chi vuole, in prima persona, dare il suo contributo senza badare alla posizione in cui si può trovare, ed essere classificato come un comune lavoratore che svolge la sua attività per il bene degli altri, e per una buona causa.
Ecco, la preziosa verità che vuole insegnarci questo passo scritturale.
Facciamone tesoro!
Malkijah, il cui significato etimologico significa: “l’Eterno è Re”, capo del distretto di Beth-Hakkerem, fu da solo a riparare la porta del Letame.
Nonostante fosse una persona di autorità, su cui pesava la responsabilità del distretto in cui esercitava la sua mansione, egli riconosceva che sopra di lui, oltre i superiori, ai quali doveva rendere conto di tutto quello che faceva, vi era soprattutto l’Eterno come Re sovrano, che era al disopra di ogni altra autorità costituita.
Coloro che occupano posti di responsabilità, secondo l’incarico che gli è stato affidato, faranno bene di ricordarsi sempre che, oltre a rendere conto ai loro superiori, al disopra di tutti c’è l’Eterno, che è il Signore dei signori e il Re dei re.
a) Qualche accenno sulla porta del letame
Era chiamata così perché da questa porta passavano tutti i rifiuti e tutta la spazzatura che si raccoglieva nella città di Gerusalemme. Il tutto veniva raccolto in un luogo, fuori di un centro abitato, e lì subiva i processi di fermentazione e di decomposizione. Il cattivo odore che si sprigionava da questo luogo, ne era la diretta conseguenza che i vari elementi subivano. Inoltre, il letame, veniva usato come fertilizzante, e il terreno ben concimato da questa sostanza, era preparato per far produrre ciò che vi era seminato e le varie piante, spesso portavano abbondanti frutti. Nell’eventualità però che, dopo un’adeguata concimazione del terreno, la pianta non avrebbe portato frutto, essa allora veniva tagliata, senza ulteriori ritardi (vedi la parabola del fico sterile in Luca 13: 6-9).
b) Quello che dice la Bibbia a proposito del letame
Parlando, della moglie di Acab, Jezebel, la sua morte viene raccontata come l’adempimento letterale di una speciale profezia da parte di Elia. Infatti, quest’ardente profeta del Signore, aveva predetto la sua morte, con le seguenti parole: «Questa è la parola dell’Eterno pronunciata per mezzo del suo servo Elia il Tishbita, quando disse: i cani divoreranno la carne di Jezebel nel campo di Jezreel; il cadavere di Jezebel sarà nei campo di Jezreel come letame sulla superficie del suolo; così non potranno dire: Qui giace Jezebel» (1 Re 21:23; 2 Re 9:36,37).
La morte di questa donna, viene presentata come una giusta punizione da parte dell’Eterno, per le molte azioni malvagie che aveva compiuto.
LE CARATTERISTICHE DI JEZEBEL
Era figlia di Ethbaal, re de Sidoni, quindi una pagana, ed era una fervente adoratrice di Baal.
Aveva un carattere mascolino.
Fece uccidere tutti i profeti dell’Eterno (1 Re 18:4, 13) e voleva anche mettere a morte Elia (1 Re 19:1, 2).
Il matrimonio col re Acab, viene definito dalla Scrittura, come il colmo di una vita peccaminosa da parte di questo re ‘d’Israele (1 Re 16:31).
Usò l’autorità del re suo marito per fare uccidere Naboth (1 Re 21:7-16).
Fu una continua istigatrice di suo marito Acab, per fargli commettere il male.
Il marito, Acab, nonostante fosse il Re d’Israele, veniva abilmente manipolato da lei, talché faceva quello ch’essa diceva. Il classico esempio del come fece avere a suo marito la vigna di Naboth, nonostante che quest’uomo avesse risposto con un deciso rifiuto alla richiesta di Acab, è abbastanza eloquente da farci vedere come agiva questa Jezebel, senza avere scrupoli, per i più effetti delitti di omicidio (2 Re 21: 1-15).
Di Acab, la Bibbia dice: «In verità non ci fu mai alcuno che sì vendette a fa re ciò che è male agli occhi dell’Eterno come Acab, perché era sospinto (“istigato”, come dice la Nuova Riveduta) da sua, moglie Jezebel » (2 Re 21: 25).
Che questa Jezebel avesse preso in mano il potere di suo marito, sfruttando al massimo l’autorità di questo monarca, ci sembra abbastanza chiaro, soprattutto quando pensiamo alla schiera nutrita dei profeti di Baal, che lei manteneva, e alla minaccia di morte nei confronti del veggente Elia, dopo che quest’ultimo aveva ucciso i quattrocentocinquanta profeti di Baal.
Lo stesso coraggioso Elia, davanti alla ferma minaccia di morte da parte di Jezebel, oltre ad aver avuto paura, fuggì per mettersi in salvo e poi si inoltrò nel deserto, e lì, rivolgendosi all’Eterno, richiese di morire.
Se non fosse stato per l’intervento di Dio a favore del Suo servitore, il profeta Elia, sarebbe certamente caduto nelle mani di Jezebel e avrebbe fatto la stessa fine dei veggenti di Baal, uccisi in precedenza da Ella.
Questo perché, anche se Acab era il re d’Israele, sua moglie Jezebel lo aveva talmente sottomesso, che usava l’autorità di quest’ultimo, secondo quello che lei pensava, senza che lo sposo si opponesse minimamente.
Arroganza, prepotenza e malvagità che caratterizzavano questa donna, erano senza pari. Inoltre, la sete di potete che manifestava in tutte le sue attività, erano talmente marcate, che non aveva nessuno scrupolo a realizzare i suoi progetti e i suoi piani, anche se qualcuno doveva farne le spese, e spesso, era proprio lo sposo che ne pagava il prezzo.
L’agire di questa donna fu talmente abominevole davanti a Dio, che non ci fu nessun rimedio per lei. L’adempimento della profezia della morte di Jezebel, avvenne dopo 11 anni.
2. QUEL CHE DICE IL N.T. INTORNO A JEZEBEL
Oltrepassando i confini dell’A.T., in cui la vita e la condotta di Jezebel vengono ampiamente descritte, il suo nome compare nel N.T. e precisamente nel libro dell’Apocalisse.
3. LE CARATTERISTICHE DI JEZEBEL NEL LIBRO DELL’APOCALISSE
Poiché all’epoca in cui venne scritto il libro dell’Apocalisse Jezebel, come persona fisica, non esisteva da tanti anni, il riferimento che viene fatto di lei in questo testo, deve essere inteso in senso metaforico, attinente cioè allo spirito di Jezebel.
Ecco quali sono le sue caratteristiche salienti:
Si autodefinisce profetessa. Questo significa che non sono gli altri che riconoscono in lei lo spirito profetico, ma è lei che si crede tale.
Era un’insegnante.
Seduceva i servi di Cristo.
Aveva una condotta immorale (fornicazione e adulterio).
Manifestava sviamento dai diritti sentieri (mangiava cose sacrificate agli idoli).
Aveva un atteggiamento altero, cioè non ha voluto riconoscere i suoi peccati e i suoi sviamenti.
Come diretta conseguenza del non volersi ravvedere, fu colpita da una dura punizione (in un letto di sofferenze).
Con la qualifica che si da di profetessa e di insegnante, e con la libertà che gli viene data nella chiesa, riesce a sedurre i servitori di Dio, inducendoli a fornicare e a mangiare cose sacrificate agli idoli (Apocalisse 2:20).
In pratica questo vuole significare che nella chiesa di Gesù Cristo, vi possono essere persone con lo spirito di Jezebel che causa dei mali in mezzo al popolo di Dio.
Dio, però, prima di intraprendere una severa azione disciplinare e punitiva, da tempo affinchè avvenga il ravvedimento, a chi impersona lo spirito di Jezebel, per farlo uscire. Se questo tempo di grazia viene respinto, si abbatterà inevitabilmente la punizione divina, non solo su quella persona, ma anche su tutti coloro che ne sono stati sedotti (Apocalisse 2:22, 23).
Riprendendo il discorso a proposito di quello che dice la Bibbia circa il letame, si nota una bella promessa, nel libro dei Salmi: «Egli (il Signore) rialza il misero dalla polvere e solleva il bisognoso dalla spazzatura, (o letame, come dice la Riveduta) per farlo sedere coi principi, coi principi del suo popolo» (Salmo 113:7, 8).
Da parte sua, il profeta Geremia, parlando del castigo di mortalità che si abbatterà su Sion, precisa: «Poiché la morte è salita per le nostre finestre, è entrata nei nostri palazzi per far sparire i bambini dalla strada e i giovani dalle piazze. Parla, così dice l‘Eterno: I cadaveri degli uomini giaceranno come letame sull’aperta campagna, come un covone lasciato indietro dai mietitore e che nessuno raccoglie» (Geremia 9:21, 22).
In un altro passo, lo stesso profeta dice: «Essi moriranno di morti atroci; non saranno rimpianti né sepolti, ma saranno lasciati come letame sulla superficie del suolo; saranno sterminati dalla spada e dalla fame, e i loro cadaveri saranno pasti per gli uccelli del cielo e per le bestie della terra» (Geremia 16:4).
c) Il senso che potrebbe avere la porta del letame, dal punto di vista spirituale
Dal momento che il Letame ci parla d’immondizia, di putridume, d’infezione, di ambiente malsano, si può ravvisare in esso le varie contaminazioni di carne e di spirito, secondo quello che l’apostolo Paolo scrisse ai Corinzi: «Avendo dunque queste promesse, carissimi, purifichiamoci da ogni contaminazione di carne e di spirito, compiendo la nostra santificazione nel timore di Dio (2 Corinzi 7:1).
Le varie contaminazioni di carne e di spirito, non devono restare nella vita del credente; devono essere portate via, lontano, in modo da non subire quel contagio malefico, che causerà immancabilmente infezione nell’esistenza dell’anima e dello spirito.
«Uscite dimezzo a loro e separatevene, dice il Signore, e non toccate nulla d’immondo, ed Io vi accoglierò» (2 Corinzi 6:17; Isaia 52:11), deve essere fatto in vista delle promesse di Dio e del fatto che i credenti in Cristo Gesù, «sono il tempio del Dio vivente» (2 Corinzi 6:16).
Considerando l’alto privilegio che i credenti hanno nell’essere il tempio di Dio, logicamente l’apostolo Paolo, conclude che non vi può essere alcuna «relazione tra la giustizia e l’iniquità», e non può esservi alcuna «comunione tra la luce e le tenebre»; nessuna armonia tra Cristo e Belial, o che il fedele possa avere parte «con l’infedele» (v. 14).
Davanti alla santificazione che il cristiano è chiamato a procacciare (Ebrei 12:14), e ricordando sempre quello che Cristo ha fatto, nel comprarci a caro prezzo (1 Corinzi 6:20) e che il nostro corpo «è il tempio dello Spirito Santo» (v. 19), dobbiamo prestare molta attenzione all’esortazione dell’apostolo Paolo quando dice: «Questa è la volontà di Dio: la vostra santificazione; che vi asteniate dalla fornicazione; che ciascuno di voi sappia possedere il suo vaso in santità ed onore, non con passioni disordinate, come i gentili che non conoscono Dio, e che nessuno inganni e frodi negli affari il proprio fratello, perché il Signore è il vendicatore di tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e attestato. Dio infatti non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione (1 Tessalonicesi 4:3-7).
La porta del Letame venne riparata, per permettere a quelli che erano addetti a raccogliere i rifiuti e l’immondizia, elementi nocivi alla salute, affinchè tali cose non restassero nella città, ma che venissero portate fuori dal centro abitato di Gerusalemme.
C’è molta immondizia e tante contaminazioni in mezzo al popolo di Dio.
La scrupolosità che si sentiva una volta per certe cose o la sensibilità che c’era per la maniera di condurre la propria vita cristiani, quasi sono idee del lontano passato. Il progresso di ogni genere, compreso quello della conoscenza della Parola di Dio, invece di portare il popolo ad una maggiore consacrazione e separazione da tutto ciò che dispiace al Signore, porta le anime ad essere spesse volte, indifferenti e noncuranti delle cose del Signore.
Questo modo di vivere, naturalmente, non è vero progresso, inteso come benessere dell’anima e dello spirito, ma è solamente salute per la carne, mentre la vita spirituale è diventata arida e vuota.
Dio vuole la ricchezza del Suo popolo.
Cristo stesso è venuto per donare vita ad esuberanza.
La vita esuberante è quell’esistenza arricchita dalla benedizione di Dio e permeata dalla potenza dello Spirito Santo.
Una persona che trabocca dell’esuberanza della vita di Dio, oltre a mantenersi sempre in continua comunione con Lui, fa del tutto per restare lontano da tutto ciò che offende Dio e disonora la Sua Parola, tutto a scapito naturalmente della buona reputazione della testimonianza e della vita cristiana.
Non è privo di significato che la porta del Letame è stata riparata da un capo.
I capi sono quelli che possono influenzare la vita degli altri con il loro esempio.
Se la loro maniera di vivere, è conforme alla sana morale e secondo l’insegnamento della Parola di Dio, l’influenza sarà benefica e salutare per gli altri; se invece la loro condotta è scandalosa, ne deriverà che l’efficacia sulla vita degli altri sarà negativa, nel senso che altri non saranno ispirati a camminare in santità e nel timore di Dio.
Ci sia pertanto di monito e d’insegnamento il lavoro di riparazione fatto alla porta del Letame, in modo che tutto ciò che avrebbe rappresentato immondizia, impurità, contaminazione, mondanità e quant’altro potessero risultare nocivo alla vita dell’anima e dello spirito, abbia ad essere portato fuori dall’esistenza di ogni cristiano e che la gloria del vivente Signore, risplenda nella vita dei figli di Dio, e che della città di Gerusalemme (figura del popolo di Dio, di quella popolazione che è stata riscattata col Sangue di Gesù Cristo), si potesse dire:«Da quel giorno il nome della città sarà L’Eterno e la» (Ezechiele 48:35).
Domenico Barbera
Tutte le citazioni bibliche sono tratte (salvo diversa indicazione) dalla versione “Nuova Diodati”.
Tratto, e liberamente adattato, dal libro «NEHEMIA» ed. Cristian Vision Literature e distribuito in Italia da C.L.C. www.clcitaly.com
- Accedi per commentare
- 1733 viste